mercoledì 13 marzo 2024

SCIENZIATI “VERI” - By Starbuck (RELOADED A TRE ANNI DI DISTANZA)

“ [...] in esse (le case farmaceutiche, NdS) lavorano tanti scienziati veri” mi ha recentemente rammentato qualcuno, pensandomi una no-qualcosa contro le case farmaceutiche. Ovviamente quel qualcuno non ha idea né della persona ma neanche del personaggio, e ovviamente quel qualcuno era intento a sciorinare tutto il copione sui “vaccini che salvano vite”. Nulla di nuovo, solo che... ho riso.
Di quel riso ironico un po’ folle un po’ amaro. Certo certo....chissà come se li immagina, gli scienziati veri, se col camice immacolato e con la camicia stirata sotto, il taglio di capelli perfetto e la macchina tirata a lucido nel parcheggio aziendale.
Ho riso, ripensando a quando la figura “scienziato vero” la interpreto io. Quando il conoscente dell’infanzia mi presenta orgogliosamente alla famiglia come “scienziata”. Quando magari mi chiamano per andare a fare divulgazione da qualche parte, perché “una di quelle figure che ispirano”, che “la scienza la fanno davvero”, o almeno così è nella testa di chi mi contatta.
Perché c’è la scienza vera e quella finta, apparentemente.
Guardo il mio camice: colletto ingiallito e numeri scritti col pennarello sugli avambracci. Il mio primissimo capo progetto ci teneva che avessimo un camice bianco per quando c’erano “le visite” ai laboratori, e che “mettessimo in ordine” preparassimo le lavagne e gli schermi dei PC con “qualcosa di bello”.
Gli “scienziati veri”, chi sarebbero poi? Quelli che magari oggi hanno tirato fuori la molecola magica, dietro una scrivania incasinata, trovato la sintesi sopra un bancone affollato, magari anche un po’ troppo...lo stesso bancone che fino a ieri “non puoi mettere un po’ in ordine in quel casino”. Quelli pagati quando va bene il giusto. Quelli che se domani va male, se non si trova una nuova molecola magica, tra 7-8 anni potrebbero essere lì a sperare di reinventarsi come qualcos'altro, che le bollette le pagano apparentemente anche loro.
Non so quanta poesia ci si vede dietro il lavoro della fantomatica scienza. Dal mio punto di vista il fantastico mondo della ricerca sperimentale (pubblica e privata) è costellato da laboratori chiusi, in cui in più di una volta sono andata a rovistare per raccattare qualcosa che mi servisse, prima che finisse a metà tra discarica e scantinato. Di laboratori in cui il collega alla soglia della pensione ti supplicava di “salvargli” quello strumento lì, di tenergli in vita quel progetto là, fino a ieri tanto importante, ma che domani si sarebbe inesorabilmente spento con lui, per sempre.
Scienziati...veri? Di sicuro gente che ci ha dedicato energie, passione, pezzi di vita, qualche weekend di troppo, qualche nottata di troppo. A raccattare 2 fondi, mezzo strumento, una persona in più “quello è in gamba, potrebbe prendere in mano le cosa”, ma molto spesso non andava così. Finiva in una sintesi scema, nell' accettare un progetto stupido e sottopagato o sottofinanziato per poter chiudere un anno, sperando che il prossimo sarebbe stato migliore.
“Scienziati” bruciati, persi, sciolti in qualche fusione aziendale. Finiti quasi tutti nel dimenticatoio, tranne per quei 3 o 4 che avevano ispirato quei 10-20 con cui avevano lavorato. Per le HR erano semplicemente “risorse in esubero”.
Fate una bella cosa, va? La scienza e gli scienziati veri lasciateli un po’ in pace, nelle pagine di giornale, nei post. Se non l’avete mai vissuta questa vita, nella pelle, nei compromessi, nelle ossa, nelle risate ma anche nei pianti, non parlatene, non è ... semplicemente, non è roba per voi.
 
Addendum by CS: 
 
Gruppi della ricerca pubblica e universitaria sottofinanziati fino a farli morire di inedia? Visti.
 
Centri ricerche privati svuotati, chiusi, sottoposti alla "ricetta spezzatino"? Visti. 
 
Brevetti lasciati scadere perché non c'erano soldi per pagare i canoni annuali? Visti.

Come fu ricompensato il gruppo che nella precedente vita di IRBM tirò fuori il primo inibitore dell'integrasi di HIV approvato da FDA? Con lo smembramento, la mobilità, il licenziamento.
 
Stessa cosa per il gruppo GSK che in Irlanda tirò fuori Tykerb. 
 
Quando si diceva che arrivava Pfizer a comprare la baracca gli sciocchi esultavano, gli altri spedivano curriculum. 
 
Niente a che vedere con survival of the fittest, sempre che per "fittest" non si intenda quello ammanicato con la politica o con i vertici del management o quello bravo a rifilare asset da centinaia di milioni a manager di grandi farmaceutiche troppo stupidi e troppo avidi per accorgersi di quando gli rifilano un pacco (vedere alla voce "Sirtris").
 
In tutta la mia carriera sono sopravvisuto a diverse crisi del settore. A volte a malapena, una volta molto, molto a malapena, tipo che mentre ci sei in mezzo non credi che riuscirai mai a rialzarti. Mi è capitato di lavorare con altri sopravvissuti e di frequentarli. E mi è venuto da pensare che il nostro tratto comune oltre alla professionalità è il totale disincanto: la coscienza che qualsiasi risultato tu possa conseguire non ti salverà dalla scure dei tagli di budget quando la scure cadrà. Disincanto non si significa cinismo o egoismo: di atteggiamenti "meglio a te che a me" non ne ho mai davvero percepiti. Piuttosto ho percepito quella solidarietà che spesso nasce nei gruppi di individui che vivono assieme situazioni prolungate di grande difficoltà o di grande pericolo.
Mi capita spesso di pensare a quanti invece non sono sopravvissuti (in alcuni casi non in senso figurato). E continuo a credere, per esperienza, che tra chi sopravvive e chi non ci riesce la differenza non è né di merito né di competenze, ma quella cosa impalpabile a cui diamo nome sorte o fortuna. Ovviamente processi economici globali e pesanti catene economiche locali sono alla base di tutti questi fenomeni ma tu, individuo, non ci puoi fare assolutamente niente se non schivarli se ci riesci.
 
Certo, un curriculum vitae "pesante" può essere una grande risorsa (all'estero) per trovare una nuova posizione, però si tratta di condizione necessaria ma non sufficiente. 
Ecco, "condizione necessaria ma non sufficiente" era un concetto incomprensibile per molti "giovani" col pieccedì in qualcosadiscientifico che arrivavano a scanagliare sotto un post ai tempi della presenza di CS sui social. Eppure comprendere la differenza tra necessario e sufficiente può essere vitale.
 
 
 

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