Credo che ogni tanto ci sia da ribadire, perché di scientificità e ascientificità si è straparlato a schiovere. Una prima doverosa precisazione va fatta citando (di nuovo) Feynman:
Indaghi per curiosità, perché qualcosa è ignoto, non perché già
conosci la risposta. E mano a mano che acquisisci informazioni
scientifiche non è che che tu stia trovando la verità, ma realizzi
quello che è più o meno probabile.
Quindi non si sta parlando di nessun tipo di verità. Poi per vari motivi nei discorsi sul metodo scientifico si è sempre navigato tra i massimi sistemi, Popper, la falsificabilità etc, generando più confusione che altro, il più delle volte glissando sugli aspetti quantitativi (analisi dei dati, misure) e abusando selvaggiamente dell'induzione (se sappiamo che A=B è ragionevole pensare che C=D, senza dimostrarlo). E' una cosa che riguarda lemaledettebasi, quelle che perlopiù mancano. Quindi ritengo sia meglio ripartire non dall'alto ma dal basso, non dalla fine ma dall'inizio. E se si parla di "metodo scientifico" si parla di scienze galileiane e le scienze galileiane iniziano convenzionalmente con Galileo. Cominciamo terra terra, dall'Enciclopedia per Ragazzi Treccani:
Il metodo galileiano può essere suddiviso in quattro fasi:
l’osservazione sperimentale (le «sensate esperienze»); la definizione
dell’ipotesi (o modello);
la deduzione matematica (le «necessarie dimostrazioni») e infine la
verifica delle deduzioni, per confermare o meno l’ipotesi iniziale e per
determinare la legge in grado di descrivere il fenomeno.(https://www.treccani.it/enciclopedia/metodi-scientifici_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/)
Un corollario dovuto: l'osservazione sperimentale deve essere ripetibile da altri, perché se la vedi solo tu forse c'è qualcosa che non va, nel tuo metodo, nei tuoi strumenti di misura o direttamente in te. E quindi è facile segare lo pseudo qualcosa alla radice: se non è riproducibile, non è riproducibile. Se la riproducibilità è un problema in genere, invariabilmente il dominio delle pseudoscienze è quello dell'irriproducibile, dell'indimostrabile, del non verificabile, dell'artefatto sperimentale. E non parlo per sentito dire: qua sopra fu scritto un paio di volte di rilevanti casi particolari, tipo qui , qui e qui. La cosa risultò a molti sgradita perché quando si dice "scienza" si intende "articolo di fede" sia tra i "pro" che tra i "contro" (è sempre stata una storia "i miei santini contro i tuoi santini", mentre qua sopra l'unico uso ammissibile di un santino è sempre stato il dargli fuoco).
Torniamo al metodo galileiano. Dopo l'osservazione c'è la definizione dell'ipotesi: e l'ipotesi deve essere coerente con quanto osservato . Segue la trattazione matematico/statistica: se non c'è, sciò. Quindi c'è la verifica dell'ipotesi: se la verifica non è possibile non ci siamo per niente. E questo è Galileo, il citatissimo Galileo, che parlava dell'universo come libro scritto in caratteri matematici. Il "metodo galileiano" all'epoca attirò individui che vollero trasferirlo a campi diversi dalla fisica, dalla medicina (Malpighi) alla chimica (e fu un affare abbastanza complicato e non privo di contraddizioni). Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente, diceva con buona ragione uno per cui non ho mai avuto nessuna simpatia - concedetemi questa divagazione - e questo è uno dei tanti problemi sia della scienza accademica (a cui il tema non interessa perché non porta fondi, se ne occupino filosofi e storici della scienza) sia della vulgata parascientifica (la "comunicazione della scienza"), che non se ne occupa perché una cultura scientifica, se esiste, non è roba che compete a chi si occupa di spettacolo.
Guardando indietro i vademecum diffusi in rete per distinguere l'affidabile dalle pseudocose erano ignoranti come chi li proponeva: verifica le fonti etc.. Perché il tipo medio in rete di capacità analitiche minime non ne ha, e non è in grado di verificare, seguendo la lista dell'Enciclopedia dei ragazzi, se qualcosa stia in piedi o no.
Intendiamoci, sulla trattazione matematico/statistica nei tempi del primato delle life sciences inciampa mezzo mondo: mi ricordo distintamente passate come "verità scientifiche" le conclusioni di articoli che davano i numeri con intervalli di confidenza (C.I.) ampi quanto un'autostrada a 4 corsie (quindi più che "verità" era un "forse", un "può essere", un "boh!"). E le cose sono complicate dal famoso detto "se li torturi abbastanza i dati finiranno per confessare quello che vuoi". Ma rimane possibile, avendone i mezzi, distinguere tra quel che sta in piedi e il resto.
Dopo di che è chiaro che quando il 95% del pubblico non ha i mezzi intellettuali o le basi per scorrere la checklist dell'Enciclopedia dei Ragazzi il tutto si risolve nel peggior casino possibile, chi è fonte e chi no, quello è autorevole quell'altro no, la "comunità scientifica",etc etc - e la "scienza mediatica", cioè lo scientismo pop, diventa un sistema arbitrario per raccontare al pubblico cosa è giusto che creda e cosa non lo è.
La scelta dell'Enciclopedia per Ragazzi Treccani è una scelta oculata. Una scelta fatta per sottolineare la qualità del livello. Ed è forse per questo che quella che un tempo era divulgazione scientifica "alta" (Scientific American e The New Scientist negli anni 70-80) ha poi finito per correre dietro al format di Focus o a quello dei documentari naturalistici: la odierna divulgazione scientifica per le masse è al 99% a-scientifica in quanto l'aspetto analitico/quantitativo, cardine dell'impostazione galileiana, è assente o completamente dimenticato. Probabilmente quando Treccani ha messo in piedi l'Enciclopedia dei Ragazzi ha sparato molto alto, evidentemente troppo.
Detto ciò un metodo è un metodo. Continuo a ritenere, ripetendomi, che la migliore definizione di processo scientifico sia quella di Ilya Prigogine: un fecondo dialogo tra l'intelletto e la natura, che è quello che è - non ti insegna a vivere, non produce alcun senso per l'esistenza umana. Se qualcuno dice il contrario non fa altro che avallare la "scienza" intesa come una delle religioni dei nostri tempi.