Il problema riguarda efavirenz (a destra) e nevirapina.(a sinistra), largamente usati nei cocktail antiretrovirali (https://www.nature.com/articles/d41586-019-02316-x)
Sono inibitori della trascrittasi inversa del virus, che sarebbe la proteina con cui un retrovirus costruisce il proprio DNA a partire da RNA - di solito la trascrizione avviene in senso opposto, a chi volesse approfondire il tema consiglio "Il virus buono" di Guido Silvestri,
L'inibizione della trascrizione inversa è stato il primo meccanismo preso a bersaglio dallo sviluppo farmaceutico di antiretrovirali. Il razionale, che vale anche per altri antivirali, è fornire al virus un mattone "sbagliato" che la trascrittasi inversa prende per buono, ma che in realtà blocca la sua attività. La replicazione del DNA virale viene fermata, il meccanismo viene "inceppato".
Detta così sembra facile ma c'è un problema enorme: i mattoni di cui si parla sono mattoni di acidi nucleici, esattamente gli stessi che le nostre cellule usano per costruire DNA durante la replicazione cellulare (nucleosidi). Se il mattone "sbagliato" viene usato anche dai nostri enzimi, si ottiene un'azione citotossica e antiproliferativa e quindi anche immunosoppressiva. Era quel che succedeva col famigerato AZT.
Ci abbiamo messo molto ad imparare a costruire nel modo migliore i mattoni "sbagliati" (un processo niente affatto lineare che ha portato a tenofovir, approvato nel 2001) . Per dire, hanno fatto prima ad arrivare i frutti di altri approcci, come gli inibitori della proteasi retrovirale o gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa, cioè ottenuti senza seguire la strada del "mattone sbagliato". Di questa classe fanno parte efavirenz e nevirapina, per cui è scattato l'allarme resistenza.
Com'è che abbiamo l'affermarsi di ceppi resistenti? Più un farmaco di questo genere viene usato (e questi sono stati usati moltissimo) più "lasci in vita" virus mutati che hanno una struttura leggermente diversa della trascrittasi inversa. Può bastare un diverso amminoacido nelle vicinanze del sito catalitico della proteina che impedisce all'inibitore di legarsi. Potete pensare al sito catalitico della proteina come a una serratura e all'inibitore come a una chiave: basta un piccolo cambiamento nella serratura e la chiave non funziona più.
In pratica con l'uso esteso di un antivirale eserciti una pressione evolutiva sul virus, tanto più efficace quanto più il virus è capace di mutare (la stessa cosa succede, più o meno, con gli antibiotici).
Fortunatamente l'arsenale messo a punto contro HIV è decisamente vasto, e quindi il problema sarà risolto con l'uso di un inibitore di integrasi (dolutegravir) al posto di questi due principi attivi (ricordo che il primo inibitore di integrasi è venuto fuori in Italia da italiani, e questo per quelli che per anni ci hanno dipinto come una nazione di trogloditi con un settore industriale fatto da ciabattai e camiciai, e continuano a farlo).
Per essere pronti alle resistenze che insorgeranno tra 20 anni occorre lavorare ora. Curiosamente, a differenza che con altri agenti infettivi, con HIV lo si sta facendo.
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