martedì 10 gennaio 2023

SISTEMI E INDIVIDUI

Mi laureai al tempo in cui infuriava la Qualità Totale e iniziai a lavorare ai tempi di "ISO 9000 o morte". Ero lì ai tempi della Six Sigma frenziness - e mi hanno raccontato che alcune Six Sigma Black Belts (https://en.wikipedia.org/wiki/Six_Sigma) del farma italiaco, dopo che il loro settore si è "leggermente" ristretto  e l'azienda dove avevano conseguito il titolo morta, hanno iniziato a fare gli insegnanti a corsi di formazione Six Sigma destinati ad altri settori.

Il sistema, sotto l'insieme di procedure, tende a far sì che l'individuo, i suoi errori, la sua inadeguatezza, cronica o momentanea, non abbiano effetto sul prodotto finale del processo.

Intendiamoci, riconobbi da subito, appena entrato al lavoro l'importanza di un sistema di gestione della qualità (e il cGMP - current Good Manufaturing Practice, nato per garantire la qualità dei farmaci, altro non è che uno di questi sistemi). 

Lasciando perdere le disfunzioni e le esagerazioni o la proliferazione caratteristica di questi sistemi (spesso un set di procedure tende a espandersi o a generare altri set di procedure con un processo alle volte poco controllabile), vorrei proporre una riflessione di carattere diverso: quando si tratta di produzioni consolidate e solide veramente l'importanza dell'individuo ai fini del processo è limitata all'attenersi alle procedure. Ma quando si tratta di ricerca e sviluppo...

Eh, già, perché da decenni procedure destinate alle produzioni seriali sono state adattate anche per garantire la qualità della progettazione, ovvero della ricerca e sviluppo. Non solo sono state create, ma sono state applicate o si è tentato di applicarle (di solito con tassi di successo molto bassi). E in genere protocolli e procedure governano anche la ricerca. L'illusione generale è che se ci si affida alla potenza della procedura un qualche risultato verrà ottenuto, anche se chi lavora e governa il processo possiede capacità o competenze mediocri o men che tali. L'idea che ci sta dietro è il "Tutti sono utili, nessuno indispensabile" un mantra corporate praticamente immarcescibile. E' uno dei temi portanti di uno dei più bei film che ho visto negli ultimissimi tempi.

Per me l'aspetto saliente del film non è la sfida agonistica, ma l'incapacità del sistema (Ford) e degli uomini del sistema di ottenere i grandi risultati. Che non saranno ottenuti senza quelli che possono fare la differenza.

Ma l'arroganza dei manager Ford è fondata su un fatto notevole: spesso il processo funziona e l'insieme delle procedure e dell'organizzazione media fino a farla scomparire l'incapacità individuale... il più delle volte.

Non come allora, ma esistono ancora aziende che cercano di tesaurizzare esperienze, competenze, know how (altre cercano in primis la capacità dell'individuo "to fin in"). E magari più in piccolo e in silenzio esistono ancora individui che, come a Le Mans nel '66, possono fare almeno un po' di differenza.

PS: "Quello che dico è che non potete comprarvi la vittoria, Lee, ma magari potreste comprare l'uomo che ve ne dia la possibilità" è probabilmente una delle frasi chiave del film. Ed esiste un mercato noto solo agli addettti ai lavori, che non è quello dei piloti o dei calciatori, che è interamente centrato su questo. Addirittura, come nella trilogia del cyberspazio di Gibson, ci sono agenzie specializzate nel trasferire personale highly skilled da un'azienda all'altra. Ma senza estrazioni in stile militare. Anche "Il mio compito è guidarla in tutto questo" a qualcuno (pochissimi) sarà suonato molto familiare. E pure  "Quindi voi avete già montato quello sulla GT40?" "Temo proprio di sì" non è male, e fortunato chi ha vissuto situazioni simili da qualsiasi delle due parti egli fosse. Ah, tra l'altro i film è una dichiarazione se non di amore di grande rispetto per l'Italia che fu e per quello che sapeva produrre. E pensare che una decina di anni fa principali voci dell'esportazione tricolore erano distillati del petrolio, meccanica di precisione e farmaci, mentre tutti parlavano di Made in Italy intendendo altro, che non era in pole position nelle esportazioni. Vabbè oggi le cose sono diverse, ma io trovo pasta di un pastificio campano, olio extravergine umbro e un caffè ai tempi pubblicizzato da Nino Manfredi al supermercato. Può anche andar bene così. O no?

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