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domenica 8 giugno 2025

DIVULGAZIONE SCIENTIFICA O SPETTACOLO?

Sono abbastanza vecchio da ricordarmi piuttosto bene dei primi '90, quando "scienze della comunicazione" era roba abbastanza nuova e Fininvest assumeva e formava "scienziati della comunicazione". Se qualcuno si ricorda cosa erano i canali Fininvest nei primi novanta ha anche presente a cosa servivano quelle scienze della comunicazione.

Andando a memoria mi ricordo qualcuno che ebbe a dire che la comunicazione della scienza era essa stessa una scienza. Il che immediatamente mi ricordò questo:

Al di là della battuta, non cogliete il parallelo tra queste due diverse "scienze" della comunicazione? Quello dei primi anni '90 era un mercato della formazione, che prometteva sbocchi lavorativi in un determinato contesto, Ed esiste oggi un altro mercato della formazione ancora con la parola "comunicazione" dentro, e l'advertising, mutatis mutandis, è scintillante come lo era nei primi '90 riguardo la scienza delle comunicazioni. 

Aggiungerei che le radici degli attuali format "comunicazione della scienza" nacquero in RAI. Quark (1981) fu rivoluzionario con il suo approccio:  linguaggio semplice, grafiche intuitive, un tono coinvolgente. Un arrangiamento modernizzato dell'Aria sulla Quarta Corda di J.S.Bach (dalla Suite n.3 BWV 1068), usato come sigla assieme a una grafica 3D che all'epoca era di per sé stupefacente completava il quadro.

Direi che quell'arrangiamento bachiano era una buona metafora della natura del format: piuttosto ruffianeggiante, buono per il grande pubblico, abbastanza distante dall'originale. E dall'introduzione si capiva bene che per il programma era stato scelto un nome strano ma "sexy", il nome di qualcosa su cui lo stesso ideatore del programma aveva idee decisamente nebulose, se non errate (il più piccolo dei mattoni della materia in genere? Cioè, anche gli elettroni sono fatti di quark? Non proprio). E questa è stata la "firma" del programma, fin dall'inizio. Per esigenze di intrattenimento quel format privilegiava narrazioni accattivanti a scapito di approfondimenti rigorosi. Ciò poteva limitare la capacità di stimolare un pensiero critico attivo negli spettatori, relegandoli a un ruolo passivo di consumatori di informazione facilitata, cioè ridotta, espunta, parziale. 

Fu quello che si dice un cambiamento di paradigma rispetto agli standard precedenti. Ai tempi, per esempio, in libreria si trovava ancora abbastanza in evidenza la collana Atlanti Scientifici, edita da Giunti. Per fare un esempio Tavole di Chimica, prima edizione 1968. Quel format era costituito da testo sulle pagina a sinistra e illustrazioni a colori sulla pagina a destra, quindi molto più accattivante rispetto al classico testo e equazioni con qualche schema o grafico in bianco e nero. Però era rigoroso. Risultato finale: se avevi una curiosità per quella materia ti rendevi conto che non era facile. Nel cambiamento di paradigma tutto questo fu archiviato: la popolarizzazione richiedeva estrema facilitazione e come risultato finale l'illusione della facilità.

Gli Atlanti Scientifici, come altre collane simili, non erano best sellers, ma non restavano in libreria a prendere polvere. Me li ricordo ben presenti, addirittura con espositori dedicati. Non erano infotainment, ma non erano nemmeno libri accademici.    Rispetto a un manuale universitario, gli Atlanti erano più leggibili. Erano un prodotto della middlebrow culture (come all'epoca lo erano Le Scienze e in una certa misura New Scientist), quindi un prodotto culturale "di massa", ma appartenente a quel gradino intermedio oggi quasi scomparso, schiacciato tra la divulgazione-spettacolo inaugurata da Quark e l’iper-specialismo.

Ho notato su youtube e in tv alcuni pierangelisti: Polidoro e Gallavotti lo sono a tutto tondo, prodotti puri dell’ecosistema della divulgazione scientifica televisiva italiana, nati e cresciuti all’ombra di Piero Angela e del suo modello di comunicazione. 

Cioè gente che parla di scienza ma che, come lo storico decano, ha una formazione quasi esclusivamente televisiva.

Quindi se si parla di "comunicazione di.."  stiamo parlando di intrattenimento, di spettacolo. Un intrattenimento e uno spettacolo che oggi come 35 anni fa ha un senso politico. Lo scopo politico dei primi '90 era "Vota Biscione!", il senso attuale è la "verità scientifica", che continua ad essere merce di scambio politico. 

I pierangelisti potrebbero essere i "padri nobili" di gente che mi ricordo dai tempi della presenza social: autoproclamatisi giornalisti, scienziati e professionisti di altro genere che esistevano solo su quelle piattaforme - per il resto nessuna traccia professionale, niente pubblicazioni, curriculum, affiliazioni, posizioni in una qualche azienda: le professionalità fantasma con nome e cognome, che però spargevano a piene mani opinioni qualificate (qualificate da chi?).

(Se non si coglie la differenza la cosa è l'esatto opposto dell'anonimato, perché se questo testo uscisse firmato con nome e cognome a chiunque in pochi secondi sarebbe chiaro chi sono, dove sono, cosa faccio e cosa ho fatto). 

Può darsi che questo sia quello il pubblico vuole: infotainment, conferma dei propri pregiudizi, risposte semplici. Che è esattamente la stessa cosa che succede con i media "complottisti". 

E' così che si fa share, è così che si fanno visualizzazioni, è così che si sterilizza il dibattito. Ed è così che tutto è ridotto ad un puro bene di consumo nel mercato dei segni.

Cosa ha prodotto la trasformazione dallo "scrivere di scienza" alla comunicazione della scienza come bene di consumo di massa? Posso produrre solamente due ipotesi di lavoro.

Prima ipotesi: la supposta "fine delle ideologie" ha prodotto un vuoto che è stato riempito da ideologie altre e nuove.

Seconda ipotesi: in questo nuovo contesto il web 2.0 con le sue piattaforme e i suoi social media è stato determinante, finendo per dar vita a bolle informative, un panorama in cui si configurano le superbolle conformiste e complottiste.

E tutto questo dovrebbe essere materia di ricerca sociologica. Di questi tempi qua sopra sempre più spesso si comincia parlando di "scienza" per trovare risposte attuali o possibili al di fuori del classico territorio scientifico (filosofia, sociologia).

E mentre si cercano risposte sia la "scienza comunicata" che il complottismo rimangono merci sugli scaffali del supermarket delle identità. 

mercoledì 21 maggio 2025

THE “SINGLE THOUGHT” (REDEFINED) AND CRITICISM

I’ve come to believe that the ongoing dispute between “scientific knowledge” and the humanities is due to the simple fact that what is currently defined as “science” lacks stable internal critical tools (cf. Kuhn, normal science), whereas philosophy contains both self-critical tools and instruments for critiquing scientific knowledge. In times when the “scientific” interpretation overlaps with political action, serving as its foundation (to varying degrees of truth), it’s quite clear that criticism of such action is met with hostility and opposition, often denounced as “anti-scientific” or “false,” since “truth” is now seen as the exclusive domain of “science.”

Browsing through Italian media and online spaces, the expression “pensiero unico” (single thought) is common—used both by those who denounce its existence and by those who mock the former, arguing that the presence of dissenting opinions in the media proves that no such single thought exists. This clearly shows how language can distort the foundations of dialectics. Probably, speaking of dominant discourses would be more appropriate. And speaking of one-dimensional thought would have been even more effective. The expression, of course, comes from Herbert Marcuse. And it is striking how his One-Dimensional Man still feels relevant today—even starting from the title of its introduction, The Paralysis of Criticism: Society Without Opposition:

“Under these circumstances, our mass media find little difficulty in selling particular interests as those of all rational men. The political needs of society become individual needs and aspirations; their satisfaction promotes business and the general welfare, and the whole appears to be the very embodiment of Reason.”

And this remains true today, even though material advantage has often disappeared. Our era is vastly different from the post–World War II years of development. Yet the “rational men” Marcuse refers to are still today’s vectors of one-dimensional thought, despite inflation, despite unemployment. In our times, where policies are deemed good a priori—regardless of their results—even “rational men” are rational a priori, because that is what is considered right.

Today, it’s quite clear that the monopoly on communication once held by traditional mainstream media has been broken by the rise of social media. However, the loss of monopoly hasn’t led to the marginalization of the “rational” message, which has largely found a home in the new media as well. So if “single thought” is a blunt weapon, the phenomenon it refers to is still real and present. One-dimensional thought defines who the “rational men” are, just as the “delirious front” is defined by its articles of faith. But the delirious front does not express a critique of one-dimensional society; it expresses only a legitimate rejection—but one based on more than irrational theses—delirious ones, indeed. To borrow from Prigogine (The End of Certainty), these are two alienated and alienating worldviews, symmetrical (in Prigogine’s case, “everything is predictable” / “nothing is predictable”).

The narrow space of criticism—equated by one-dimensional thought with the delirious front—struggles not to fall into one or the other pole of this conflict. At the risk of being repetitive, this stems from adopting the opponent’s method—one that bases its policies on “science.” We should internalize the fact that emergency policies are inherently distorting of the democratic process—whether or not their scientific basis is sound (cf. Carlo Galli, Democrazia ultimo atto?)—and focus our critique there. Too often, instead, political debate has sought to attack the adversary’s “science” with equally unfounded “science.” It is no coincidence that Massimo Cacciari’s Metafisica Concreta opens with a Gospel of John quote: “We worship what we know.” It is a programmatic beginning for a book worthy of attention, in which scientific practice is a recurring theme. But the cornerstone of that beginning may well be blown apart by triggering a Nietzschean aphorism:

“Knowledge for the sake of knowledge — this is the last snare laid by morality: we are once more completely caught in it.”

The battle for the “scientific truth” of political action’s postulates is futile because it is sterile—and its sterility has been widely demonstrated. At best, the (genuinely) scientific and divergent study upon which someone wishes to build political opposition will be labeled by the “rational” and by “rational” policies as unscientific and fraudulent. The case of Ioannidis, above all, should be remembered in this regard.

Thus, not falling into the trap is the only way to build a true political and social opposition.

martedì 20 maggio 2025

CARO AMICO TI SCRIVO... (APPUNTI PER UN MANIFESTO DELLA RESISTENZA INTELLETTUALE)

 

Caro CS,

Ho letto quello che hai scritto  Science Faith and Moralism, con molto interesse. Mi ha colpito il tono, il coraggio e soprattutto il punto di partenza: quel richiamo a Nietzsche e al rischio che anche la “conoscenza per amore della conoscenza” possa essere solo l’ennesima trappola morale. Hai usato un’immagine forte e l’hai portata dritta dentro il nostro presente, dove la scienza – o meglio, l’idea che ne ha il grande pubblico – è diventata quasi una nuova religione.

E qui non si può non darti ragione. Oggi “credere nella scienza” viene spesso usato come un badge identitario, più che come fiducia in un metodo. Un po’ come dire “io sto dalla parte giusta”. Ma la scienza vera non è questo. È dubbio, è fallibilità, è cambiare idea davanti a nuove prove. Lo sappiamo bene – e tu lo dici chiaramente – che chi fa davvero scienza non ha nessuna verità in tasca.

L’unico punto su cui forse andrei più cauto è questo: come facciamo a distinguere tra una critica sana e costruttiva, e quella sfiducia generalizzata che alimenta complottismi e disinformazione? È una linea sottile, e oggi molto facile da fraintendere. Ma proprio per questo credo che servano voci come la tua, che parlano da dentro, con cognizione di causa, e senza paura di mettere il dito nella piaga.

Grazie per aver scritto queste riflessioni. Sono scomode, ma vere. E ci aiutano a ricordare che la scienza, se deve avere un valore, lo trova nella libertà di pensare, di sbagliare e di rimettere tutto in discussione. Sempre.

Un caro saluto,
Un lettore

Egregio lettore, 

Vedrò di essere ancora scomodo. Cosa sia la "scienza vera" non lo so. Qualche idea in proposito la aveva Baudrillard (Simulacri e simulazione, 1981). Per Baudrillard, la scienza moderna (meglio, la scienza nel discorso pubblico) non è più un puro processo di scoperta, ma un sistema di segni che si auto-legittima attraverso rituali, istituzioni e narrazioni. Tu parli di “scienza vera” richiamando dubbio e falsificabilità. Baudrillard probabilmente la riterrebbe è un’immagine idealizzata, un segno che evoca un’epoca mitologica in cui la scienza era percepita come incontaminata da interessi politici o economici. In un’iperrealtà, però, questo segno non rimanda a alcunché di oggettivo: la scienza, come discorso pubblico, è sempre stata intrecciata con potere, finanziamenti e ideologie (Il terzo ladro, nella visione di Isabelle Stengers). Se per scienza vera intendi la realtà delle discipline scientifiche allora è diverso, ma credo che ci sia da porre la questione dei termini: meglio chiamare le cose con il loro nome, senza astrazioni al limite del metafisico.

In parole povere e capovolgendo la prospettiva, se i risultati delle discipline scientifiche sono segnale, quello che ne arriva nel discorso pubblico è perlopiù rumore (i segni, usati in una lotta tra narrazioni in cui quella sulla scienza vera si confonde con le altre). L'illusione prevalente nel grande pubblico è che segno e oggetto coincidano. Incrociare su twitter qualcuno che sosteneva di conoscere la meccanica quantistica perché aveva letto un paio di libri di Hawking fu un'esperienza tanto surreale quanto significativa.

E' nel rumore che nasce e vive la dicotomia tra conformisti e complottisti. Come si migliora il rapporto tra segnale e rumore? Non con l'attuale divulgazione scientifica, definita da Walter Quattrociocchi un'occasione persa.

Quanto alla distinzione tra critica sana e sfiducia generalizzata di primo acchito ti direi che anche questo è un problema mal posto. Una critica che sia tale è basata su un'analisi: che il risultato sia costruttivo o meno non è pertinente. La critica apre il problema, non lo risolve. Ma aprire il problema quando la maggioranza sostiene che il problema non esiste è il primo indispensabile passo. Come criterio di distinzione tra critica e sfiducia generalizzata proporrei, di nuovo, la laicità. La sfiducia generializzata non è mai laica, è il dominio dei complottismi, cioè delle fedi settarie.

Quindi che ti dovrei dire riguardo la sfiducia generalizzata? 

Che è sempre lì dopo anni perché il problema non è stato aperto, ma si è pensato che la guerra al complottismo fosse la soluzione?

Che ormai il danno è fatto e sta lì, anche nelle massime sedi del potere mondiale? Che chi ha seminato vento ha poi raccolto tempesta? 

Quel che intendo è che il Re andava in giro nudo da anni (continua a farlo) e ogni invito a mettersi almeno una vestaglia è stato liquidato con un "Si levi la parola all'eretico!". Quindi cosa aggiungere se non che quem Iuppiter vult perdere dementat prius

Siamo dove siamo perché a troppi non interessava cambiare rotta per molti motivi, in primis il difendere una stabile rendita du posizione o essersene costruita di fresco una con la fortuna mediatica (ogni riferimento alle virostar onnipresenti in tempo di COVID è del tutto voluto). 

Come si esce da tutto questo? Non esistono soluzioni veloci o nel medio periodo, o perlomeno io non ne intravedo. Ti consiglio caldamente la lettura de L'industria del complottismo di Mathieu Amiech, che pur non parlando di scienza tratta il problema. Si potrebbe dire che chi ha propagandato una certa idea di scienza non ha vinto la battaglia per quel che c'è nella testa del pubblico, altrimenti i complottisti non esisterebbero più. Ma se qualcuno aveva invece come scopo la sterilizzazione del dibattito, beh, la sua guerra l'ha vinta e stravinta.

A parte continuare a insistere sul rigore in materia di scienze, magari a vuoto, quali opzioni restano, quindi? In primo luogo quella della resistenza intellettuale. 

Resistenza contro l'impoverimento del linguaggio e del pensiero: un linguaggio povero implica un pensiero povero.

Resistenza contro la semplificazione eccessiva di temi altamente complessi.

Resistenza contro l'idea che qualsiasi tema debba essere comunicato in modo da essere accessibile a chiunque senza sforzo: alzare il livello per preservare il messaggio.

Resistenza, quindi, nell'attesa che chi vive nel dibattito sterilizzato venga travolto dalle rovine del sistema in cui ha prosperato.

In secondo luogo resta l'opzione della laicità, unico antidoto al vicolo cieco del confronto tra conformisti e complottisti. Ma occorre non illudersi, perché al giorno d'oggi tutto converge nella direzione opposta.

PS: Questa Resistenza è nel DNA di CS. Dall'archivio ripesco qualcosa di scritto nel novembre 2017, cioè sei mesi dopo il debutto della pagina facebook:

Questa è la cifra dell'imbarbarimento del "dibattito". L'abbassare il livello, affinché il messaggio arrivi alla platea più estesa possibile. Qua sopra di abbassare il livello, come qualcuno avrà inteso, non se ne parla. Per questo le obiezioni standard del proscienza dogmatico medio che arriva qua sopra sono "Devi vergognarti di quel che dici sui vaccini" (un pediatra) , "Diffamare alle spalle è sempre sintomo di profondo disagio" (Butac),"Ripetenti analfabeti" (Roberto Burioni), "offendi e insinui contro Burioni, scienziati, Oms, gente che ne capisce" (un PhD student dall'acuta intelligenza) "coglione immagino grillino oppure coglione e basta" (una di passaggio). Argomenti 0. Perché nel livello abbassato del dibattito la lesa maestà conta, la lesa logica no (figuriamoci lesa chimica, lesa matematica, lesa statistica, leso cGMP). Perché il livello non può essere indefinitamente abbassato senza perdere di significato, e una volta che il significato è perso, è perso e ottieni sia quel tipo di mentalità che traspare dai commenti che ho riportato che il suo riflesso opposto. Nel deserto del significato l'argomentazione delle scienze galileiane sparisce dall'orizzonte, per lasciar spazio al dogma. La cosa viene considerata un sacrificio accettabile, l'importante è il considerare qualsiasi argomento solo in funzione del fine. E' il classico "il fine giustifica i mezzi" di gente che segue la linea del Partito di quelli che hanno ragione.  

Se qualcuno arriva oggi a leggere queste righe e si chiede come andava a finire a quei tempi con questi commentatori (e con quelli dell'opposto fronte), la procedura era bannarli con un motto decententemente brillante, immortalare lo scambio in una apposita galleria e poi dimenticarsene senza strascichi di flame, mortalmente noiosi. Il tempo necessario a capire che non era il caso di farsi sotto così, in quelle platee, è stato di circa 3 anni. Quando si dice velocità di comprendonio... Mi dicono che nessuna scienza è rilevante, al riguardo, che occorre ricorrere a Habermas, Gadamer e Wittgenstein, cioè a quella filosofia che chi ha fede nella scienza ritiene del tutto inutile.

domenica 18 maggio 2025

E' NATO IL VACCINO ANTI ALZHEIMER. DAVVERO?

https://www.repubblica.it/salute/2025/05/07/news/alzheimer_demenze_vaccini_cervello_neurologia-424170662/

La prima cosa che mi è venuta in mente è che qualcosa del genere l'ho già sentito. La storia della comunicazione della ricerca pubblica e accademica sui vaccini anti Alzheimer è molto lunga ed è una storia di promesse non mantenute (come quella dello sviluppo farmaceutico industriale dove però le promesse erano perlopiù fatte agli azionisti e non al grande pubblico) . 

Il vaccino anti Alzheimer era già nato, nel 2007, in Giappone:

 

https://www.reuters.com/article/economy/alzheimers-vaccine-works-on-mice-japan-scientist-idUST199404/

Poi nel 2012, in Italia

https://www.osservatoriomalattierare.it/alzheimer/1592-alzheimer-cnr-brevetta-vaccino-contro-gli-accumuli-di-beta-amiloide-nel-cervello

Poi nel 2023, di nuovo in Giappone:

https://gizmodo.com/japan-experimental-alzheimers-vaccine-is-promising-1850700985
 

In cosa differisce il vaccino dell'università del New Mexico dagli altri? In ben poco. E finora dopo ogni annuncio, da quasi 20 anni, niente si è materializzato. Per quale motivo?

La cosa riguarda l'ipotesi amiloide  (e per quanto anche dell'anti Alzheimer della Fondazione Montalcini, dopo un certo clamore mediatico, nessuno ha sentito più parlare). 

Tutti i precedenti vaccini (sperimentali) erano anti beta amiloidi. E negli ultimi 20 anni la sperimentazione clinica di farmaci anti-amiloidi è una storia di dolorosi e costosissimi fallimenti. Ma non c'erano in ballo solo gli anti amiloidi, la storia riguarda anche i trattamenti anti tau, usati in combinazione con gli anti amiloidi o da soli.

Il nuovo vaccino del New Mexico non è anti beta amiloidi ma anti tau. Cioè dovrebbe funzionare con un meccanismo coprotagonista di 20 anni di fallimenti clinici. Non solo direi, come si dovrebbe dire sempre, che essendo una ricerca in fase preclinica è troppo presto per dire "C'è un vaccino" (o "C'è un farmaco). Ma è molto probabile che la sperimentazione nell'uomo non ci sarà mai. Perché nonostante alcuni eventi inizialmente promettenti (Aduhelm, poi ritirato dal mercato, e Lecanemab) ogni entusiasmo o speranza è stato ridimensionato dalla bassissima efficacia associata a costi molto alti.

La situazione non è cambiata, per la sperimentazione clinica servono molti soldi (decine di milioni per arrivare solo alla fase I) ed è improbabile che un soggetto decida per un simile investimento, esaminando la storia precedente: nessuno dei vaccini che furono annunciati è mai arrivato alla fase III della sperimentazione clinica a causa della loro inefficacia e in un caso la sperimentazione venne interrotta per gli effetti collaterali (infiammazione cerebrale). Improbabile che, oggi qualcuno voglia imitare non solo Ely Lilly, che su beta amiloidi e tau ha bruciato miliardi di dollari, ma anche Biogen (per cui Aduhelm non è stato esattamente remunerativo).

Quello che avvilisce nel titolo di Repubblica è che dà ad intendere che questo vaccino presto ci sarà, dando false speranze a centinaia di persone che la tragedia dell'Alzheimer in famiglia l'hanno già conosciuta e temono per le proprie condizioni in età avanzata a causa della predisposizione ereditaria. 

sabato 10 maggio 2025

WRITING ABOUT SCIENCE?

 

https://archive.org/details/lescienze-160/mode/2up?view=theater

(Originally posted on November 6, 2023)

Once upon a time, there was Scientific American. Douglas Hofstadter, who introduced me to feedback and recursivity, and Martin Gardner had regular columns back then. And if you browse through the pages of this 1981 issue, you'll realize how radically different the editorial content was compared to today's approach—regardless of considerations about the caliber of the authors, especially in the Italian edition, which would also be worth discussing...

You see, when I think of "science writing," I envision a standard set by Scientific American and New Scientist until the late 1980s. As for addressing current scientific topics in public debate, I cannot help but recall the masterful classic by Robert May and Roy Anderson, The Logic Of Vaccination (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/la-logica-della-vaccinazione-1982-uk.html). A classic that marks the abyss between the level and quality with which these topics were treated then and what is mostly called "popularization" or science writing today: no one, especially in Italy over the last five years, has wanted or known how to address the topic of vaccinations in this way. In fact, five years ago, when I reintroduced this text, I was mostly accused of heresy (the most dim-witted classified it as obsolete material). The fact is that May and Anderson knew and understood the subject well because they had been working on it for some years. The science writer of recent years, especially in Italy. not only lacked specific knowledge on the matter but also the conceptual tools to understand the topic, so they relied on a "medical community" that was, unfortunately, equally incompetent on the subject. And the result has been evident over the years, from the time of the furious italian debate on measles and mandatory vaccination to the last two COVID years when the only word allowed was "exponential," whether the curve was bending or declining. And every ripple in the baseline became the beginning of a new epidemic peak.

But let's return to "science writing." If I read some titles suggested by Nature (https://www.nature.com/articles/d41586-022-04236-9), I don't see anything that interests me (pandemics and climate are political issues, science has nothing to do with it), but they appear significant to me: they follow the market. But this is generally what is referred to in Italy when discussing scientific literacy: education on topics (and their current vulgate), not education on method—despite the vast audience of scientifically incompetent people who "spread science" and fill their mouths with the phrase "scientific method." Educating on method means, first and foremost, educating on practice, and sorry to say, in many high schools, the science laboratory was an unused relic of the past already in the 1980s.

When those who write about science come from scientific practice, it's usually noticeable, or at least I perceive it well. An emblematic case is Giacconi's "The X-ray Universe." But I also found Lisa Randall's writing skills fascinating. Forget for a moment the context of her Warped Passages (2006), that is, the factions for and against string theory, quantum gravity, and all the rest. And absolutely forget the book's marketing ("Randall has opened the doors to the multiverse"). It was, first and foremost, a brilliant attempt to write the history of recent physics without a single equation but minimizing the loss of information, a successful attempt, in my opinion (according to others, who later found themselves perfectly at ease with Carlo Rovelli's Seven Brief Lessons on Physics Randall's text is very difficult).

Her subsequent book, Knocking on Heaven's Door (2012), was released almost simultaneously with the detection of the Higgs boson at the LHC. This forced the author to write a long preface and an even longer introduction. Writing books on contemporary physics from a historical perspective during that period was an extremely risky work. Perhaps this is also why Randall's text initially disappointed me at the time. After more than 10 years, I reopened it and found it significant in more than one aspect.

First, reiterating the role that physical laws have, or do not have, depending on the scale at which the phenomenon occurs, which is far from common in science popularization, especially in Italy (I briefly discussed this here: https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2021/10/chimica-gravita-posizione-del-sole.html). If people have lost count of those who have launched against quantum mechanics inappropriately, on the other side with crossbows drawn and the like, they have fallen exactly into the same pattern, bringing up Einstein where relativity has no significant role (phenomena described by classical mechanics and thermodynamics).

Second, the account of the author's relationships with interlocutors outside the "science profession": screenwriters, journalists, politicians. And it's something that reminds us that in the USA, certain phenomena begin about ten years ahead of Italy (the difficulty of relating to the "general public," which usually receives scientific knowledge in a badly distorted way).

Third: attention to the experimental part, from the construction of the LHC and the experiments to the problem of data and how to process it.

Fourth: the attitude of someone who has measured themselves against experimental evidence, respecting it. And here I cannot help but quote:

"Making precise and reliable predictions is a difficult undertaking. Even when one does one's best to model everything that is important, the input variables and assumptions introduced in a certain model significantly influence the conclusions. Thus, predicting a low risk makes no sense if the uncertainties associated with the initial hypotheses are greater than the calculated risk value. If a prediction is to have any meaning, it is important that the problem of uncertainties introduced into the calculation be carefully weighed and duly taken into account.

Before moving on to other examples, let me tell you a small anecdote that helps frame the problem. At the beginning of my research career, I observed that the Standard Model, for a certain quantity that was intended to be studied, had a more extensive range of values than previously thought: this was due to a quantum contribution, the magnitude of which depended on the surprisingly high value of the top quark mass, as recent measurements indicated. When I presented my results at a conference, I was asked to plot the trend of the new predictive data as a function of the mass attributable to the top quark. I refused, because I knew that several contributions would have to be taken into account and that the residual uncertainties involved too much variability in the result for such a curve to be drawn, as had been requested of me. It happened, however, that an 'expert' colleague underestimated the uncertainties and drew such a graph (not unlike what happens in predictions in non-physical domains).

The 'expert' colleague was quickly contradicted by experimental evidence and exhibited a behavioral pattern that should not be unfamiliar to you: I was wrong but I was right (and she was right but she was wrong). As for 'not unlike what happens in predictions in non-physical domains'... well, no need to rake up the events of two years of pandemic, from models to drugs.

I find this passage from 11 years ago or thereabouts frighteningly relevant. Let's skip over the difference in specific weight between those who write about science based on hearsay and those who do so based on competence and experience. It's also a matter of attitude: in the short term, respect for data doesn't pay off, treating it nonchalantly does (cf., again, two years of pandemic). Someone should have learned, even in the vast chaos of the web and social media, to distinguish between the ones and the others, in both categories (including hands-on experience and its absence, I mean). Then look at who writes about science on social media (or on the italian edition of Scientific American) and draw the appropriate conclusions, because it's about time.

 

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...