Il meraviglioso mondo dei social vi ha abituato a gente con il PhD nella bio. Che quindi ha un valore in sé, come ai tempi in Italia una qualsiasi laurea conferiva il titolo di "dottore": dottore in legge, dottore in lingua e letteratura francese, dottore in scienze politiche etc.
Era l'eredità di tempi in cui i laureati costituivano una popolazione relativamente esigua della popolazione italiana, e quindi costituiva un titolo distintivo.
Sempre ai tempi, per fare un esempio che conosco bene, il dottorato (che durava due anni ed era pagato quasi 0) lo faceva solo chi era intenzionato a rimanere all'università: ricercatore prima, professore poi (e non era una transizione ardua come lo è ora). E non era particolarmente significativo dal punto di vista della formazione del chimico, che si era fatto negli anni diversi mesi di laboratori vari e di solito più di un anno di tesi sperimentale.
Oggi le cose sono assai diverse e per molti versi il sistema italiano si è allineato a quello anglosassone e nord europeo. Oggi l'unica sicurezza che un laureato in chimica (o CTF) abbia il minimo sindacale di background sperimentale è costituito dal PhD. E questo perché tra tre più due e tagli di spesa durante i cinque anni i laboratori sono passati da diversi mesi a qualche settimana. Motivo per cui quando mi chiedono di valutare curriculum di solito sorvolo sulle lauree magistrali moderne italiane (anche perché subissate in numero da PhD e postdoc, anche italiani).
Ma in questa anglosassonizzazione dell'universtà italiana c'è un pezzo che manca, o meglio che è sparito.
Ok, ai tempi in Italia non funzionava come negli USA, con una divisione netta tra università di fascia alta e di fascia bassa. Ma si sapeva bene che c'era università e università, parlando di chimica anche per quello che riguardava non solo la qualità della formazione ma anche la difficoltà del percorso per arrivare alla laurea. Mi ricordo gente che "andava a sbiennare" in università meno esigenti, per poi tornare dopo essersi tolta il peso.
Ecco, oggi tutto questo che, ripeto, nei sistemi anglosassoni è un fatto scontato, in Italia sembra scomparso. Anche perché in una selva di graduatorie e valutazioni ogni università o dipartimento si può trovare quella in cui è messa bene e magari riescono a trovare una classifica in cui escono primi o secondi, anche se assieme a centinaia di altri. Ma vuoi mettere la soddisfazione di dire "Sono arrivato uno!".
Ma, se si guarda alle università italiane nell'Academic Ranking Of World Universities i più vecchi troveranno la lista mollto familiare:
Il quadro è più o meno sempre stato quello o lo è stato negli ultimi cinquanta anni o giù di lì. E questo indipendentemente da quanto chi è fuori dalla lista provi ad affermare diversamente.
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