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giovedì 20 febbraio 2025

ESPERIMENTI IN CUCINA: LA TERZA VIA, TRA KABOOM E CRISTALLI BLU - by Starbuck

Il weekend trascorre a casa in solitaria per recupero da una serie di malanni da raffreddamento, mentre il resto della famiglia è in gita da parenti. Mangio gli avanzi del pranzo del venerdì in piedi davanti al camino, mentre concedo uno sguardo al cellulare. Ed ecco la foto dell’ "impiatto perfetto" del CS, che –per pranzo altrettanto solitario – confeziona manicaretti dal bell’aspetto.

Perché ammettiamolo pure, il finesettimana giù al Nord Europa –prendi un aereo e vai a trovare un vecchio amico – ha anche questo tra i suoi vantaggi: i chimici cucinano. Tendenzialmente bene. Ora a dirla tutta il CS non copre l’area "baking", cioè non fa torte: in passato avrei rotto ogni rapporto per molto meno, però in questo caso compensa con sformati e sformatini e cotture a forno a vapore, per cui... l’amicizia tra noi è ancora salda. Già, i chimici cucinano. Si stupiva la mia collega di ufficio appena arrivata (un'ingegneria in qualcosa) che il tipo burbero in fondo al corridoio al pranzo di team avesse cucinato spettacolarmente: "E ci credo, è un chimico! I chimici tre cose: kaboom, cristallini blu e cucina. Ah, lavano i piatti in maniera spettacolare!”

Si perché di queste tre cose si parla alla fine nei finesettimana o nei uotsap “col CS”:

1)      Argomento tipo 1 – e risate, ovvero roba che è saltata: KA-boom! Si va dal posacenere con il fulminato di mercurio ai reattorini da 5l, passando per il goccio di azoto liquido in bottiglia di plastica, ma il repertorio è piu’ ampio e sodio e magnesio non mancano mai di essere citati;

2)      Argomento tipo 2 – e futuri alternativi -: racconti di tizio e caio e delle loro sintesi alternative o al limite del legale e della famigerata alternativa di lavoro in Messico-e-Nuvole come ultima scialuppa al definitivo crollo della chimica europea;

3)      Argomento tipo 3 – mentre si sorseggia vino, con sguardo attento: come far convivere funghi e tonno felicemente o creare una carbonara di carciofi (con la mia solita conclusione “per me va tutto bene basta che non cucino io stasera”)

Non è un caso che l’omino di Breaking Bad facesse saltare laboratori con fulminato d’argento, o che l’altro omino di Smetto quando voglio, fosse finito a lavorare in una cucina (nota: non ho visto nessuno die due, ma il precedente collega polacco, scienze naturali, mi teneva aggiornata tra un “non puoi non guardarlo!” e un “devi guardarlo!”, e poi si addormentava alle due del pomeriggio sullo spettrofotometro...)

O poi, non è vero, tra chimici si parla anche occasionalmente di altro, di musica ad esempio o se prendere l’ombrello o meno “che quasi fuori piove” - giù al Nord Europa il meteo è quello lì, e anche il poker cambia acronimi - ma le tre vie del chimico sono sempre quelle lì.

NdCS: Quanto a esperimenti in cucina il progetto di ricerca in corso riguarda l'ottimizzazione di un crostino di petto d'anatra al vino. Parametri: numero di foglie di alloro, numero di bacche di ginepro, tipo e quantità di vino. Nell'esperimento n*1 per un petto di anatra una foglia di alloro, 6 bacche di ginepro, due bicchieri di porto bianco. Risultato: buono, ma ulteriore ottimizzazione necessaria. D'obbligo un cetriolino sottaceto per un crostino piccolo. Da indagare la possibile marinatura nel vino del petto d'anatra prima della cottura (lunga, almeno 5 ore a fuoco basso, per ottenere pulled duck).

domenica 19 maggio 2024

DI NUOVO: CUCINA, MELANZANE, ALCALOIDI, GLICOSIDI

Una corrente nord atlantica aveva sgranato sulle nostre teste un rosario di temporali che qualcuno aveva definito tempesta, conclusosi durante la notte. Sono sceso in strada una mezzora dopo l'alba per una camminata per il centro storico della città universitaria, semideserto. Nell'aria una condensa appena palpabile che a malapena si poteva definire drizzle faticava a bagnare qualsiasi cosa. Mi è venuto da pensare a quelle volte che da ragazzo mi sono fermato da queste parti, sulla via per altre destinazioni, e a quanto i luoghi siano cambiati da allora. Per contrasto sono affiorati alla mia mente i ricordi di altri viaggi, verso sud e verso oriente. Mi è tornata in mente la Turchia, oggi mutatissima rispetto a quel che era negli anni 80. E la cucina turca, dove la melanzana veniva declinata diversamente tra costa e interno. Nell'occidente del paese c'è l' Imàm baildi (l'Imam svenuto), melanzana fritta ripiena di cipolle, pomodoro e a volte peperone, ricotta nell'olio e perlopiù servita fredda. Nell'interno fritta e ripiena di macinato di agnello con cipolla, cotta al forno. E mi sono tornati in mente dei mezeleri accompagnati di raki sul lungomare di Bodrum, l'antica Alicarnasso, in vista del castello che fu del Cavalieri di Rodi, già Ospedalieri. 

I pensieri della passeggiata mattutina, rientrato a casa, hanno fatto sì che mi mettessi ai fornelli. In frigo avevo una melanzana e ho optato per un paté di melanzane, che in molti chiamano pesto. La melanzana tagliata a fette l'ho cotta per circa 40 minuti in forno a 200°C, in una teglia appena unta di olio di semi, per non farla attaccare. Una volta sfornate le ho trasferite in una ciotola dove ho aggiunto pecorino romano grattugiato, prezzemolo, aglio, olio di oliva.


 Ho passato il tutto con un frullino


Lasciatelo a temperatura ambiente per 6-8 ore, o in frigo durante la notte, prima di consumarlo.Il composto va bene per crostini, ma altri usi possono essere suggeriti dalla creatività di ciascuno (io lo sperimenterò come ripieno per cipolle al forno). 

La melanzana fa parte della famiglia delle solanacee, che comprende molti degli ortaggi più diffusi, tra l'altro. E contiene solacina, alcaloide presente nelle parti verdi della maggior parte dei vegetali della famiglia (incluse le patate, ma questo è un altro discorso). La Solacina è un glicoside composta da solatriosio (la parte a sinistra) e solanidina, l'aglicone (la parte a destra).

 


La solanidina è tossica: è un inibitore della colinesterasi e quindi può provocare sindromi neuromuscolari, insonnia, emicrania, vomito. Si ritiene che le solanacee tutte si siano evolute producendo glicosidi della solanidina come difesa (verso l'essere mangiate). Ma l'uomo ha sviluppato una certa resistenza alla tossina. Un certo livello di solanidina è presente nel sangue di quasi tutti. e non provoca alcun problema. In particolare nella malenzana la concentrazione di solacina è decisamente bassa.


giovedì 25 aprile 2024

FAVE, GLUCOSIDI E AGLICONI

Da dove vengo le fave (i baccelli) si mangiano fresche, assieme a pecorino, marzolino o baccellone, di solito con accompagnamento di vino rosso. Sono una cosa primaverile.

Le fave secche bollite e poi fatte a purè, di solito accompagnate ad erbe amare, sono invece una cosa adriatica, che inizia nelle Marche e finisce in Puglia, con qualche sconfinamento in Basilicata.

Una primavera che stenta a decollare, con minime di 3-4 gradi e massime di 13, e mi sono lasciato andare a una differente versione del purè di fave, giusto per pensare a luoghi più meridionali. Gli ingredienti venivano dall'Italia, tranne il rosmarino. In Italia ho in giardino una pianta più vecchia di me, ma a questo giro mi sono scordato di portarmene un po'. Ci sono ormai aromi diffusi in misura maggiore o minore ormai in tutta Europa (isole comprese). Il rosmarino è uno di questi. Gli altri sono alloro, timo e prezzemolo, tra i mediterranei, poi noce moscata, cannella e i non mediterranei curcuma, coriandolo, cumino.

Quindi il rosmarino lo ho comprato qui, proveniente di sicuro da un indeterminato paese mediterraneo: 15 grammi di cime di rosmarino per l'equivalente di un euro, il che farebbe 670 euro al chilo, pensate un po'. L'essenza di rosmarino contiene acido rosmarinico, acido carnosico e carnosolo e si ottiene perlopiù per estrazione con alcol etilico al 60%. Di solito in cucina si usa l'olio di oliva per estrearre i profumi della pianta, io ho scelto per questa volta di provare l'estrazione in acqua calda.

La preparazione è stata così eseguita: fave decorticate bollite assieme a rosmarino per 30 minuti, finendo con lasciare poca acqua. Con un frullatore a immersione ho otteneuto una purea abbastanza soda (se la volete più fluida lasciate più acqua). Solo a questo punto ho salato, pepato e mescolato accuratamente. In una padellina con tre cucchiai di olio EVO ho soffritto con uno spicchio d'aglio schiacciato tre fettine di pancetta. Ho trasferito il purè di fave in una scodella, ho disposto le fettine di pancetta e, scartato l'aglio, ci ho colato sopra l'olio di cottura della pancetta.

Per me molto soddisfacente. Per altri sarebbe letale. A causa di Vicina e Convicina.


Vicina

La vicina è un'alcaloide abbondante specialmente nei semi di Vicia Faba. Isolata per la prima volta nel 1870, la sua struttura venne elucidata solo nel 1953.

Divicina
La vicina in sé non è tossica, lo è il suo metabolita: quando ingerita il legame glicosidico viene idrolizzato dando l'aglicone divicina, e con la divicina le cose cambiano e molto. Una volta raggiunto il flusso sanguigno reagisce con l'ossigeno nei globuli rossi per dare perossido di idrogeno e anione superossido, che vengono ridotti da NADPH e glutatione. Il processo provoca un calo dei livelli di glutatione e NADPH nei globuli rossi che nella maggior parte dei soggetti non risulta problematico. Ma circa un 4% della popolazione è carente dell'enzima G6PD, cioè affetta da favismo, e non riesce a rigenerare abbastanza velocemente il glutatione: il risultato è un'anemia emolitica, E con la covincina le cose vanno più o meno allo stesso modo.

Quod aliis cibus est aliis fuat acre venenum, scrisse Lucrezio nel De Rerum Naturae... E aggiungerei che quello che per qualcuno è cura, prevenzione o terapia per una condizione per altri può essere deleterio.

giovedì 1 febbraio 2024

L'EXPAT DI RITORNO A CASA: GLORIA SIA RESA A QUELLA TRIPPA

 

Viene da dire in primo luogo del taglio della trippa, non esattamente quello che trovi ovunque. Poi ci sono i pioppini e il discorso si fa lungo... Lungo perché i pioppini ormai sono per tutti questi, che potete trovare in ogni supermercato dell' Europa Occidentale o quasi:


Invece loro usano questi, uguali a quelli che mia nonna faceva crescere su un ceppo di pioppo (li faceva con le salsicce, aglio, poco pomodoro e una giusta dose di nepitella):


E poi c'è il brodo di verdura, inteso in senso letterale, verde (foglie di sedano, bietola etc) e zenzero. Il risultato finale scalda il cuore.

Da che l'ho assaggiata, tornato a Nord, ho smesso di buttar via le foglie del sedano. Ho cominciato a usarle nelle minestre di verdura. Qui la trippa non è comune, per niente, e la prossima sperimentazione, con lo zenzero, sarà con un piedino di maiale - perché in fondo, trippa o piedino, si parla di perlopiù tessuti connettivi e quindi di tanto collagene. La cosa notevole, nell'esecuzione della trippa nell'immagine è che il collagene libero scarseggia (ipotizzo una lavatura della trippa bollita). Il che la rende ancor più notevole. Ah, per chi non conosce che lo zampone, il piedino di maiale è parente alla zampa di pollo: cotenna e tendini, muscoli pochi, tutto diverso dallo stinco.

E a questo punto mi viene una riflessione su tutti i discorsi su cibo e "scienza e tecnologia", bio, non bio, industriale, non industriale, e tutto il resto. Il cibo non è semplicemente "nutrimento". Il cibo è molto altro e molto di più. Il palato ha una sua memoria e una sua curiosità. La memoria del palato è un po' come la memoria della musica. Sono cose che hanno un senso profondo e personale, e nessuna neuroscienza può aggiungere significato a tutto questo. Il cibo è cultura, inteso in senso antropologico (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2022/02/the-swede.html). E le culture possono evolversi (o decadere). Nel nord Europa, in alcune nazioni, la cultura del cibo si è evoluta - specialmente quando si trattava di nazioni senza una vera cultura del cibo, cioè con una cucina perlopiù decisamente triste. Altre, possa piacere o no, invece la loro cultura del cibo ce l'avevano eccome e se la sono tenuta - per quanto a un mediterraneo tale cucina possa risultare assai discutibile.

Ma, ripeto, tutto questo non è niente che possa essere catturato da un discorso "scientifico" del giorno d'oggi. E chi dice che non c'è differenza tra industriale e non industriale perché lo dice la scienza non ce la potrà fare, mai.

E' una questione di gusti. A me piacciono, tra l'altro: quel che ha radici profonde, specie quando le riconosco, le vecchie biblioteche, i centri storici delle città europee, la poesia di Eliot e la prosa di Joyce, la buona cucina, il buon vino, le birre trappiste, i frammenti di Eraclito, il James Bond interpretato da Sean Connery, gli whisky di Islay, l'Highland Park 10 years old Ambassador Choice, i dati statisticamente solidi, i bei formalismi matematici e le cristallizzazioni ben riuscite, 

PS: Si tratta della trippa dell'Erbaluigia (Pisa).

lunedì 23 ottobre 2023

CUCINA DA EXPAT: STUFATO DI PROSCIUTTO DI MAIALE, LENTICCHIE VERDI E SEDANO RAPA

 

Neanche te ne accorgi e si fa più buio al mattino.

C'è poco da fare. Chi viene dal sud Europa e finisce a vivere nel nord del continente (isole comprese) alla fine si ritrova alle prese con alcuni problemi. Il primo è probabilmente la luce, perché siamo abituati a più ore di luce. E c'è la primavera. In Italia centrale le prime fioriture, per esempio i narcisi, si vedono già a febbraio. Più a nord le prime fioriture arrivano a maggio, e fino a maggio-giugno la maggior parte degli alberi cedui resta spoglia. Tutto questo più vieni da sud più pesa.

L'altro aspetto è il cibo. Vero che rispetto a 20-30 anni fa il nord Europa è migliorato molto, ma il punto di partenza, da un punto di vista italiano, era molto arretrato (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2022/02/the-swede.html). Poi i tempi cambiano e gli asparagi si trovano regolarmente (i carciofi no, assolutamente), e pure le melanzane, oggetto estremamente esotico. Cercare di spiegare a un in indigeno "how to deal with" con una melanzana può essere surreale."Bollita?" Nooooo! Fritta, semmai" "Con uovo farina e granella di pane?" "Già meglio, ma alla fine non servono né uova né pangrattato e neanche la farina".

Ricordo che si tratta di contesti in cui è ancora popolare il test "lancia lo spaghetto contro il muro: se resta attaccato alla parete è cotto".

Comunque si va verso la fine di ottobre, e rape e swede non sono ancora venute fuori sui banchi del mercato, ma il sedano rapa non manca mai. Quindi variazione sul tema. Questa ricetta viene meglio (molto meglio) con le lenticchie del Colfiorito, per esempio. ma qualsiasi altra lenticchia verde risulta accettabile.

300 g di fette di prosciutto di maiale (fresco, le fette alte almeno un paio di centimetri)

olio extravergine di oliva (4 cucchiaia)

500 ml di una pilsener a scelta

uno spicchio di aglio

una foglia di alloro

150 g di lenticchie verdi secche

200 g di sedano rapa a cubetti

sale e pepe

La procedura è quella standard dello stufato che potete trovare nel link più sopra, ma questo viene meglio se, tagliato il prosciutto a cubetti, li fate rosolare molto, molto bene nell'olio con uno spicchio di aglio. Poi aggiungete la foglia di alloro e la birra, e fate andare scoperto a fuoco medio per un'ora. A quel punto aggiungete le lenticchie secche (deve essere rimasto un po' di liquido, nel caso aggiungete acqua quanto basta). Salare e pepare. Dopo 30 minuti aggiungere il sedano rapa a cubetti all'incirca di due centimetri di spigolo. Tempo totale di cottura 2 ore, e alla fine non deve rimanere troppo brodoso. In questo modo il sedano rapa prende un delicato tocco di amaro. Ovviamente questa è una variazione su cotechino con lenticchie, zampone con lenticchie, spalla di maiale con lenticchie etc. Ma con fette di prosciutto più magre e senza cotenna (quelle che trovo ora) il piatto risulta con contenuti più bassi di gelatina dovuti alla scarsità di tessuto connettivo nella carne. Buono accompagnato da un pinta di tripel per un passaggio di stagione in cui le massime sono ancora sui 16 gradi.

Le dosi indicate sono abbondanti per due persone.


domenica 23 aprile 2023

CLAM OR COD? HAKE, THANKS

Nella mia memoria c'era in Melville una zuppa di pesce accompagnata da una pinta di latte. Sono andato a rivedere Moby Dick, quando Ismael cena dopo essere stato informato che per la notte dividerà la stanza con un arponiere, ma ci ho trovato dumplings (cioè ravioli tipo cinese).

"I thought so. All right; take a seat. Supper?--you want supper? Supper'll be ready directly."

I sat down on an old wooden settle, carved all over like a bench on the Battery. At one end a ruminating tar was still further adorning it with his jack-knife, stooping over and diligently working away at the space between his legs. He was trying his hand at a ship under full sail, but he didn't make much headway, I thought.

At last some four or five of us were summoned to our meal in an adjoining room. It was cold as Iceland--no fire at all--the landlord said he couldn't afford it. Nothing but two dismal tallow candles, each in a winding sheet. We were fain to button up our monkey jackets, and hold to our lips cups of scalding tea with our half frozen fingers. But the fare was of the most substantial kind--not only meat and potatoes, but dumplings; good heavens! dumplings for supper! One young fellow in a green box coat, addressed himself to these dumplings in a most direful manner.

Cosa ci fosse dentro quei dumplings non è dato di sapere. Solo sfogliando il libro mi sono accorto che la mia memoria aveva spostato la zuppa di pesce nel pulciosissimo Spouter-Inn, mentre invece è collocata al Try Pots nel capitolo 15. Il Try Pots del cugino Hosea, famoso per i suoi chowder. E Chowder è perlappunto il titolo del capitolo.

Mrs. Hussey hurried towards an open door leading to the kitchen, and bawling out “clam for two,” disappeared.

“Queequeg,” said I, “do you think that we can make a supper for us both on one clam?”

However, a warm savory steam from the kitchen served to belie the apparently cheerless prospect before us. But when that smoking chowder came in, the mystery was delightfully explained. Oh! sweet friends, hearken to me. It was made of small juicy clams, scarcely bigger than hazel nuts, mixed with pounded ship biscuits, and salted pork cut up into little flakes! the whole enriched with butter, and plentifully seasoned with pepper and salt. Our appetites being sharpened by the frosty voyage, and in particular, Queequeg seeing his favourite fishing food before him, and the chowder being surpassingly excellent, we despatched it with great expedition.

E per colazione ai due viene offerto di nuovo chowder, ma Ismael chiede in più un paio di aringhe affumicate.

Le ricette d'oltreoceano prescrivono per il chowder le gallette sbriciolate (e c'è un conflitto tra scuole, patate o non patate, bianco o rosso di pomodoro). ma la mia esperienza col piatto si limita a Irlanda, Gran Bretagna (e Scandinavia), dove la galletta sbriciolata è assente ma l'essenziale sono latte, burro, farina e spesso patata (oltre il pesce, o i frutti di mare, o i crostacei - ricordo uno spettacolare chowder di aragosta gratinato nel nord dell'Irlanda, e per la gratinatura di sicuro era stato usato del cheddar). Comunque sarà per Moby Dick o per altro, ma un chowder consumato in pub di un porto nordico per me resta un'immagine ed un'esperienza cara.

Ora io non so come "debba" essere un chowder, ma so come piace a me: denso e cremoso. Ho provato a metterne insieme uno con quel che era rimasto in frigo ed è venuto benino.

In una casseruola far fondere una noce di burro e soffriggerci appena un battuto fatto con una mezza cipolla e un gambo di sedano. Aggiungere un paio di fette di prosciutto a striscioline, una patata di medie dimensioni a cubetti, aggiungere timo, coprire con acqua e portare a ebollizione. Quando l'acqua è quasi del tutto evaporata aggiungere a pioggia due cucchiai di farina, mescolare bene e poi agiungere latte in giusta misura (un 250 ml dovrebbero andare). Quando il tutto è tornato in temperatura aggiungere due filetti di nasello (il mio nasello era del mare del nord) e far andar piano finché il pesce non si disfa. Mescolare continuamente con un cucchiaio di legno, passando sul fondo della casseruola, altrimenti si attacca come besciamella mescolata male. Salare, pepare con pepe macinato fresco, e continuare a cuocere finché la densità non è quella giusta.

Il chowder mi è venuto come volevo, saporito, cremoso, profumato, che riempie come si deve.


L'ho cucinato pensando a un cutter di legno ancorato nel porto di Kirkwall, Orcadi. Non mi ricordo il nome della barca, ma sotto il nome c'era scritto Nantucket.

PS: A fianco di questo chowder non ho messo latte né birra, ma un Muscadet e l'accoppiamento funziona. Volendo potete variare gli aromi aggiungendo o sostituendo con aneto o alloro. Se lo volete fare gratinato versarlo in terrine individuali, spolverare ognuna con abbondante cheddar o gruyère grattugiato, infornare a 250 °C e sfornare quando il formaggio  fuso e ha preso colore e ha fatto una crosticina.

PPS: le dosi delle ricette che capitano su questo blog sono per 1-2 persone. Per numeri maggiori, just do the math.

mercoledì 1 febbraio 2023

MEDITERRANEO: SCORFANO, ALLORO, TERPENI

Cattiva fama, quella dello scorfano.  "Popo' di scorfano/a" in un certo territorio era  usato per commentare soggetti notevolmente brutti. Eppure senza scorfano un cacciucco non viene come si deve.

Marsiglia alcune affinità con Livorno le ha. E ha anche una zuppa di pesce "cugina" e molto nota. Con qualche differenza (aceto e peperoncino da una parte, finocchio dall'altra) .

Ma lascerei la parola a un marsigliese:


La Rascasse, poisson, certes, des plus vulgaires ;

Isolé sur un gril, on ne l'estime guère,

Mais dans la bouille-abaisse, aussitôt il répand

De merveilleux parfums d'où le succès dépend

La Rascasse, nourrie aux crevasses des syrtes,

Dans les golfes couverts de lauriers et de myrtes.

Ou devant un rocher garni de fleurs de thym,

Apporte leurs parfums aux tables du festin. 

(Joseph Méry 1797-1866)

Alloro, timo e mirto: mediterraneo. E alle volte, vivendo dove l'orizzonte marino è costituito dal Mare del Nord e dal nord Atlantico, scambierei haddock, merluzzo fresco, kipper e sgombro affumicato per un solo scorfano.


L'alloro ha un'essenza che è il gran festival dei terpeni: eucaliptolo, linealolo, terpinoli, acetato di terpenile, tuiene e pinene.
Il pinene: odore di pino, avete presente? L'alfa pinene viene emesso dalle conifere ed ha una serie di effetti: reagisce con "i radicali liberi" presenti nell'aria e con altri inquinanti (ossidi di azoto, ozono). "L'aria pulita dei boschi di pini" quindi non è una scemenza popolare. E' un terpene. I terpeni sono una classe di molecole molto abbondanti nel mondo vegetale, che ho sempre trovato interessante. E' un terpene il tujone, il componente psichedelico dell'assenzio che è' quindi strettamente collegato con l'anetolo, che terpene non è, il componente essenziale dell'anice verde. Penso ai terpeni e mi viene in mente la lattescenza verdastra di un Pernod allungato con acqua fredda, o di un ouzo o di un raki a cui sia stato riservato lo stesso trattamento. Il pinene ha una qualche attività sui recettori dei cannabinoidi? Ni. E' riconosciuta la sua stimolazione dei recettori GABAA (e quindi un'attività simile a quella delle benzodiapine, cioè calmante). Ed è stato usato per un potente agonista CB2, HU-308, che non è mai diventato un farmaco. Il pinene ha anche una moderata attività broncodilatatoria. Quindi se qualcuno trova rassicurante l'odore di pino (o quello di alloro) ci sono ottime ragioni.

Parlando di mediterraneo e terpeni mi vengono in mente le anisette mediterranee, come già detto, quelle da diluire con acqua ghiacciata... argomento estivo per eccellenza, per me, condito di ricordi - ouzo e tzatziki al tavolino di un bar al porto, a La Canea...) Bandito per più di un secolo, riemerso in sordina poi tornato una piccola moda, da un po' l'assenzio è diventato DOC (https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/silenzio-assenzio-39-unione-europea-riconosce-rsquo-etichetta-211818.htm - con la moda è arrivata una modalità di consumo giovanile davvero barbara: niente zucchero, niente acqua, uno shot liscio e amarissimo). Consiglio al riguardo la lettura di un vecchio articolo su Le Scienze, che all'epoca rimase ben impresso nella mia memoria (http://download.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1989_252_8.pdf). La neurotossicità dell'assenzio è stata attribuita al tujione, un terpene che agisce come GABA antagonista, ma la sua concentrazione nel distillato sarebbe troppo bassa per provocare questi effetti (mi verrebbe da dire che comunque essendo il tujione estremamente lipofilico, effetti di accumulo non sarebbero da scartare, da un punto di vista teorico). Per modalità di consumo prevalenti, l'assenzio è accorpabile alla vasta famiglia delle anisette mediterranee/medioorientali: in particolare Pernod, Ouzo, Raki (turco), Arak (medio oriente) prevedono il rituale consumo previa diluizione con acqua ghiacciata (e spesso accompagnamento di antipastini vari tipo insalata di polpo fatta con lo yogurt, filetti di acciuga marinati etc). La diluizione provoca il noto intorbidamento, dovuto alla formazione di un'emulsione da parte dei componenti degli olii essenziali (di anice e/o assenzio) insolubili in acqua. Nel caso del Pernod la colorazione verde, artificiale, fu introdotta per ricordare l'assenzio quando quest'ultimo distillato fu bandito. Ho sempre trovato le anisette più inebrianti rispetto ad altri distillati. Una faccenda di terpeni?

Ma torniamo all'alloro. Da dove vengo, fa spesso rima con la carne di maiale. Quindi per ritrovare aromi del territorio natio compro un filetto di maiale (le volte che lo trovo quello denominato "filetto corto",  che costa di meno) e un vino rosso da poco, un Nero D'Avola o un pinot sudafricano di quelli con il tappo a vite. Ammollo i fagioli bianchi secchi per almeno 8 ore e poi, scolati, li bollo con una cipolla e una carota grossa per poco più di un'ora. Dopodiché rosolo il filetto tagliato a pezzi in olio d'oliva con uno spicchio d'aglio. Quindi aggiungo mezza bottiglia di vino rosso, una foglia d'alloro e un paio di pomodori maturi a pezzi. Deve cuocere a fuoco basso, coperto, per almeno un'ora mezza.

A questo punto si aggiungono i fagioli, scolati, si sala, si pepa, e si cuoce per circa un'altra mezzora scoperto, fino ad evaporare quanto basta i liquidi.

Credo che questa sia una vecchia ricetta garfagnina, e probabilmente viene da qualche lontano congiunto con quelle origini, o da un quaderno scritto a mano o forse da un vecchio libro, roba del genere. La realizzazione è lunga, come quella della maggior parte degli stufati, ma alla fine c'è un inequivocabile "profumo di casa", mentre cuoce. Ovviamente l'alloro non lo compro qua, me lo porto da casa.

 

venerdì 20 gennaio 2023

CUCINA DA EXPAT: LA ZUPPA DI LENTICCHIE

 

Poco frequente in Italia, assai più a nord il trancio di coscia di maiale è qualcosa che si trova spesso nei supermercati. Quando è in offerta può capitare che il trancio comprenda un bel po' di osso. Nessun problema. Disossare il trancio non è difficile, ma dopo aver usato la polpa (per esempio stufata con cavolo, battuto di cipolla e carote, pepe nero in grani e birra) cosa fate con l'osso, a cui un po' di carne sarà rimasta attaccata? Lo buttate via? Sacrilegio!

Copritelo d'acqua in una pentola e bollite per un paio di ore. Levate l'osso, e dall'osso levate i pezzetti di carne rimettendoli nel brodo. A parte in un padellino fate andare per una ventina di minuti un pomodoro rosso a pezzi (o polpa o pelati in barattolo) con olio d'oliva e aglio. Unite tutto questo al brodo, e buttate lenticchie secche in quantità adeguata e due o tre patate a pezzi. Salate, pepate, cuocete a fuoco basso per un'oretta, aggiustate la densità con acqua o brodo dell'osso di maiale (e aggiustate il sale di conseguenza). Servire con un filo d'olio di oliva a crudo.

Eccellente d'inverno (nel caso dell'immagine le lenticchie erano rosse).




giovedì 3 marzo 2022

RICETTA PER LEPRE IN DOLCE E FORTE (E PER PRESIDENTE DI UNA REPUBBLICA)

 



Ah, l'aroma di un crostino di colombaccio tirato nel vino bianco o nel marsala, o nel porto, ma sempre cotto con qualche bacca di ginepro...
Se c'è una cosa su cui da sempre inglesi e italiani (e in particolare toscani) divergono è la cacciagione. Lo stile inglese prevede la cacciagione, sia di penna che di pelo, estremamente frollata e cotta al rosa (ovvero cruda e putrefatta, come sentenziò un mio vecchio amico).
Lo stile italiano invece prevede una "giusta" frollatura, spesso una marinatura e infine una cottura piuttosto lunga (quindi degradazione delle proteine, etc). Poi, venendo allo stile toscano, una buona dose di terpeni (pinene in primis) e/o teobromina: cioè ginepro, pinoli, cacao.
Si sa bene quale sia l'uso favorito del ginepro oltremanica (qualcuno preciserebbe gin & tonic, oggi). Il ginepro ha un olio essenziale che è un tripudio di terpeni: α-pinene, β-pinene, canfene, β-mircene, cineolo, terpinenolo, cariofillene, α-cadinene e β-cadinene e, delle serie "vecchie cose che funzionicchiano", a questo cocktail è stato sempre attribuito un effetto digestivo . A casa l'uso delle bacche di ginepro è sempre stato una costante della cacciagione, specie di penna (tordi, in particolare, e colombacci, appunto), con una notevole eccezione nei "tordi finti", che sono a base di vitello ma dove ginepro e fegatini producono un "effetto cacciagione" (https://www.alimentipedia.it/artusi/umidi/tordi-finti.html).
L'α-pinene (https://www.facebook.com/.../a.19716298.../2069389243279952/) è anche caratteristico del pinolo, e il pinolo è uno degli ingredienti del "dolce e forte", salsa preparata con cacao (o cioccolato amaro), uvetta, pinoli, zucchero, aceto, acqua. Riservata al trattamento finale, a fine stufatura, di lepre e cinghiale (o alla lingua).
 
Ma veniamo alla lepre. La lepre doveva essere frollata almeno un paio di giorni, spellata e poi lavata con aceto. Quindi tagliata a pezzi e marinata in vino rosso con alloro, una cipolla steccata con chiodi di garofano, aglio, sedano, ginepro e pepe nero in grani. I pezzi vengono quindi scolati e asciugati , idem per le verdure della marinata, che vengono tritate e messe a soffriggere il un tegame con olio extravergine. A soffritto imbiondito si aggiungono i pezzi di lepre, che devono essere rosolati fino a che non abbiano cacciato fuori tutta l'acqua. Salate e pepate, aggiungete pomodori pelati e tirate a cottura con brodo e un poco del liquido della marinata. La lepre deve stufare almeno due ore: non c'è niente di più triste di una lepre "al dente" (o di un cinghiale poco cotto).
A parte prepare il dolce e forte, in un pentolino, sciogliendo zucchero e stemperando cacao amaro nell' aceto con un po' di acqua. Quando lo zucchero è sciolto aggiungere uvetta e pinoli. Il dolce e forte deve essere aggiunto alla lepre un cinque minuti prima della fine della cottura, mescolando bene.
 
 
PS: Come potete leggere il problema della scelta del Presidente di una Repubblica è una cosa che viene da lontano.
PPS: il cibreo a cui si riferisce il Collodi, specificandolo di pernici etc, prima che essere noto ristorante fiorentino di gran personaggio recentemente scomparso è piatto desueto, per la cui descrizione si ricorre, ancora, a Pellegrino Artusi: https://it.wikipedia.org/wiki/Cibreo.

giovedì 17 febbraio 2022

THE SWEDE

 



Uno dei primi crucci dell'expat italiano (specie in nord europa) è: come/cosa mangio. Certo, ormai la pasta italiana si trova ovunque (magari in pochi formati), e l'olio extravergine di oliva pure - ritenuto una classica fissazione italiana. Ma farsi una carbonara, per esempio, può diventare una cosa complicata. In breve si rischia di celebrare un completo divorzio dalla cucina mediterranea, che diventa eclatante quando si parla di vegetali: nel nord Europa niente cardi, carciofi, asparagi, melanzane, basilico. Certo, le cose sono parecchio cambiate da quando Elisabeth David dopo un lungo periodo nel mediterraneo tornando in Inghilterra rimase costernata dalla cucina della sua patria (e scrisse "A Book of Mediterranean Food"). Mi ricordo l'odore greve del grasso animale (chissà quale) in cui ancora si friggevano le uova del breakfast in Scozia, trenta anni fa (e non è che più a sud le cose andassero tanto meglio). Oggi è tutto cambiato, il grasso prevalente è olio di soia - non certo il massimo, ma sempre meglio, e comunque, spostandoci al di là della manica, se contestate a un bretone la zuppa della nonna con i crostini fritti nel grasso di bue lui potrebbe aversene a male.
Personalmente mi sono sempre adattato in qualche modo al clima alimentare locale. Il che vuol dire guardarsi in giro cercando ingredienti da integrare nella propria cucina, perché nel lungo termine non è che si possa campare (bene) di soli breakfast, fish and chips, pesci affumicati, insalate e cornish pasty. Non conoscete il cornish pasty? Peggio per voi. Comunque lo swede è uno dei suoi ingredienti tradizionali, assieme a manzo, patata e cipolla (https://it.wikipedia.org/wiki/Cornish_pasty).
Provenendo da una regione italiana dove neanche la rapa è comunemente usata, vedere sui banchi di un mercato nordico questa sorta di rape giganti mi ha incuriosito. E quindi ho deciso di sperimentare.
Ma partiamo dall'inizio: lo swede (contrazione di swede turnip, rapa svedese) ho scoperto che è in realtà la rutabaga, detta anche navone o cavolo navone (e ignoravo pure che avesse un nome anche in italiano). E guardando in giro nella websfera italiana viene proposta per purè e insalate o al forno. Questo l'ho scoperto dopo.
Quando l'ho vista esposta sul banco ho pensato immediatamente "stufato". E stufato è stato.
Avendo trovato un bel filetto di maiale e dei tagli di capocollo molto più magri della nostra scamerita, il design dell'esperimento era del tutto chiaro.
Quindi prima sono stati preparati gli starting materials:
 
Navone
1 cipolla bianca
Filetto di maiale
Capocollo di maiale
1/2 decilitro di olio extravergine d'oliva (italiano)
1/2 pinta di lager
1 foglia di alloro (italiano)
 
Il navone (una metà del navone, perché pesava più di un chilo) è stato sbucciato e tagliato a dadi di circa due centimetri di spigolo.
Filetto e capocollo sono stati tagliati anch'essi a dadi di circa due centimetri.
La cipolla è stata tritata.
In una casseruola è stato scaldato l'olio, ed è stata aggiunta la cipolla tritata. Quando la cipolla ha iniziato a imbiondire, è stata aggiunta la carne di maiale, che è stata fatta rosolare con cura.
Quindi sono stati aggiunti lager e alloro, e si è cotto a fuoco medio/basso per circa 1 ora.
Poi è stato aggiunto il navone a cubetti, e acqua quanto basta a coprirne la superficie.
Sono stati aggiunti sale e pepe nero in grani.
La cottura è stata continuata per circa un'altra ora, fino a che quasi tutto il liquido non è evaporato.
 
Discussion 
 
Ho giudicato l'esperimento riuscito, ma nessun altro ad ora lo ha replicato.
Una sua versione light, con carne di manzo, ha dato anch'essa buoni risultati (ma la versione maiale è assai più soddisfacente, per i miei gusti).
Quanto a novelty l'esperimento vale molto poco. Per quanto navone e rapa siano ben diversi, sono comunque parenti stretti, e rapa e stufati hanno una storia ben consolidata a nord delle Alpi - si può ripetere la procedura con le rape, che però reggono meno la cottura e dovranno essere aggiunte a circa tre quarti del procedimento.
Perché il capocollo di maiale? Perché il solo filetto è relativamente povero di tessuto connettivo e grassi, che sono quelle cose che conferiscono allo stufato "morbidezza". Non ci crederete, ma il tema "stufato" per la parte proteine è stato abbastanza recentemente trattato sul Journal Of Physical Chemistry (https://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acs.jpcb.9b05467#). Comunque il concetto base è sempre stato denaturare proteine in presenza di un qualche "lubrificante" (altrimenti ottenete un bollito). Ci sono ricette francesi di stufato di maiale o montone che cominciano facendo sciogliere nel grasso di base (che parlando di Francia di solito è burro), o anche in sua assenza (!) il grasso delle spuntature o delle costolette. E l'aggiunta finale di burro è un altro tratto tipico in molte zone geografiche (Francia, ma anche nord Italia). Il collagene, caratteristico del tessuto connettivo, è un altro elemento che produce "lubrificante", in quanto con acqua e calore gelifica (si trasforma in gelatina). Il capocollo di maiale contiene una buona quantità sia di grassi che di tessuto connettivo, e ha fornito un contributo decisivo alla riuscita dell'esperimento. 
 
Nota: se googlate rutabaga troverete che è ipocalorica, e che contiene fibre, vitamina C, vitamine del gruppo B, betacarotene, sali minerali. Se è stata stufata con il maiale capirete che il ridotto apporto calorico non era tra gli obiettivi dell'esperimento. E con la lunga cottura potete dire addio a buona parte del contenuto in vitamine B, C e betacarotene. Fibre e sali minerali restano.

giovedì 4 novembre 2021

PESCE E MERCURIO: L'EGLEFINO (HADDOCK)

 

Riguardo a pesce e mercurio l'inquinamento proveniente da attività industriali come abbiamo visto ha una lunga e tragica storia (https://www.facebook.com/chimicoscettico.blogspot/posts/3116005001951699). Ma non è che prima delle immissioni antropiche mercurio nel pesce non ce ne fosse. Eruzioni vulcaniche, erosione di rocce contenenti l'elemento, incendi di biomasse sono tutti eventi che immettono mercurio nell'ambiente e da lì nelle acque oceaniche. Sono fenomeni difficili da stimare, ormai, perché, per essere chiari, da tempo le emissioni antropiche mascherano quelle naturali (qua una review piuttosto completa https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5013138/). Del resto non scordiamo che tutta la produzione mondiale di cloro e soda andava a mercurio, fino a un venticinque anni fa. Ma veniamo all'eglefino.

Stavo per intitolare il post "Sushi vs Fish and Chips". Perché quando penso a fish & chips la prima cosa che mi viene in mente è "salt and vinegar" e la seconda è questa:
 
“Sméagol won't grub for roots and carrotses and - taters. What's taters, precious, eh, what's taters?'
'Po-ta-toes,' said Sam. 'The Gaffer's delight, and rare good ballast for an empty belly. But you won't find any, so you needn't look. But be good Sméagol and fetch me some herbs, and I'll think better of you. What's more, if you turn over a new leaf, and keep it turned, I'll cook you some taters one of these days. I will: fried fish and chips served by S. Gamgee. You couldn't say no to that.' 'Yes, yes we could. Spoiling nice fish, scorching it. Give me fish now, and keep nassty chips!'
'Oh, you're hopeless,' said Sam. 'Go to sleep!”
 
Ebbene, se mi immagino fish & chips non vedo merluzzo e patatine fritte. No, vedo fries and deep fried haddock (nella foto, sofisticata, li vedete accompagnati ad occhio da remolade e salsa tartara, ma salt and vinegar per me possono andare più che bene).
Il fatto è che l'eglefino da noi è completamente ignoto, anche più del merlano che resiste con piccole popolazioni nell'Adriatico e nel Mar Nero.
L' eglefino non è una cosa mediterranea, l'haddock è del tutto nordico. Ed è probabilmente quello della famiglia dei true cods che è più popolare in UK e Irlanda (e nei Fish & Chips di quei paesi). Ma non solo... qualcuno si ricorda di Tintin, lo storico personaggio creato da Hergé? Uno dei classici coprotagonisti di quella serie era le Capitaine Archibald Haddock. Haddock, non "Cod".
Ebbene, sono uno che non sa dire di no a pesce fritto e patate fritte seguiti da una pinta al pub. O a un vassoio di sarde fritte accompagnato da una bottiglia di Greco di Tufo ben freddo.
E questi due pesci hanno una cosa in comune, pur essendo uno emimentemente nordico e l'altro tipicamente mediterraneo (ma non solo): il basso contenuto di mercurio. Li trovate nella stessa classifica: https://globalseafoods.com/blogs/news/low-mercury-seafood....
Ora. visto che la mia razione di deep fried haddock and chips me la sono fatta, mi vado a fare una pinta...

mercoledì 29 settembre 2021

SCOMBER SCOMBRUS (AFFUMICATO)

 

Metilmercurio, avete presente? No? Dopo anni di discorsi a sproposito su thimerosal cannati in tutte le salse e in tutte le direzioni?
C'è un certo chiacchericcio in rete su mercurio e sgombri, dovuto al fatto che FDA da tempo ha allertato riguardo al King Mackerel, che essendo "mackerel" viene tradotto "sgombro" (https://www.fda.gov/food/consumers/advice-about-eating-fish). Ma il King Mackerel è una bestia di dimensioni ragguardevoli (e più è grande la dimensione del pesce, più il problema mercurio diventa importante).
Invece il pesce più trafficato commercialmente in Europa è lo sgombro atlantico (Scomber Scombrus). Il livello medio di mercurio nello sgombro atlantico è 0.05 ppm, il che vuol dire circa un ventesimo di quello del pesce spada e un quinto di quello del tonno (https://www.fda.gov/…/mercury-levels-commercial-fish-and-sh…).
Scomber Scombrus lo conoscerete sia fresco che inscatolato sottolio, di sicuro, perché a differenza di aringhe e merluzzi (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/…/i-chinolonici-nell…) è diffuso anche nel mediterraneo.
Ma nei mercati del nord del continente lo troverete affumicato: filetti affumicati, filetti affumicati e pepati, pesci interi affumicati, di taglie diverse.
Lo sgombro affumicato nella mia esperienza è in assoluto il pesce più "unto" con cui ho avuto a che fare. A differenza di aringa, stoccafisso e baccalà lo sgombro affumicato da noi è qualcosa di non comune e relativamente costoso. Spulciate nei siti italiani che parlano di alimentazione e non lo troverete citato quasi mai, eppure conservato in questo modo ha un contenuto di acidi grassi del 30% superiore alla media tra pesce fresco e altrimenti conservato, e il contenuto di acidi grassi poliinsaturi, i famosi omega 3, è praticamente raddoppiato (sì, lo so che le evidenze sui benefici latitano, vedere link del blog).
Se invece siete nel nord europa e vi preoccupate dell'apporto di omega 3 nella vostra dieta è una soluzione, e di solito una soluzione per niente costosa. Non comprate i filetti, comprate il pesce intero, che si spella e si sfiletta con estrema facilità - anche se devo dire che la lucida superficie rossastra dei filetti affumicati per me ha un fascino tutto suo, rimandandomi a ricordi di banchi del pesce su moli del Mare del Nord...

martedì 1 giugno 2021

ANTOCIANI E CACCIAGIONE




(visto che una delle conseguenze delle riaperture è stata una ripresa di entusiasmo per l'andare a pranzo o a cena fuori...)
Rosso, porpora, azzurro e blu: abbondanti nel mondo vegetale, derivano da concentrazioni variabili di antociani e specialmente antocianidine. Pelargonidina e delfinidina prendono il loro nome da fiori (geranio e delphinium), e sono rispettivamente caratteristiche di frutti e fiori rossi e blu (quindi tra l'altro uva, fragole e tutti i frutti di bosco classici).
Di base sono derivati del catione flavilio (con un formale O+ sull'anello, stabilizzato dalla coniugazione dei legami). In generale le antocianidine hanno un colore rosso più o meno intenso (anche molto intenso, fino al porpora scurissimo) a pH bassi, e sono tutte blu (più o meno scuro) a pH alcalini. Il colore a pH neutro varia dal rosso al blu a seconda dei composti. E per questo l'estratto di cavolo rosso e soprattutto l'estratto idroalcolico di mirtilli funzionano da indicatori "naturali".
Come tutti gli altri antociani funzionano da antiossidanti, e non solo: estratti ad alto contenuto di antociani e flavonoidi sono stati usati per le condizioni più diverse, dai problemi di circolazione periferica alle infiammazioni di vie urinarie e dintorni.
Ma il carattere antiossidante degli antociani ha fatto sì che trovassero uso nella conservazione del cibo. I nativi americani delle grandi praterie crearono il pemmican, un impasto di carne essiccata di bisonte, cervo o alce e frutti di bosco (mirtilli, lamponi). Questo preparato a lunghissima conservazione ebbe fortuna tra 800 e prima metà del 900, quando in area anglosassone fu sostituito alle altri carni il manzo essiccato. Usato come vettovaglia da chi viaggiava o esplorava le regioni artiche, arrivò anche in Italia con gli aiuti alimentari che le truppe americane distribuivano nei territori liberati (assieme a latte condensato, cioccolato e burro di arachidi, tra l'altro).
Per qualche ragione dalle Alpi in su antociani e carne di cervide fanno coppia fissa: cervo e soprattutto capriolo con mirtilli, daino con lamponi.
Per quel che mi riguarda la cacciagione è sempre stata faccenda di ginepro o dolce e forte, ma questa è un'altra storia...

 

domenica 29 marzo 2020

I CHINOLONICI? NELLA TROTA

Iridea o salmonata, per la trota era prevista la determinazione dei chinolonici.
Per il pesce di allevamento vale lo stesso principio in uso per pollame e sopratutto conigli (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/antibiotici-1-pasta-sul-coniglio.html).
Sulfamidici per l'allevamento dei conigli, chinolonici per l'acquacultura dei salmonidi.
Motivo per cui il mio consumo di salmonidi si è azzerato da tempo.
Eppure il salmone affumicato, e non solo, mi piace molto. A chi non piace?

Kipper scozzese, quanti ricordi

Parlando di pesce, e pesce affumicato, quello più popolare è sempre stato l'aringa.
Pesce povero, pescato, non allevato. La sua pesca motivò la fondazione di Copenhagen, Amsterdam e Great Yarmouth. Commercialmente affine al merluzzo (AI merluzzi). Salata e affumicata trovò la sua via per il mediterraneo, come la trovò il merluzzo, essiccato o salato. Il merluzzo da noi fu stoccaffisso e baccalà. L'aringa fu affumicata ed essicata o salacca, affumicata e salata.
E' una di quelle cose che parla dei rapporti tra mediterraneo e mare del nord. Rapporti fatti di invasioni e scorrerie vichinghe e normanne, ma anche di commercio, cibo, cultura.
Da un punto di vista alimentare non mi sono mai trovato a disagio, nei paesi nordici. Mi è sempre bastato puntate sul pesce, fosse stato fish and chips o una ciotola di chowder (https://en.wikipedia.org/wiki/Chowder), fosse stato kipper comprato sui banchi del mercato di un porto a nord della Scozia o un filetto di haddock con verdure e salsa consumato in ottima compagnia in un pub scandinavo dall'atmosfera calda, con scaffali pieni di libri alle pareti.
Descrivete un chowder ad un napoletano o a un siciliano e vi guarderà con disgusto. Pesce cotto con il latte, e con formaggio aggiunto? Eresia!
A un veneto la cosa non sembrerà strana: in una regione di baccalà alla vicentina e baccalà mantecato grassi animali e pesce essiccato e poi ammollato non fanno una strana accoppiata.
Del resto da Napoli vedi Capri e il Vesuvio, dalla laguna puoi vedere le alpi innevate. Prospettive differenti.

Dicono che gli omega 3, di cui sono ricchi i pesci dalle carni più oleose, facciano bene. Il famoso olio di fegato di merluzzo ne era ricco, per fare un esempio, e ha conosciuto un uso molto diffuso nella prima metà del 900. Mi hanno sempre detto che fosse disgustoso. D'altra parte avendo lavorato su acidi grassi poliinsaturi coniugati ne ho ancora presente l'odore, penetrante e vagamente disgustoso.
Per come sono fatti sono indubbiamente scavenger di radicali liberi, ossia dei famosi ROS (Reactive Oxigen Species). Ho sempre trovato relativamente dubbio il loro beneficio alimentare - quello che si mangia attraversa il nostro stomaco, non esattamente un ambiente povero di H+, per cui è abbastanza improbabile che molecole del genere lo attraversino intatte.
Ma d'altra parte, essendo grassi, sono largamente favoriti quanto ad uptake cellulare, ovvero facilmente assorbiti dalle cellule. In ogni caso le evidenze quanto a certi benefici latitano (https://www.cochrane.org/news/new-cochrane-health-evidence-challenges-belief-omega-3-supplements-reduce-risk-heart-disease)

Detto questo, torniamo all'aringa.
L'aringa o salacca, con una mezza pagnotta, era il pranzo di chi lavorava nei campi (Toscana, ancora nella prima metà del 900). Il kipper è una cosa nordica e soprattutto scozzese.
La buon'anima di mia nonna prendeva la salacca intera, la eviscerava, la spellava, sfilettava e poi metteva sottolio. I salacchini (più piccoli) li metteva interi. La cosa funziona anche con filetti e aringa intera, ma l'aringa intera è più dolce, quindi l'aggiunta di cipolla giova.
Personalmente preferisco il kipper (nella foto), che qua da noi si divide in due e poi si vende come filetti.
Potete prendere i filetti, affettarli, farli andare per poco in olio, poi aggiungere polpa di pomodoro, altri 15 min, poi panna, e cuocere fino a giusta densità aggiungendo poco pepe e, se piace, una spolverata di cannella, aggiustando il sale. Salsa per una pasta corta, preferibilmente all'uovo. La classica cosa a cui non si accompagnano vini bianchi, ma un rosso, magari abbastanza leggero. 

mercoledì 18 aprile 2018

ANTIBIOTICI - 1 - PASTA SUL CONIGLIO

L'allevamento intensivo non può fare a meno degli antibiotici, perché nelle condizioni di produzione l'infezione di un soggetto significa avere in un amen un capannone, una vasca, o una zona marina recintata con gli individui infettati dal primo all'ultimo. E quindi, chemoprevenzione: sulfamidici con i conigli, chinolonici col pesce,direttamente nel mangime, ogni giorno (e aggiungerei cloramfenicolo coi crostacei, mentre col pollame si sono usati anche antivirali - secondo qualcuno l'amantadina come antiinfluenzale è durata poco perché specie in Asia veniva usata senza ritegno). Inutile precisare che gli Istituti Zooprofilattici fanno controlli a campione sui residui di questi farmaci negli animali destinati al commercio.
Ma, se poi si finirà per parlare di resistenza, voglio cominciare questa miniserie di post in modo più frivolo, cioè con la pasta sul coniglio.

L'uso caratteristico era con pappardelle, ma pasta corta (tortiglioni o penne) e anche tagliatelle potevano andare. Abbondante battuto di cipolla, sedano, carota, uno spicchio d'aglio anch'esso tritato. Meglio i pelati che la passata di pomodoro, e non doveva essere troppo rosso. E poi chiaramente il coniglio. Fatto a pezzi, per la corretta riuscita del sugo andava usata anche la testa, intera (poi scartata) e soprattutto il fegato. Il fegato, tritato e buttato in pentola assieme al soffritto. Un piatto unico di tradizione campagnola, in un colpo solo hai il sugo per la pasta e la carne per secondo. Aggiungi il contorno e sei a posto. Ho il ricordo vivissimo dell'odore del sugo di coniglio in via di preparazione.
Perché ho parlato al passato? Perché l'ultima volta che ho cucinato questo piatto è stato con un coniglio allevato in casa, artigianale, di chi teneva anche pollaio e orto. Il suo fegato era scuro (color fegato, appunto), sodo, compatto - in una parola, sano.
Mi era capitato tempo prima di provarci con un coniglio preso al supermercato. Era stato confezionato senza testa, e vabbè. Ma il fegato era lì: beige chiaro, di un colore malato. Un fegato spappolato: odore "sbagliato", consistenza molle, si sbriciolava a toccarlo: inutilizzabile.
Un effetto collaterale delle condizioni di allevamento industriale.
Un effetto collaterale frivolo, perché come dicevo l'uso di antibiotici negli allevamenti industriali è indicato tra le cause dell'insorgere di ceppi batterici resistenti agli antibiotici.


CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...