martedì 5 marzo 2024

IL CLIMA, I MODELLI, L'INCERTEZZA

(NdCS: L'autore di questo pezzo è un altro expat che nel suo passato accademico ha lavorato su modelli climatici - poi ha usato il suo dottorato in fisica e le sue competenze per passare nel privato. Nel testo è centrale il termine "forzante": indica, per un sistema fisico complesso, una causa esterna al sistema stesso che ne influenzi l'evoluzione; è particolarmente usato nella meteorologia per i fattori determinanti l'evoluzione dell'atmosfera e del clima)

 

https://dept.atmos.ucla.edu/tcd/publications/natural-climate-variability

CS rinvia a due video interessanti, nel suo articolo del 19 febbraio. La spiegazione di Sabine Hossenfelder su come il modello di Lorenz abbia una evoluzione in qualche misura analoga a quello del clima terrestre è particolarmente chiaro. Il finale del video, però, mi ha lasciato perplesso: Sabine sostiene che sia l'esistenza di un termine forzante (implicitamente, la CO2), che ha un impatto simile sul sistema indipendentemente dalle condizioni iniziali, a determinare la predicibilità dei cambiamenti climatici (intendendo chiaramente i cambiamenti climatici dovuti all'intervento antropico). Devo dire che quando sono arrivato a queste conclusioni, sono rimasto piuttosto deluso, non perché pensi che l'affermazione sia falsa, ma perché la trovo una conclusione molto affrettata e parziale. Ragionando sul clima si possono arrivare a delle conclusioni molto più interessanti, anche se forse meno consolatorie a riguardo della fiducia ne gliscenziati.

Provo a spiegare cosa intendo, partendo da un punto di vista completamente diverso, cioè quello dell'osservazione dei fenomeni. C'è in particolare un grafico, che ho preso da qui ma che si trova in forme simili in diversi libri sulla fisica del clima, che riesce a sintetizzare molti aspetti del "sistema clima". Si tratta di uno spettro, che si può definire come una funzione che lega l'intensità di un fenomeno (asse verticale) alla sua frequenza tipica (o alla scala di tempo, cioè il periodo, sull'asse orizzontale). Il grafico, in realtà, è una composizione di grafici che provengono da fonti diverse, per il semplice motivo che costruire tale grafico da una singola serie temporale è impossibile: non abbiamo delle misure continue della temperatura o del vento ogni ora nel corso degli ultimi 10 milioni di anni. Nella parte di destra, ci sono i periodi "brevi": ore, giorni, anni, e in questo caso è possibile ricostruire effettivamente il grafico direttamente da delle misure di quantità come la temperatura o la velocità del vento. Spostandosi verso sinistra, invece, il grafico è ottenuto piuttosto dall'analisi di campioni geologici, e in questi casi la ricostruzione dei parametri climatici è ottenibile solo indirettamente.


Si potrebbero riempire libri su questa figura, ma limitiamoci a qualche elemento essenziale. I due picchi, molto stretti, di gran lunga più alti di tutti gli altri (occhio, la scala è logaritmica sia in verticale che in orizzontale!) sono il ciclo diurno e quello annuale, i modi di variabilità del clima più intensi e completamente determinati dalla forzante solare. Ci sono poi molti altri picchi, in genere molto più larghi, che sono legati a varie forme di variabilità interna del clima. A 3-7 giorni, ad esempio, c'è il picco legato all'alternarsi di anticicloni e perturbazioni, alle nostre latitudini, ma ci sono molti altri picchi a periodi più lunghi, anche di centinaia di anni e oltre. Tutti questi picchi sono legati a delle forme di variabilità interna del clima, non legata ad un cambiamento della forzante. Il clima, infatti, in quanto sistema caotico, pur essendo forzato con una periodicità molto precisa dall'alternarsi delle stagioni e del giorno con la notte, genera spontaneamente delle variazioni che hanno una periodicità differente da quella della forzante. Questo è in realtà una proprietà più generale dei sistemi non-lineari, che sono in grado di trasferire energia tra processi che hanno "velocità" (o meglio periodi) diversi. Il lento riscaldarsi dell'aria passando dalla primavera all'estate (parte del ciclo annuale) dà origine a lunghi periodi caldi (variabilità intra-stagionale) ma anche a temporali, con un'evoluzione molto rapida, di alcune ore. Si potrebbero trovare molti altri esempi. Più a sinistra, ci sono altri picchi con periodicità molto lunghe, di migliaia e fino a centinaia di migliaia di anni. Alcuni di essi sono legati alle variazioni periodiche dell'orbita terrestre, che hanno un impatto sulla quantità di radiazione solare che arriva sulla Terra, ma anche su queste scale di tempo lunghissime il clima sembra essere in grado di generare una variabilità non direttamente legata alle forzanti esterne, ma piuttosto dovuta all'emergere spontaneo di variazioni quasi-periodiche.

Dalla lettura di un grafico come questo, si possono trarre varie lezioni, ma forse quella più interessante è che le variazioni del clima hanno una varietà di scale temporali ricchissima. Le variazioni periodiche della forzante solare sono il carburante che tiene in moto il sistema, ma il sistema evolve in una miriade di fenomeni diversi, che interagiscono tra loro e "spostano" l'energia a scale temporali diverse, con variazioni che, seppure molto meno forti del ciclo annuale o diurno, sono comunque molto significative (significative sia da un punto di vista prettamente statistico sia da quello pratico: sono questi picchi che, ad esempio, corrispondono all'alternarsi del bel tempo al sole, ma anche di periodi secchi ad altri piovosi, annate fredde ad altre calde,...). Vale anche la pena notare che, se ci limitiamo ad osservare il clima da questo punto di vista, la distinzione con il meteo è molto labile, non c'è una separazione tra delle variazioni "veloci" (il meteo) e delle variazioni "lente" (il clima). È anche giusto notare che, osservando questa fenomenologia, non è corretto concludere che il clima si può predire "solo grazie alla forzante esterna". Anzi, sono proprio i modi di variabilità intrinseca del clima (si pensi al famoso El Nino, ad esempio) che consentono in qualche misura di predire le variazioni climatiche su scale che superano quelle delle "classiche" previsioni meteorologiche.

Un altro elemento che voglio far notare, ripensando al video della Hossenfelder, sono le dimensioni della forzante. I picchi del grafico sopra ci danno un riferimento, se guardiamo quelli ad un anno ed un giorno, sulla grandezza della forzate principale, quelle sono le variazioni causate direttamente dal sole. Se mi rivolgo a Wikipedia, vengo a sapere che, in media, quella forzante rappresenta circa 240 W m-2 , che equivale a coprire tutta la superficie terrestre con delle lampade di quella potenza su ogni metro quadrato (lampade molto efficienti, perché si tratta di "short-wave radiation", di onde corte, cioè sostanzialmente di luce visibile, non di "calore", cioè di radiazione a onde lunghe). Questa energia, ovviamente, non resta sulla Terra, altrimenti saremmo tutti arrosto, ma viene ri-emessa nello spazio, anch'essa sotto forma di radiazione perlopiù infrarossi. L'energia che arriva sulla Terra e quella che viene ri-emessa nello spazio sono all'incirca uguali. Se la Terra si riscalda, l'energia che viene ri-emessa è un po' meno di quella che arriva, e viceversa se la Terra si raffredda. Le emissioni antropiche in atmosfera vanno proprio a perturbare questo equilibrio, e le stime più recenti, dal sesto report IPCC, ci danno una stima dell'effetto antropico sul clima equivalente a 2.72 Wm -2 . Il rapporto è perciò all'incirca di 100 a 1, la forzante dovuta all'attività umana è perciò molto piccola rispetto a quella media. Questo però non significa affatto che possa essere ignorata, innanzitutto perché anche un piccolo sbilanciamento può accumularsi nel tempo, ma anche e soprattutto perché il clima è un sistema non-lineare, in cui una piccola variazione della forzante innesca una reazione del sistema che va a modificare la forzante stessa. Se riguardiamo il grafico sopra, un rapporto di 100 a 1 corrisponde a grandi linee al rapporto tra i picchi principali (diurno, annuale) e quelli minori che, come ho spiegato sopra, corrispondono comunque a dei fenomeni chiaramente percepibili anche nel quotidiano.

E qui, si innesta il problema di cui cerca di parlare Franco Prodi nell'altro video linkato da CS nell'articolo, e cioè quello dei cosiddetti "feedback" del clima. Il più semplice e importante è quello legato al fatto che una Terra più calda emette più calore nello spazio, andando perciò a ridurre la velocità del riscaldamento stesso, fino a raggiungere un nuovo equilibrio (quale, chissà). Ci sono però molti altri tipi di feedback, che coinvolgono il ciclo dell'acqua, quello della CO2 stessa (che viene sequestrata naturalmente su scale di tempo più o meno lunghe), quello della vegetazione, quello delle nubi. Questo è un elemento centrale di discussione a livello delle scienze del clima, e perciò anche del famoso IPCC report, qui. Il dibattito verte sulla grandezza e sul segno di questi diversi feedback: se sono negativi vanno a rallentare il riscaldamento dovuto all'effetto serra, se sono positivi lo aumentano. Alcuni di questi feedback sono compresi relativamente bene, altri meno, e il modo in cui si potrebbero combinare assieme, o meno, può avere un impatto molto significativo sull'evoluzione temporale dei cambiamenti climatici. Non solo, data la non-linearità del sistema, questi feedback cambiano al cambiare dello stato medio del sistema, complicandone ulteriormente la comprensione.

E a questo punto, bisogna fermarsi un attimo per chiedersi cosa significhi studiare questi fenomeni. Da un lato, abbiamo le misure, che provengono da una varietà di strumenti diversi (misure dirette, satelliti,...) e che, anche se sono enormemente migliorate nel corso degli ultimi decenni, restano molto disomogenee in termini di distribuzione spaziale e temporale (cioè, alcune parti della superficie terrestre sono misurate "bene" da molto tempo, altre no). Dall'altro lato, abbiamo i modelli che, per inciso, necessitano di tutta una serie di metodi tutt'altro che banali per poter essere inizializzati a partire da delle misure disomogenee come quelle che abbiamo (è tutto un'intero campo di studio, quello della "data assimilation"). Anche se i modelli del clima sono il tema su cui ho lavorato di più nella mia carriera accademica (o forse proprio per quello) esito ad entrare nei dettagli. Come nota anche Sabine Hossenfelder, la complessità della materia è tale che risulta impossibile, per una persona sola, dominarla dalla A alla Z. Inoltre, molti dettagli prettamente tecnici dei modelli sono tanto fondamentali quanto poco conosciuti, al di fuori di ristretti circoli di esperti, e in evoluzione costante. Pur avendo nella mia carriera lavorato non poco sui modelli "semplici", come quelli presentati da Sabine Hossenfelder, credo in realtà che non siano lo strumento corretto per interpretare risultati come quelli dell'IPCC report. Mentre i modelli semplici come quelli di Lorenz sono strumenti straordinariamente potenti per comprendere specifici processi (fisici, termodinamici, bio-geo-chimici) del più ampio sistema clima, i cosiddetti "Earth System Models" che informano i rapporti sul clima sono qualcosa di completamente diverso. Questi modelli mirano a tracciare l'evoluzione, dinamica e termodinamica, del sistema accoppiato formato dall'atmosfera, dall'oceano, dalla criosfera e dalla biosfera, combinando metodi con solide basi teoriche ad approcci empirici che necessitano di complessi metodi di calibrazione (che, peraltro, hanno limiti ampiamente discussi nella letteratura scientifica, ad esempio qui). Mi fermo qui, prima di addentrarmi in questo argomento, ricordando soltanto che i modelli di previsione climatica sono fallibili, come ogni altro strumento di conoscenza prodotto dall'uomo.

A questo punto, un grillino potrebbe concludere che questa è tutta roba da buttare, e devo ammettere che io per primo ho provato questo genere di repulsione in una mia vita precedente. Predire l'evoluzione di un sistema così complesso, con una dinamica così ricca, con delle variazioni continue e ampie che mascherano il piccolo segnale che ci interessa, è un'impresa oggettivamente molto difficile. Credo però che la conclusione grillina sia, come sempre, sbagliata. Penso che la lezione da trarre sia invece che l'incertezza è la quantità centrale in questo problema: l'incertezza legata al sistema di misura, al sistema di predizione, ed allo stesso "sistema clima", in quanto caotico e non-lineare (CS cita spesso Prigogine e Stengers, ed il loro libro "La nuova alleanza" resta secondo me uno dei riferimenti più belli e profondi sul ruolo dell'incertezza nello studio scientifico dei sistemi caotici).

Parlare di previsioni del clima senza discuterne l'incertezza semplicemente non ha senso, e chiunque non metta il problema dell'incertezza al centro, sta cercando di passare un'agenda politica, non di trasmettere un messaggio scientifico. Anzi, parlare di incertezza è essenziale proprio perché parlando di incertezza si può esplicitare la dimensione politica di un dibattito che può svilupparsi sul problema del clima, trattandolo come un problema da valutare, soppesare, paragonare ad altri problemi. Sarebbe sicuramente salutare.

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