Dicevano che le farmaceutiche globali erano in fuga dal Regno Unito, dicevano, per via del Brexit, dicevano. Apri la mail e trovi questo:
Roche è globale e svizzera. Che motivi avrà mai per assumere in UK? Autolesionismo?
Una decina di anni fa in UK per il chimico farmaceutico e la ricerca e sviluppo nel campo le cose non andavano bene. L'ultima fase della mostruosa ristrutturazione della farmaceutica mondiale aveva colpito, duramente quanto in Italia: Pfizer aveva di fatto smantellato il suo sito di Sandwich (
https://www.bbc.com/news/uk-england-12338458), GSK aveva ristrutturato, meno che in USA e nel continente, ma comunque in modo pesante (e non è che abbia smesso
http://www.pharmafile.com/news/518984/gsk-cut-almost-200-jobs-uk-site). L'onda d'urto dela fusione Pfizer-Wyeth si era fatta sentire come ovunque.
La crisi aveva coinvolto tutta la chimica britannica in senso esteso: alcune università (anche grandi) avevano chiuso i corsi di laurea in chimica. L'indotto della farmaceutica e della ricerca era stato scosso da fusioni, vendite e tutta questa serie di cose. Si sarebbe detta una faccenda definitiva.
Dieci anni più tardi il paesaggio è completamente cambiato. Diverse piccole CRO (Contract Research Organization) sono cresciute e al momento si stanno ancora espandendo. E anche alcune grandi pharma assumono. Un'inversione di tendenza significativa sia qualitativamente che quantitavamente.
Per dire, per la prima volta il biennale Nordic Process Chemistry Forum non si terrà in paese nordico, ma a Belfast.
Certo, il paesaggio è molto diverso da quello di 20 anni fa.
" A metà anni 90 c'è stata gente con due banchi piastrellati che ha
avuto contratti con Merck, e si sono fatti d'oro". Così un responsabile
di impianto pilota poco sopra i 30 se ne uscì in una conversazine col
sottoscritto, all'inizio del secolo. La situazione sembrava ottima,
proiettata in avanti. Mi ritrovavo in un ambiente dove tra i quadri
tecnici più o meno alti e pure tra i dirigenti (per tacere degli
associati alla direzione) la fascia d'età 30-40 era ben rappresentata.
Le dirigenze erano comunque appannaggio prevalente di 50-60enni. Il
ricambio generazionale c'era stato ed era andato tutto sommato piuttosto
bene. I budget erano piuttosto adeguati, anche se non favolosi come nel
decennio precedente. I soldi continuavano a girare, e girando
producevano l'attività che mandava avanti le pipeline della ricerca e
sviluppo. Il motore della deflazione però iniziò ad andare ai massimi regimi con l'ingresso della Cina nel WTO (2001) e l'ascesa dei grandi sweatshop cinesi (WuXi AppTec il più noto). Una stagione di grandi risparmi e scarsissimi risultati. Comunque per dare un'idea quantitativa del settore una delle più grandi CRO globali in circolazione, l'americana Aptuit (quella che si era comprata l'ex centro ricerche GSK di Verona), è passata ai tedeschi di Evotec per 300 milioni di euro nel 2017. Come riferimento possiamo prendere Rottapharm-Madaus (farmaceutica italiana con ramo tedesco, con un fatturato che era arrivato a due miliardi di euro): in crisi, passò di mano per circa un miliardo.
Gli stipendi nello CRO britanniche sono abbastanza bassi (ma più alti di quelli italiani di 20 anni fa nel settore) e il turnover è abbastanza alto. Però è un paesaggio vitale, mentre nel continente l'atmosfera è cimiteriale. Un indicatore è costituito dagli annunci su Linkedin: le posizioni aperte sul continente sono una frazione di quelle aperte in UK - il continente "compensa" con stipendi lordi più alti, la tassazione è più alta ma in alcuni limitati casi sono più alti anche gli stipendi netti.
Altro piccolo ma rilevante particolare: da noi le risorse umane e le agenzie di reclutamento sono sempre state impegnate nella ricerca dell'unicorno, il mitico neolaureato 25enne con 5 anni di esperienza industriale (e all'incirca la filosofia continua ad essere quella), mentre la crisi ha espulso dal settore una quantità di soggetti di anzianità lavorativa medio-alta. Questi soggetti di lunga esperienza di fatto sono quelli sulle cui gambe cammina il know how industriale. Puoi aver scritto tutto, avere manuali operativi di processo, manuali per la ricerca e quanto altro: ma per passare il "mestiere" la carta non basta, servono gli uomini. Se gli uomini non ci sono puoi assistere al triste spettacolo di laboratori riempiti di giovani in gamba che passano più della metà del proprio tempo a reinventare la ruota (attività non particolarmente produttiva).
Ora, mentre in Italia il chimico senior, in quanto costoso, diventa un soggetto inutile, più o meno come un rocket scientist in USA alla fine del programma Apollo, oltremanica è un asset da acquisire, a cui può essere offerto un salario fino al 50% superiore alla media (28.000 GBP attualmente il salario medio di un chimico in UK). Forse qualcuno si è accorto del "buco" nella formazione e nell'istruzione superiore in campo chimico e dei suoi effetti, e sta cercando di porre rimedio. E per la prima volta nella mia vita ho sentito parlare di coaching come una delle caratteristiche correlate a una posizione industriale. Uguale uguale da noi, giusto?
(Accostare queste rilevazioni sul campo alla narrativa su un'UK decaduta, imbruttita e imbarbarita che sono andate per la maggiore sulla nostra stampa è piuttosto divertente).
Questo processo di rilancio industriale è iniziato all'incirca cinque anni fa ed è accelerato negli ultimi tre anni (strafregandosene del Brexit, a quanto pare).
Gli inglesi nel campo sono più avanti di quanto noi lo siamo mai stati?
No.
Da quel che ho ricavato in un carosello di contatti e lunghe telefonate non direi affatto. Anzi, mi è sembrato di ritrovare il settore italiano di 15 anni fa, né più né meno.
E allora?
Un po' difficile trarre conclusioni da un mese di esplorazione. Quindi quel che segue sono congetture.
In primo luogo la presenza sul territorio di gangli vitali delle grandi farmaceutiche globali (beh, almeno due hanno ancora la testa in UK). Questa è una delle precondizioni per l'esistenza o lo sviluppo di un ecosistema industriale evoluto nel settore. Ed è quello che è venuto a mancare in Italia: sì, ok, la fusione Pfizer-Wyeth è stata un'apocalisse contro cui poco si poteva fare. Ma se alcune grandi realtà si sono allontanate dalla penisola il motivo è solo uno: la riduzione della spesa farmaceutica pubblica italiana.
Poi c'è il fattore liguistico. Vero che nel settore ovunque si parla inglese (beh, quasi), ma esiste ancora un pregiudizio diffuso sulla madre lingua in contesti USA, quando si parla di CRO, e per quanto su Nature si dica e si predichi che la Cina ha scavalcato gli yankee nella ricerca se volete guardare al motore principale della R&D farmaceutica mondiale dovete tuttora guardare al di là dell'Atlantico.
Un altro dettaglio non da poco probabilmente riguarda il settore finanziario: tra i motori del declino della chimica farmaceutica e del Pharma R&D in Italia c'è stato il credit crunch, e banche che volevano rientrare. Essendo fuori dell'area euro UK ha gestito a modo suo la crisi del 2008, ha nazionalizzato banche etc etc. fatto sta che negli ultimi anni io di stretta creditizia britannica non ho sentito parlare.
L'Italia, vista da oltremanica, offre un spettacolo triste. Perché un settore R&D pharma vitale da noi pare non possa più esistere, mentre in UK è rinato e sembra stia crescendo, almeno per ora. E rispetto al resto del continente è già tanto.
(Ovviamente il mio è un punto di vista parziale e industriale, lo so che nella City l'outlook non è positivo -
https://www.reuters.com/article/us-britain-eu-banks-factbox/factbox-impact-on-banks-from-britains-vote-to-leave-the-eu-idUSKBN1O31F9 - ma, moccolone, abbiate pazienza, che la ruota karmica giri ogni tanto sarebbe fisiologico, non è che possa andare sempre bene o comunque meglio solo a chi lavora nelle banche e nella finanza, categoria che qualche "piccola" responsabilità nel declino del mio mondo ce l'avrebbe pure
https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/06/dinamiche-della-farmaceutica.html)