L'Amazzonia brucia ed è colpa di Bolsonaro, che si prepara ad ulteriori deforestazioni e non sa gestire l'emergenza.
Detta così suona "giusta". Poi Luca Parmitano posta su twitter uno scatto preso dalla Stazione Spaziale, da cui si vede una quantità abnorme di fumo (https://twitter.com/astro_luca/status/1165959749051043840). Ma...
Ma Sabine Hossenfelder twitta un "don't panic" (poi cancellato) e un articolo del NY Times pieno di dati e analisi satellitari (https://www.nytimes.com/interactive/2019/08/24/world/americas/amazon-rain-forest-fire-maps.html) poi Starbuck mi gira altre immagini satellitari (https://twitter.com/Pierre_Markuse/status/1165989833392689152).
Da cui si evince che quel che brucia sono prevalentemente aree agricole deforestate, e che il trend è in linea con la stessa stagione degli anni precedenti. Intendiamoci, gli incendi di foreste sono un problema serio. In Angola per esempio la superfice boschiva interessata dagli incendi è sette volte più estesa rispetto a quella degli incendi brasiliani. Insomma il punto è sempre quantitativo: cosa brucia, dove brucia, quanto ne brucia. E queste considerazioni quantitative si fanno strada fino alla CNN, che si produce in un : E' vero, le foreste dell'Africa centrale bruciano di più dell'Amazzonia, ma quel che conta è il contesto. Il contesto sarebbe che gli incendi africani sono controllati, mentre quelli amazzonici vengono da aree deforestate. Da chi? Da Bolsonaro, che però ben difficilmente in un anno potrebbe aver riportato il ritmo della deforestazione a quello trovato da Lula quando fu eletto presidente. Pare che in realtà"il contesto" sia questo, cioè quello politico, e infatti in sede europea si pensa a sanzioni contro il Brasile (https://euobserver.com/opinion/145732).
Insomma, su un tema dannatamente serio come quello dei polmoni verdi del pianeta è stato messo su uno "spin" che a ben vedere è piuttosto scollegato dai fatti (e quindi ha altri obiettivi, quali che siano). Repubblica, sempre più avanti degli altri in tema di "narrazione", mentre CNN inizia a parlare di contesto piazza lì un "è bruciato il 51% della foresta amazzonica", in scioltezza: "Il polmone del pianeta, da gennaio a oggi, ha visto le fiamme divorare il 51% della foresta, con un aumento del numero del numero di incendi dell'80% rispetto al 2018" (https://www.repubblica.it/esteri/2019/08/28/news/amazzonia_bolsonaro_ci_ripensa_pronto_ad_accettare_aiuti_esteri_-234497053/). E così il problema del "cosa, quanto, dove" è velocemente risolto.
In tempi di post-verità sembra semplicemente impossibile che un qualsiasi argomento con un sottostante tecnico venga "raccontato giusto". Da una parte Repubblica con il suo 51% di foresta in fumo, dall'altra Facci che dice "i roghi non tolgono ossigeno" (https://www.instagram.com/p/B1lKGCnC9o4/). La polarizzazione è subito servita, ma certe cose non sta bene farle notare perché "Mah. Non lo so, con tutto lo scetticismo vero che c'è in giro e tutto il medioevo che ci circonda, a volte penso che certe considerazioni si debbano fare privatamente, perché chissà chi la legge cosa interpreta? Non lo so, a volte credo si debba fare un po' fronte comune". Così mi ha risposto una dottoranda in chimica fisica. Forse appena appena paternalistica, con buona pace della corretta comunicazione, che sia understanding o engagement.
C'è un'emergenza gas serra, ma le emissioni europee sono stabili o in leggera diminuzione da anni, mentre quelle cinesi e di altri paesi sono letteralmente esplose (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2019/04/la-produzione-mondiale-di-co2-questione.html). Però in nome dell'emergenza ambientale viene tassato il cittadino italiano (https://www.italiaoggi.it/news/dai-biglietti-aerei-alla-plastica-allo-studio-nuove-tasse-ecologiche-2382602?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter). E tutto diventa invariabilmente strumentale.