martedì 24 luglio 2018

3+2 E CONSEGUENZE INATTESE

Al centro del vortice mi ricordo, come sempre, le metriche stupide. Negli anni novanta era periodico l'allarme sui media riguardo lo scarso numero di laureati in Italia. L'origine dell'allarme, come spesso accade, erano studi OCSE.
Andando indietro nel tempo di un cinque-dieci anni invece mi ricordo che avevamo un problema di allineamento delle qualifiche. La nostra vecchia laurea era più di un master anglosassone, da un punto di vista del contenuto formativo, e meno di un PhD. Veniva allineata ai master, al ribasso, e i nostri dottorati venivano allineati ai PhD (pure se, secondo molti, erano qualcosa di più). All'incirca in quel periodo cominciai a udire i germi di quel paradigma che avrebbe portato alla situazione attuale. Un rettore in un'intervista ad un quotidiano ebbe a dichiarare che una buona università si fa con buoni studenti. Cosa che a me pareva aberrante (da studente): mi pareva scontato che una buona università si facesse con una buona didattica.
Il modello dei tempi, quello dell'ordinamento antico, non prevedeva numero chiuso. Nessuna barriera all'ingresso e selezione basata sugli esami: quindi alto numero di abbandoni e di fuori corso.
Al primo anno dove avevo iniziato il mio percorso universitario eravamo una quarantina di matricole. All'inizio del secondo anno eravamo una ventina. A seguire i corsi del quinto anno eravamo in dieci.
Venticinque anni dopo, tornando brevemente nel luogo di origine, la situazione era cambiata. L'infame combinato disposto di riforma Gelmini e 3+2 aveva provocato conseguenze per me inimmaginabili. Come mi spiegò un vecchio amico, ancora professore associato all'inizio dei suoi cinquanta anni (come tutti gli altri), il sistema puniva con meno risorse gli abbandoni al primo anno. Soluzione: al primo anno non si fa praticamente niente, si comincia a fare sul serio al secondo, e se li seghiamo lì va bene a tutti (molto razionale, vero?). Ma c'era un problema: per gli stessi motivi, biologia, che tradizionalmente ricopriva anche il ruolo di refugium peccatorum della facoltà di scienze, onde evitare maree di iscritti desiderosi di intraprendere il percorso a più bassa energia offerto dalla facoltà (nonché i "rifugiati" provenienti dal secondo anno di altri corsi di laurea), e quindi il rischio di alto abbandono al primo anno, aveva messo il numero chiuso. Conseguenza, chi non passava il test di ingresso si buttava sul corso di laurea meno ostico rimasto a ingresso libero, cioè chimica. E buona parte di costoro non era in grado di superare l'asticella ormai rasoterra degli esami del primo anno a chimica, e abbandonava, provocando un malus per il dipartimento. Soluzione obbligata, numero chiuso a chimica. Roba da ridere, non fosse in realtà dannatamente tragica.

Qual'era il pregio dell'antico/vecchio ordinamento pre Gelmini e pre Berlinguer? La sua democraticità. A nessuno veniva negato l'accesso. Poi stava a lui riuscire a percorrere la strada. E guarda caso era lo stesso sistema che provveddeva adeguatamente alle borse del Diritto allo Studio per studenti meritevoli provenienti da famiglie economicamente disagiate - risorse largamente evaporate negli anni più recenti. In breve, si offrivano pari opportunità di istruzione universitaria.

Il numero chiuso invece è meritocratico solo in apparenza. Scarica l'onere sulla scuola (di cui tutti conosciamo il declino) e sulle famiglie. E' il sistema all'ammericana, dove ricordiamo che l'università pubblica (come la sanità pubblica) è serie C.
Personalmente resto legato alla vecchia concezione delle socialdemocrazie europee (quella che oggi alcuni stigmatizzano come "comunismo"), del tutto opposta alle concezioni dell'attuale PSE. E sarebbe il caso che si spieghi ai giovani cos'è che la politica degli ultimi vent'anni ha scippato loro.
Ah, inoltre da noi il 3+2, che amplificava la tendenza Gelmini verso la trasformazione dell'università in esamificio/diplomificio, alla fine non è riuscito neanche a fare da booster al numero dei laureati: ancora penultimi in Europa  (https://www.ilmessaggero.it/primopiano/scuola_e_universita/eurostat_italia_penultima_laureati_ue-3656318.html). Ma, paradossalmente, ancora esportatori netti di laureati (per dire che nonostante la devastazione riusciamo comunque a sfornare laureati di qualità superiore a quella media internazionale).
I dati dello scorso autunno certificavano il fallimento della riforma.
https://www.roars.it/online/universita-fallita-la-formula-32/

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