giovedì 17 febbraio 2022

THE SWEDE

 



Uno dei primi crucci dell'expat italiano (specie in nord europa) è: come/cosa mangio. Certo, ormai la pasta italiana si trova ovunque (magari in pochi formati), e l'olio extravergine di oliva pure - ritenuto una classica fissazione italiana. Ma farsi una carbonara, per esempio, può diventare una cosa complicata. In breve si rischia di celebrare un completo divorzio dalla cucina mediterranea, che diventa eclatante quando si parla di vegetali: nel nord Europa niente cardi, carciofi, asparagi, melanzane, basilico. Certo, le cose sono parecchio cambiate da quando Elisabeth David dopo un lungo periodo nel mediterraneo tornando in Inghilterra rimase costernata dalla cucina della sua patria (e scrisse "A Book of Mediterranean Food"). Mi ricordo l'odore greve del grasso animale (chissà quale) in cui ancora si friggevano le uova del breakfast in Scozia, trenta anni fa (e non è che più a sud le cose andassero tanto meglio). Oggi è tutto cambiato, il grasso prevalente è olio di soia - non certo il massimo, ma sempre meglio, e comunque, spostandoci al di là della manica, se contestate a un bretone la zuppa della nonna con i crostini fritti nel grasso di bue lui potrebbe aversene a male.
Personalmente mi sono sempre adattato in qualche modo al clima alimentare locale. Il che vuol dire guardarsi in giro cercando ingredienti da integrare nella propria cucina, perché nel lungo termine non è che si possa campare (bene) di soli breakfast, fish and chips, pesci affumicati, insalate e cornish pasty. Non conoscete il cornish pasty? Peggio per voi. Comunque lo swede è uno dei suoi ingredienti tradizionali, assieme a manzo, patata e cipolla (https://it.wikipedia.org/wiki/Cornish_pasty).
Provenendo da una regione italiana dove neanche la rapa è comunemente usata, vedere sui banchi di un mercato nordico questa sorta di rape giganti mi ha incuriosito. E quindi ho deciso di sperimentare.
Ma partiamo dall'inizio: lo swede (contrazione di swede turnip, rapa svedese) ho scoperto che è in realtà la rutabaga, detta anche navone o cavolo navone (e ignoravo pure che avesse un nome anche in italiano). E guardando in giro nella websfera italiana viene proposta per purè e insalate o al forno. Questo l'ho scoperto dopo.
Quando l'ho vista esposta sul banco ho pensato immediatamente "stufato". E stufato è stato.
Avendo trovato un bel filetto di maiale e dei tagli di capocollo molto più magri della nostra scamerita, il design dell'esperimento era del tutto chiaro.
Quindi prima sono stati preparati gli starting materials:
 
Navone
1 cipolla bianca
Filetto di maiale
Capocollo di maiale
1/2 decilitro di olio extravergine d'oliva (italiano)
1/2 pinta di lager
1 foglia di alloro (italiano)
 
Il navone (una metà del navone, perché pesava più di un chilo) è stato sbucciato e tagliato a dadi di circa due centimetri di spigolo.
Filetto e capocollo sono stati tagliati anch'essi a dadi di circa due centimetri.
La cipolla è stata tritata.
In una casseruola è stato scaldato l'olio, ed è stata aggiunta la cipolla tritata. Quando la cipolla ha iniziato a imbiondire, è stata aggiunta la carne di maiale, che è stata fatta rosolare con cura.
Quindi sono stati aggiunti lager e alloro, e si è cotto a fuoco medio/basso per circa 1 ora.
Poi è stato aggiunto il navone a cubetti, e acqua quanto basta a coprirne la superficie.
Sono stati aggiunti sale e pepe nero in grani.
La cottura è stata continuata per circa un'altra ora, fino a che quasi tutto il liquido non è evaporato.
 
Discussion 
 
Ho giudicato l'esperimento riuscito, ma nessun altro ad ora lo ha replicato.
Una sua versione light, con carne di manzo, ha dato anch'essa buoni risultati (ma la versione maiale è assai più soddisfacente, per i miei gusti).
Quanto a novelty l'esperimento vale molto poco. Per quanto navone e rapa siano ben diversi, sono comunque parenti stretti, e rapa e stufati hanno una storia ben consolidata a nord delle Alpi - si può ripetere la procedura con le rape, che però reggono meno la cottura e dovranno essere aggiunte a circa tre quarti del procedimento.
Perché il capocollo di maiale? Perché il solo filetto è relativamente povero di tessuto connettivo e grassi, che sono quelle cose che conferiscono allo stufato "morbidezza". Non ci crederete, ma il tema "stufato" per la parte proteine è stato abbastanza recentemente trattato sul Journal Of Physical Chemistry (https://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acs.jpcb.9b05467#). Comunque il concetto base è sempre stato denaturare proteine in presenza di un qualche "lubrificante" (altrimenti ottenete un bollito). Ci sono ricette francesi di stufato di maiale o montone che cominciano facendo sciogliere nel grasso di base (che parlando di Francia di solito è burro), o anche in sua assenza (!) il grasso delle spuntature o delle costolette. E l'aggiunta finale di burro è un altro tratto tipico in molte zone geografiche (Francia, ma anche nord Italia). Il collagene, caratteristico del tessuto connettivo, è un altro elemento che produce "lubrificante", in quanto con acqua e calore gelifica (si trasforma in gelatina). Il capocollo di maiale contiene una buona quantità sia di grassi che di tessuto connettivo, e ha fornito un contributo decisivo alla riuscita dell'esperimento. 
 
Nota: se googlate rutabaga troverete che è ipocalorica, e che contiene fibre, vitamina C, vitamine del gruppo B, betacarotene, sali minerali. Se è stata stufata con il maiale capirete che il ridotto apporto calorico non era tra gli obiettivi dell'esperimento. E con la lunga cottura potete dire addio a buona parte del contenuto in vitamine B, C e betacarotene. Fibre e sali minerali restano.

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