mercoledì 1 maggio 2024

IL "PENSIERO UNICO" (RIDEFINITO) E LA CRITICA

Sono arrivato a pensare che la continua polemica del "sapere scientifico" contro le discipline umanistiche (Gentileeee! Croceeeeee!) sia dovuta al semplice fatto che quello che oggi è definito "scienza" non ha al suo interno strumenti critici stabili (cfr Kuhn , la "scienza normale"), mentre la filosofia contiene sia strumenti autocritici che strumenti di critica verso la conoscenza scientifica. In tempi in cui l'interpretazione "scientifica" si sovrappone alle linee di azione politica, fondandole (più o meno realmente), è abbastanza evidente che la critica a tale azione sia vista con malanimo e osteggiata, spesso avversata come "antiscientifica" o "falsa", essendo la "verità" propria della "scienza".

Girando per la rete e i media italiani l'espressione "pensiero unico" è frequente, usata sia da chi ne denuncia l'esistenza e l'azione sia da chi ironizza sui primi, obiettando che la presenza sui media di opinioni non allineate dimostra che il pensiero unico non esiste. E qui c'è l'evidenza di come il linguaggio possa distorcere le basi della dialettica. Probabilmente parlare di linguaggi prevalenti sarebbe più appropriato. E parlare di pensiero a una dimensione sarebbe stato più efficace. L'espressione è derivata da Herbert Marcuse, ovviamente. Ed è incredibile come il suo L'uomo a una dimensione risulti oggi attuale, fin dal titolo della sua introduzione, La paralisi della critica: la società senza opposizione:

In queste circostanze i nostri mezzi di comunicazione trovano poche difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni ed aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la personificazione stessa della ragione.

E questo continua ad essere vero, oggi, quando il vantaggio materiale il più delle volte è venuto meno. I nostri anni sono estremamente diversi da quelli dello sviluppo successivo alla seconda guerra mondiale. Ma gli uomini ragionevoli di cui parla Marcuse sono oggi come ieri i vettori del pensiero a una dimensione, nonostante l'inflazione, nonostante la disoccupazione. Nei nostri tempi di politiche buone a priori, qualsiasi siano i loro risultati, anche gli  uomini ragionevoli sono ragionevoli a priori, perché così è giusto.

Oggi è abbastanza evidente che il monopolio sulla comunicazione dei grandi media tradizionali è venuto meno con l'avvento dei social media. Ma la perdita del monopolio non ha significato una marginalizzazione del messaggio ragionevole, che in buona parte ha trovato casa anche sui nuovi media. Quindi se "pensiero unico" è un'arma spuntata, la fenomenologia a cui vuole riferirsi è reale e presente. Il pensiero a una dimensione è quello che definisce gli uomini ragionevoli, come il fronte del delirio è definito dai suoi articoli di fede. Ma il fronte del delirio non esprime una critica alla società a una dimensione, esprime unicamente un rifiuto legittimo, ma argomentato su tesi più che irrazionali - deliranti, appunto. Per mutuare da Prigogine (La fine delle certezze), si tratta di due visioni del mondo alienate e alienanti, simmetriche (in Prigogine le due visioni sono "tutto può essere predetto"/"niente può essere predetto"). 

Il ristretto spazio della critica, omologato dal pensiero a una dimensione al fronte del delirio, fa fatica a non cadere nell'uno o nell'altro polo di questo conflitto. A costo di essere noioso, questo deriva dal farsi catturare dal metodo dell'avversario, che fonda le sue politiche su "scienza". Si dovrebbe interiorizzare il fatto che le politiche emergenziali siano in sé pesantemente distorsive del processo democratico, che le loro basi scientifiche siano solide o no (cfr Carlo Galli, Democrazia ultimo atto?), e mettere lì l'accento. Troppo spesso invece nella dialettica politica si è voluto mirare alla "scienza" dell'avversario, per confutarla con altra "scienza" di pari infondatezza. Non a caso Metafisica Concreta di Massimo Cacciari inizia con una citazione giovannea, "Noi adoriamo ciò che sappiamo". E' l'incipit programmatico di un libro meritevole di attenzione, in cui l'operare scientifico è uno dei leit motiv. Ma la pietra d'angolo costituita da quell'incipit può saltare in aria se si innesca un aforisma nietzchano:

 «La conoscenza per amore della conoscenza » - è questo l'ultimo
tranello che ci tende la morale: è così che ancora una volta ci si coinvolge completamente in lei
.

La battaglia per "la verità scientifica" dei postulati dell'azione politica è futile perché sterile e la sua sterilità è stata ampiamente dimostrata . Nella migliore delle ipotesi lo studio (seriamente) scientifico "divergente" su cui qualcuno voglia fondare l'opposizione politica verrà tacciato dai ragionevoli e dalle politiche ragionevoli di ascientificità e di cialtroneria. La vicenda Ionnadis, su tutte, dovrebbe essere ricordata, al proposito.

Quindi non cadere nel tranello è l'unica via per la costruzione di una vera opposizione, politica e sociale.


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