Nei giorni in cui si usciva, malconci, dalla Fase 1, sul blog del
Chimico Scettico leggevo un ardito paragone con quello che fu uno dei
più grossi disastri militare della storia bellica italiana: la sconfitta
di Caporetto.
Il Chimico Scettico ricordava l’attacco
austriaco con il gas fosgene che fu devastante per le truppe italiane
protette da maschere antigas completamente inadeguate, paragonandolo
alla iniziale carenza di DPI nei primi giorni dell’epidemia negli
ospedali e nei reparti che dovevano gestire l’emergenza (
https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2020/04/covid-19-la-caporetto-della-sanita.html)
Penso, tuttavia, che il paragone non si debba fermare a questo
episodio. Caporetto, oggi Kobarid in Slovenia, costò la vita a 12000
soldati italiani ed è riconosciuto dagli storici come la responsabilità
della sconfitta fosse da attribuire agli errori degli alti comandi e
alla impreparazione bellica delle truppe.
Quando il SARS-Cov-2
colpì la popolazione italiana alcune decisioni o non-decisioni causarono
conseguenze altrettanto devastanti, ma, come per la preparazione
bellica, gli errori furono anche conseguenza di azioni ed omissioni che
provenivano dalle decisioni prese negli anni precedenti.
Ma su quali “fronti” siamo stati dunque travolti dal virus?
LA CAPORETTO DEL PIANO NAZIONALE.
In risposta all’epidemia di SARS del 2003 fu redatto un Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale (
https://www.epicentro.iss.it/…/flu_a…/pdf/pianopandemico.pdf )
del 13 Dicembre 2007 che prevedeva la convocazione di un gruppo di
valutazione per avviare le decisioni necessarie a fronteggiare la
pandemia. Non si sa se tale gruppo fu convocato o meno, addirittura in
Gennaio, ma sicuramente, nessuna decisione rilevante fu presa sino al
fatidico 9 marzo, data della dichiarazione del lockdown. Che la
situazione fosse grave in Cina era già chiaro sin dal 23 Gennaio, quando
fu messa in quarantena Wuhan, una città di 6 milioni di abitanti,
probabilmente già con un ritardo di almeno 15 giorni. In Italia, fra
mille polemiche, i voli dalla Cina furono sospesi dal 31 Gennaio, ma
senza avviare nessuno degli interventi di identificazione dei possibili
contagiati, arrivati nel periodo precedente. Invece, si perdeva tempo
con inutili polemiche sull’emergenza razzismo nei confronti della
comunità cinese.
Poi abbiamo saputo che simili ritardi furono
presenti anche in altri paesi europei, in particolare in Germania ed
Austria, da cui pare siano pervenuti i primi casi venuti poi in contatto
con pazienti Lombardi. Ma qui si vuole sottolineare come il Piano
Nazionale non sia stato sufficiente ed adeguato per virus non
influenzali, oppure non sia stato attivato con sufficiente tempestività,
costituendo quindi la prima linea di “sfondamento” dell’attacco virale.
LA CAPORETTO DELLA LOGISTICA
Dalle notizie che giungevano dalla Cina già in Gennaio, fu abbastanza
evidente da subito come fossero indispensabili mezzi di contenimento del
contatto virale (DPI, maschere chirurgiche, guanti, abiti, ecc..),
innanzitutto per il personale sanitario, ma anche per la popolazione. E
fosse altresì importante dotarsi di sufficienti dispositivi di
ventilazione polmonare in ambiente protetto per far fronte alla
polmonite interstiziale che poteva provocare, nei soggetti anziani o con
pluripatologie, il decesso. In questo, l’iniziale lentezza
nell’approvvigionamento di questi presidi sanitari, risultò esiziale nel
favorire la diffusione della virosi, proprio negli ospedali e nelle
strutture che avrebbero dovuto far fronte all’invasione.
La
logistica poi, ancora adesso, ha limitato l’esecuzione dei tamponi
nasofaringei per l’identificazione diretta del virus. Questo strumento
non è stato immediatamente disponibile, ma lo si è definito una volta
identificato il genoma del virus (approssimativamente a fine gennaio in
Cina) e si sono dovute adattare le tecnologie necessarie. Ancora a metà
Marzo i laboratori italiani in grado di eseguire la determinazione erano
spaventosamente pochi. In Piemonte erano solo 2 ed a tutt’oggi si è
arrivati, ma con grande fatica, a superare appena i 30, includendo i
laboratori privati. Ma non è solo un problema di mancanza di laboratori:
anche il personale per l’effettuazione del test è essenziale. E deve
essere personale sanitario un minimo addestrato. E qui arriviamo al
fattore limitante più serio. Ammesso che kit di laboratorio, reagenti e
strumenti fossero sufficienti, e non lo sono nemmeno adesso, è stata la
cronica carenza di personale che affligge da decenni il nostro SSN, ad
impedire di fatto la corretta applicazione di questo strumento
diagnostico, essenziale per l’identificazione ed il successivo
trattamento preventivo delle persone contagiate.
A Caporetto un
esercito forte di 3 milioni di soldati fu sconfitto da un esercito
numericamente inferiore, ma meglio organizzato (in realtà alla 12°
battaglia dell’Isonzo, quella di Caporetto, le forze italiane arrivarono
esauste con uno schieramento in campo inferiore per uomini e mezzi).
Qui, almeno, abbiamo la giustificazione di aver affrontato la battaglia
in evidente inferiorità numerica.
LA CAPORETTO DELLE STRUTTURE OSPEDALIERE
La nostra prima linea, i dipartimenti di emergenza, arrivarono
all’appuntamento con il destino completamente impreparati. Nei primi
giorni, interi reparti di pronto soccorso (e le seconde linee di
logistica ospedaliera) furono contaminati perché accolsero i pazienti
senza protezioni e senza procedure di contenimento. Immediatamente fu
chiaro, dall’esperienza cinese e dalle proiezioni che ormai giravano (i
famosi “modelli”) che la disponibilità di terapie intensive non sarebbe
stata sufficiente, venendosi così a sommare ritardi nella logistica e
nelle decisioni di contenimento, ormai tardive per evitare il primo
impatto. A fronte di cifre di malati, anche gravi, che aumentavano a
ritmo esponenziale, si decise di “alleggerire” le strutture ospedaliere,
invece di rafforzarle, inviando i pazienti ad intensità di terapia
intermedia, ma pur sempre contagiosi, nelle RSA. Ma se i nostri ospedali
pubblici risentivano di anni di carenze di investimenti, le RSA stavano
anche peggio: da sempre in mano a gestione privata, le carenze di
personale e strutture erano conosciute da tutti. Quelle che avevano
investito in strutture lo avevano fatto nel settore riabilitativo,
nell’assistenza della grande vecchiaia e del fine vita, non certo
pensando al contenimento di malati infettivi.
Ma, considerando
come stavano le cose, difficilmente si sarebbe potuto porre rimedio in
tempi brevi ad una situazione di carenza cronica. Perché il
de-finanziamento del nostro SSN non comincia adesso: sono almeno 10 anni
che il budget a disposizione non subisce gli adeguamenti del caso, con
una perdita stimata in 37 miliardi che ha attraversato governi di vario
colore politico
(
https://www.gimbe.org/…/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_D… ).
Il risultato è stato, ed è tuttora, una carenza, soprattutto nei
settori di emergenza, con situazioni di sotto organico che costringe il
personale a turni massacranti e quindi a rischio “errore” sanitario
maggiore che altrove. Questa situazione non è ovviamente omogenea su
tutto il territorio nazionale, ma forse la retorica del “miglior
servizio sanitario del mondo” e le “eccellenze” del Nord, andrebbero
severamente ridimensionate. La personale impressione è che tali carenze
da tracollo immediato non fossero evidenti solo grazie al personale
sacrificio degli operatori che hanno mantenuto in uno stato accettabile i
servizi, nella situazione di normalità precedente alla crisi.
A
rivedere, come in un film “Luce”, le dichiarazioni roboanti di certi
esponenti politici nazionali e regionali sulla nostra sanità, precedenti
al COVID-19, mi vien da pensare ai carrarmati ed aerei di cartone (
https://gianluigiagora.wordpress.com/…/come-i-carri-armati…/ ) esibiti, anni dopo Caporetto, da un reduce (
http://www.storiain.net/…/il-diario-in-trincea-di-mussolini/ )
che fece fortuna politica negli anni successivi.
LA CAPORETTO DEI DIPARTIMENTI DI PREVENZIONE E DELLA MEDICINA DI TERRITORIO
Se possibile, il de-finanziamento dei Dipartimenti di Prevenzione, nel
corso degli anni, è stato ancora maggiore e più devastante.
Perché, in una epidemia, il lavoro di questi Dipartimenti è essenziale?
Perché la diffusione dei microorganismi è essenzialmente comunitaria e,
prima di giungere in ospedale, la circolazione va fermata indentificando
i contatti, sorvegliando, e prendendo tutti i provvedimenti necessari
al confinamento dei casi asintomatici o paucisintomatici. Il parziale
successo ottenuto in Veneto è dovuto al potenziamento di questa attività
e nella sua messa in opera immediata (
https://www.huffingtonpost.it/…/il-veneto-ha-raggiunto-lo-z… ).
Nei vecchi Servizi di Igiene esistevano figure specializzate in quello
che adesso viene chiamato il “contact tracing”, ma che una volta veniva
chiamata l’indagine epidemiologica e che richiedeva competenze ed
addestramento specifici. Ho avuto la fortuna, per mere ragioni
anagrafiche, di lavorare con le assistenti sanitarie addette a quella
attività, in occasione del contenimento della tubercolosi e meningite. E
devo dire che la loro professionalità nell’approccio alle persone non
può essere nemmeno lontanamente sostituita o vicariata da una App di
segnalazione od altre tecnologie. Pensionate quelle figure, e
addirittura scomparsa nel panorama formativo, questa figura
professionale, si perse un enorme patrimonio di esperienza pratica che
non fu poi passata a nessuna nuova generazione.
Inoltre, la rete
di relazione fra i medici di base, primo presidio del territorio, ed i
Dipartimenti di Prevenzione, strutture, almeno sulla carta, deputate ai
successivi trattamenti comunitari, non ha mai funzionato veramente, sin
dai tempi, credo, della costituzione del SSN.
Questo per vari
motivi. Innanzitutto, la relazione è stata orientata sempre di più verso
un controllo burocratico-repressivo dell’operato dei medici di medicina
generale, visti, per lo più, come origine di costi inappropriati
tramite richieste diagnostiche inutili oppure di prescrizioni eccessive
di farmaci. Ed anche i settori della prevenzione si sono sempre di più
orientati verso le sole attività di vigilanza e repressione delle
violazioni delle normative igienico-sanitarie. In fondo, l’unica
attività di prevenzione pro-attiva, è rimasta l’organizzazione
dell’offerta vaccinale.
Ora, una truppa professionalmente
impreparata, numericamente insufficiente (ed è un gentile eufemismo), e
tecnologicamente non attrezzata, è stata travolta generando effetti
tragicomici come lo smarrimento delle mail di segnalazione di casi da
parte dei medici di base
(
https://www.lastampa.it/…/perse-le-mail-dei-medici-di-base-… ).
La situazione in cui versano i Dipartimenti di Prevenzione, e
verseranno anche dopo, visto che non pare ci sia ripensamento sulla loro
organizzazione da nessuna parte, fa ancora più contrasto con le
dichiarazioni dei politici, di qualsiasi schieramento politico e di ogni
livello di responsabilità, nazionale, regionale o locale, che si
sentivano ad ogni convegno sulla prevenzione che ha attraversato il Bel
Paese pre-covid.
LA CAPORETTO DEL SISTEMA INFORMATIVO
Condizione essenziale per la riuscita di qualsiasi campagna bellica è la
disponibilità di notizie affidabili e di un buon sistema di
comunicazione. A Caporetto, il secondo giorno dall’inizio delle ostilità
(26 Ottobre), al Colonnello Antonicelli giunse l'ordine, portato da un
tenente, di abbandonare la posizione entro la mattina del 27. Sorpreso
per una ritirata ordinata ben un giorno prima, il nuovo capo della
Brigata Salerno (ferito il Generale Viora che la comandava) chiese
informazioni al portaordini il quale disse che probabilmente si trattava
di un errore del comando di divisione, ma Antonicelli volle essere
sicuro e obbligò il tenente a ritornare con l'ordine corretto, ma quando
il messaggio corretto arrivò a destinazione, il Tenente Erwin Rommel
(il futuro Feldmaresciallo) al comando di un distaccamento di
Alpenkorps, aveva ormai nel frattempo circondato e preso il monte
Matajur, punto chiave per la difesa di Cividale.
Ora, evito di
commentare nel dettaglio il bailamme informativo che si è generato nella
raccolta e successivo trattamento delle informazioni (quanti positivi,
su quanti campioni effettuati, totale pazienti, ma esclusi i guariti
oppure no) che ha disorientato anche gli esperti, generando, specie
ultimamente, sospetti di manipolazione. Tuttavia, è doveroso rilevare
come i normali sistemi informativi sanitari si siano rilevati inadeguati
sin dall’inizio. In particolare, il sistema di rilevazione dei
deceduti e la certificazione delle cause ha dimostrato tutta la sua
inadeguatezza. A tutt’oggi non sappiamo quanti morti abbiamo avuto sino
alla fine di Aprile in Italia, ma solo su un insieme non completo di
comuni e sino al 15 Aprile. E qui si parla del minimo sindacale, ovvero
della rilevazione semplice dello stato in vita.
La distanza fra
le possibilità tecnologiche (app sul telefonino, tracciamento
automatico, ecc…) ed il ritardo di una informazione che non è nemmeno
dato sensibile, ovvero non protetto dalla normativa GDPR, è abissale. E
solo contemplando più da vicino l’abisso si capisce quanto orrenda sia
la situazione.
Il nostro sistema di rilevazione delle cause di
morte si basa su un sistema sostanzialmente introdotto ai tempi della
rivoluzione francese che mette in capo al sindaco la registrazione dello
stato civile prima di pertinenza della parrocchia ed “esportato” sino a
noi da Napoleone: la certificazione è fatta dal medico su un foglio
(formato A3, nemmeno tanto agile da manovrare) in duplice copia. La
prima va all’ISTAT, e la seconda all’ASL dove è avvenuto il decesso, che
provvederà, in caso di deceduti residenti in altro comuno a trasmettere
copia all’ASL del comune di residenza. A parte gli errori di
compilazione e l’illeggibilità della copia laddove non si abbia cura di
calcare nella scrittura, i tempi di trasmissione allungano ancora di
più tutto il processo. Chissà se qualcuno prenderà seriamente in
considerazione un aggiornamento del sistema napoleonico (e ringraziamo
almeno il passaggio di Napoleone).
LA CAPORETTO DELLA RICERCA
Assorbita la botta iniziale, con numerose vittime fra lo stesso
personale sanitario, medici e ricercatori italiani hanno iniziato a
cercare di capirci qualcosa ed a provare a rallentare il decorso
catastrofico della malattia.
Sicuramente alcune buone idee sono
nate, come la proposta di uso di Tocilizumab, che modula la risposta
immunitaria troppo violenta. Oppure, l’identificazione di trombi, prima
nel polmone, poi anche in altri distretti, che innescarono l’uso di
eparine a basso peso molecolare e che hanno probabilmente ridotto il
numero di pazienti che arrivavano in terapia intensiva. Poi il plasma
iperimmune, strumento non nuovo e già utilizzato in Cina durante
l’epidemia.
Tuttavia, se guardiamo la produzione di articoli
scientifici su questi ed altri argomenti correlati a questa epidemia,
vediamo che la presenza dell’Italia, non degli italiani in generale,
presenti nelle istituzioni scientifiche di tutto il mondo, è
particolarmente carente. E non poteva certo essere un problema di
carenza di pazienti ad aver impedito la produzione di un numero
importante di ricerche. Non posso nemmeno pensare che manchino
professionisti preparati, dal momento che ne esportiamo ovunque. Forse
il problema è proprio questo: li esportiamo perché il sistema di ricerca
in Italia è quasi assente.
La ricerca scientifica può sembrare
un lusso inutile, ma invece, proprio in queste situazioni, quando quello
che manca è una conoscenza approfondita del nemico, “l’intelligence
scientifica” è indispensabile. Invece la maggior parte ci ciò che è
pubblicato proviene dagli USA e dalla Cina, anche su temi su cui i
nostri medici sono stati presenti da subito. Questo testimonia, ancora
una volta, quanto sia fragile il sistema di ricerca italiano, ancora
suddito delle grandi istituzioni internazionali e sostanzialmente
incapace di offrire un habitat adeguato, attrezzato e generoso di giusti
riconoscimenti anche economici a chi ci lavora.
Come si può
capire da questa breve disamina si può senz’altro affermare che, come a
Caporetto, la responsabilità non fu dei “soldati”, medici, infermieri e
tutto il personale, ma anche essi furono le vittime di decisioni
sbagliate, da cui si spera si potrà, in futuro, imparare qualcosa.
Nell’immaginario italiano Caporetto fu identificata come la sconfitta
per eccellenza, tanto da essere incorporata nelle espressioni della
nostra lingua.
Chissà come entrerà nella nostra epica nazionale questo periodo.
E quale sarà la nostra linea del Piave?
Stefano Rosso, medico
NdCS: La linea del Piave non è stabilita, e pare ci sia intenzione di non stabilirla, perché invece di parlare di questi temi si parla d'altro:
la polarizzazione sulle mascherine è una vetta assoluta di demenza - obbligo di stracci senza alcuna certificazione vs "respiri anidride carbonica".