giovedì 13 dicembre 2018
DIVULGAZIONE, COMUNICAZIONE, SEMPLIFICAZIONE
"Sento forti le voci di chi ha deciso, in modo un po' gordiano, di decidere dove mettere la red-line della "schematizzazione", e poi la difende, questa linea, come se fosse un limes contro i barbari... e le voci di chi, per differenze culturali, psicologiche etc. vorrebbe mettere la red-line ad un altro livello, e per questo polemizza con chi l'ha messa prima (o dopo). Ed entrambi, sadly, si scordano che il vero nemico sono l'ignoranza (l'ingenuita', se preferisce) di chi non capisce nemmeno di che linee stiamo parlando, e la furbizia criminale di chi su questa ignoranza e confusione gioca, in malafede, per banalissimi motivi di lucro. Non crede?" (scrive Guido Silvestri in una coda di commenti a un post di qualche tempo fa, e incollo di seguito la mia risposta)
Onestamente no, non credo. In primo luogo la semplificazione divulgativa offre un'illusione di compresione o conoscenza che arriva ad essere assai potente, e quindi capire quanto possa essere semplificato un tema senza perdere parti vitali di informazione è sempre difficile, spesso arduo. Di recente mi è capitato di fare una gran fatica a spiegare che un risultato in vitro o su un topo non è affatto automaticamente estendibile all'uomo. Ma erano convinti che se si era visto nel topo era così (e non si trattava delle solite storie di alluminio, ma non mi ricordo di che risultato della ricerca riportato dalla grande stampa). La "divulgazione" evidentemente aveva sorvolato sul fatto che tra risultato nel topo e farmaco approvato ci sono alcune cose, tipo il 90% di possibilità di fallimento e svariate centinaia di milioni (se non più di una decina). Chi decide cosa è significativo e cosa no, questo è il punto. Parlando di immunizzazioni le dinamiche di oggi si sono già presentate 35 anni fa: si arrivava al 96% di copertura pediatrica di morbillo, veniva fuori una serie di outbreak imponenti e si iniziava a dire "il vaccino non funziona" (oggi "L'herd immunity non esiste"). E' meglio provare a spiegare come funzionano le dinamiche non lineari complesse o insistere con "Esiste perché lo dice la Scienza e voi asini tacete"? Nel 2017 le cose non sono state raccontate giuste (l'emergenza, l'epidemia dovuta al crollo delle coperture, etc). A fin di bene? Diciamo a fin di bene. Risultato: una buona percentuale dei cittadini italiani ha sentito puzza di bruciato (e non sto parlando degli anti ossessivi militanti). Ma d'altra parte se si raccontava giusta cadeva il teorema dell'emergenza. Quindi il decidere come semplificare è rilevante, eccome se è rilevante. Tra l'altro una governance diciamo così discutibile ha dato spazio di accreditamento alla corte dei miracoli a traino del codacons (nanocontatori etc) perché il loro sollevare il problema del rapporto postmarketing che non veniva pubblicato da due anni era del tutto legittimo (indipendemente dall'interpretazione e dall'uso che è stato fatto dei dati pubblicati). La sua idea di "patto trasversale per la scienza" in teoria è eccellente, in pratica offre il fianco a strumentalizzazioni per il semplice fatto che prevede un astratto gruppo di uomini di scienza che decide cosa è scientifico e cosa no. Che è un po' diverso dallo scientific consensus (che pure ha i suoi limiti), un po' tanto.
Addendum: la discussione sugli standard per me non è accessoria, ma basilare, e il presente problema non ha soluzioni perché non si può fissare uno standard per qualcosa di così eterogeneo come le "questioni scientifiche". Però si possono riconoscere le semplificazioni funzionali. E questo secondo me è il punto più rilevante, perché la narrazione "antiscientifica" difficilmente riguarda l'informazione mainstream che, per definizione, è quella più diffusa.
(L'intervento completo del prof. Guido Silvestri è qua https://www.facebook.com/guido.silvestri.9/posts/10216904177732758)
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