Ormai tutti hanno chiaro che il punto riguardo COVID è lo stress sulle strutture ospedaliere.
Non si può dire che non ci si sia provato, a ridurlo, e che non ci si provi tuttora. Ma pure focalizzandosi sulle azioni a monte, e speriamo che il dispiegamento dei vaccini sia un intervento efficace, si decide che a valle si fa poco o niente? Perché l'impressione è esattamente questa.
Ogni volta che si parla di prendere in considerazione una delle soluzioni più avanzate per la riduzione del danno piovono i "fermi tutti, non funziona, costa troppo".
Finché si parla di farmaci sperimentali e/o approvati in via emergenziale i dubbi sulla reale efficacia sono legittimi, ma noto che i vaccini approvati in emergenza sono una cosa eccellentissima mentre i farmaci approvati in emergenza sono lo sterco del demonio. Il "due pesi, due misure" di questi tempi è evidente come non mai.
E poi quanto a farmaci c'è quello che almeno oltreoceano è arrivato all'approvazione definitiva (remdesivir). Ma non fa alcuna differenza, e gli argomenti contrari all'uso sono sempre più surreali: l'affermazione più paradossale (per non dire la più cospicua idiozia) che ho letto in un anno è forse stata "E' un problema dosare un farmaco endovena ad un ricoverato in intensiva", come se quei ricoverati non avessero inserito un catetere venoso periferico e una flebo attaccata al braccio.
Altro argomento ricorrente: "Ma non è la cura!" - sul serio? Perché, che ne so, quante cure abbiamo per i tumori o per il diabete? Nessuno risponde?
Insomma, un farmaco antiCOVID deve essere un miracolo, ma un miracolo che costi poco e che tenga i pazienti lontani dagli ospedali: il solito "si salvano vite, ma solo a prezzi stracciati".
PS: Questo post ha generato una serie di commenti interessanti, che meritano un post del blog tutto loro domani.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.