lunedì 13 luglio 2020

CONTRORDINE, COMPAGNI




Ad aprile pareva che l'obbligo per un vaccino da venire fosse una cosa sacrosanta (e nessuno poteva garantire se e quando sarebbe arrivato, il vaccino).
Anche a maggio l'orientamento governativo andava in questa direzione.
Nel frattempo erano state opzionate decine di migliaia di dosi del vaccino Oxford-Astra Zeneca, e la musica non era cambiata. Sui media e in rete si arrivati all'assurdo di discutere di rischi benefici e obbligatorietà di un vaccino inesistente e che forse non esisterà mai (nel senso che le probabilità della sua approvazione restano il 10%).
Il sei di luglio Sileri, viceministro alla Salute, rilascia un'intervista alla Verità e il giornale titola: "No al MES e al vaccino obbligatorio" - Il viceministro della Salute "Il fondo salvastati non è vantaggioso. Il farmaco antiCOVID ad ora non esiste e comunque non lo imporremo" (ok, titolazione confusionaria, al solito, che dice farmaco quando dovrebbe dire vaccino).
La sera dell'8 luglio, ai microfoni de La7 (In Onda) il ministro della Salute Roberto Speranza conferma la nuova posizione del ministero: "Non punterei su obbligo del vaccino Covid" (https://www.huffingtonpost.it/entry/speranza-non-punterei-su-obbligatorieta-del-vaccino-video_it_5f05b5b2c5b6480493c99c2a).
Un'inversione a U non da poco.
D'accordo, riguardo a COVID-19 la situazione continua ad essere in rapida evoluzione e quel che sembrava certo ad aprile o maggio oggi diventa un'ipotesi o una possibilità, oppure viene del tutto smentito dall'acquisizione di nuove evidenze. Come fanno notare su Nature, ci sono ancora cose che non sappiamo, e non sono né poche né di poco conto (https://www.nature.com/articles/d41586-020-01989-z).
Ma, come detto e ripetuto alla nausea qua sopra, l'obbligo vaccinale non è questione "scientifica", è affare squisitamente politico, cioè politica sanitaria.
E allora che c'è dietro questo radicale cambiamento di indirizzo politico?
A leggere in giro gli ultimi sondaggi pubblicati sui giornali non ci sono emergenze sul gradimento nei confronti del governo Conte. Per Conte e i suoi tutto parrebbe andare nel migliore dei modi. Il gradimento di Speranza, ci facevano sapere il 20 giugno, è molto alto e supera addirittura quello di Conte e di Salvini (https://www.adnkronos.com/fatti/politica/2020/06/20/sondaggio-conte-testa-fra-leader-speranza-supera-salvini_GwTESRYUxouUNvG0sx5yIO.html).
Quindi questa conversione sulla via di Damasco sembrerebbe dettata da mutate convinzioni, e non frutto di oppurtunismo politico.
Ma se invece la cosa avesse a che fare con "la fine della credibilità" (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2020/07/la-fine-della-credibilita-by-starbuck.html)? Che ne dite?

martedì 7 luglio 2020

LA FINE DELLA CREDIBILITA’ - By Starbuck



Il vicinato chiassosamente vitale ti rende partecipe della sua vita familiare in questi mesi di libertà vigilata. A. si avvicina all’auto parcheggiata nel cortile e mentre mi saluta con un sorriso,  urla rivolta alle finestre un piano più “me l’avete lasciata una mascherina in auto?”. Non essendo carnevale, ovviamente la mascherina a cui fa riferimento è quella-di-comunità. Nello specifico: la sua comunità. Mentre ricambio il sorriso, rimugino sui successi della “sensibilazione della popolazione all’uso della mascherina di comunità”.
Si perchè la mascherina di comunità ha usi innovativi: regge la barba, copre doppimenti pronunciati, penzola al posto del superato arber magic (le faranno anche profumo lavanda o solo gusto amuchina?), cura gomiti del tennista e tendiniti da smartwork. Eventualmente appare di fronte al volto, recuperata dal fondo di una tasca, mentre la cassiera prova a urlare “non si entra senza la mascherina!”.
Ma che altro uso gli vuoi dare se non quello di “evitami una multa oggi”?
Un mio amico, uno di quelli  con l’ eicindex e la lancia della Scienza in resta, mi dice che è scandalizzato da chi non la usa sempre. Dice “però qualcosa fa”, e mi manda un articolo (che però non supporta la sua affermazione). Siccome sono una ragazza per bene, non gli dico “ma lo ha letto almeno?” . No, gli rispondo in maniera accondiscendente “si, come un profilattico...non testato...magari fatto in casa... e riusato più volte... magari lavato una volta alla settimana... o gli spruzzi su qualcosa... qualcosa fa di sicuro...”.
Avete provato una sensazione di malcelato schifo? Ecco, d’ora in poi guarderete la vostra mascherina di comunità con occhi differenti... Sicuramente differenti di chi ha prolungato l’obbligo per la regione Lombardia, sostenuto dal sapere di non ben precisati Virologi (https://varesenoi.it/2020/06/29/leggi-notizia/argomenti/regione-3/articolo/mascherine-obbligatorie-fino-al-14-luglio-la-conferma-di-fontana-lo-chiedono-i-virologi.html ), con la V grande.
Insistere per principio. Negli ultimi mesi quando insistere con la scienza applicata a pricipio di autorità sembrava non bastare, si è scelto di... insistere ancora.
Correva l’anno 2017, un signore che due cose su filosofia della scienza le sapeva, ammoniva “attenti che a insistere si finisce col perdere di credibilità”.
Risultati finali?
Su 190mila contattati dalla crocerossa, solo 70mila hanno deciso di effettuare il test sierologico per l’ISTAT (https://tgcom24.mediaset.it/cronaca/coronavirus-test-sierologici-vicini-alla-scadenza-effettuati-solo-70mila-su-150mila_20328522-202002a.shtml): il 37% circa. Che la minaccia di TSO (da chi ha fatto un paio d’anni di veterinaria ed un pò di virologia la sa) e reclusioni - a tempo non determinabile-  in caso di positività influisca di più dei rassicuranti “fatelo per il bene della nazione”?
E il “proteggi te stesso e i tuoi cari con l’app immuni”? sui 4 milioni, ad un ordine di grandezza di distanza dal 60% della popolazione italiana (https://money.it/app-immuni-flop-quanti-italiani-l-hanno-scaricata)
Ed anche sulla voglia di vaccinarsi, la fiducia svetta alta ( https://repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/06/20/news/coronavirus_italiani_poco_propensi_a_vaccinarsi-259718614/ ): siamo “solo” al 41% e mi raccomando insistiamo con “che sia obbligatorio”, magari riusciamo a sfondare il tetto del 50% della popolazione!
Ma non servono i sondaggi e gli articoli e le interviste alla popolazione... per sancire la fine della credibilità bastano la vignetta di Leo Ortolani ed il video della “Rimamband” con migliaia di like, molti messi dagli stessi che fino a ieri seguivano sognanti virologi e debunker.

domenica 5 luglio 2020

ANCORA MASCHERINE - ED EVIDENZE ASSENTI




Quando si parla di mascherine senza dire "Santa Mascherina, sempre sia Lodata, per saecula saeculorum" di solito poi ci sono "scienziatoni" che iniziano a sciorinare bibliografia di solito mal letta, non compresa e peggio digerita per dire: "vedi che..." . Sembrano no-vax di quelli duri e puri.

Questa è una review che prende in esame un po' di letteratura disponibile, facendo attenzione a specificare il tipo di maschera di cui si parla. E indovinate che viene fuori?
Buona lettura

sabato 4 luglio 2020

GLI ANTIVIRALI NON FUNZIONANO E COMUNQUE LI HA FINANZIATI IL PUBBLICO




Tra le amenità (ideologiche) che girano attorno alle recenti vicende di remdesivir questa è molto gettonata. Chiaramente proviene dalla solita area "uova gratis per tutti, abbasso le galline", e quindi in quel tipo di discorso se ne capisce alla perfezione la valenza, che è sempre la solita (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2020/07/e-se-prima-si-nazionalizzasse-una-banca.html). Stiamo parlando di gente che ti curerebbe a interferone, azitromicina e cortisone (https://theintercept.com/2020/05/26/coronavirus-gileand-remdesivir-treatment/). Ho sempre odiato il termine "trinariciuto", ma negli ultimi tempi inizio a comprenderlo.
Però "gli antivirali non funzionano" è anche un pregiudizio medico piuttosto diffuso (il che dovrebbe dire qualcosa su quanto siano aggiornati molti medici). E a questo punto è il caso di fare una carrellata sugli antivirali negli ultimi 40 anni.

Fino a metà anni 90 il capitolo antivirali era in effetti una nota dolente. Aciclovir, approvato nel 1981 contro l'herpes simplex era forse l'unico con un'efficacia risolutiva. Amantadine, ribavirina etc etc da un punto di vista moderno non erano gran che, ma comunque, all'epoca, costituivano il meglio che c'era (ed era un "meglio" piuttosto scarso).
La grande svolta ci fu a metà anni 90, e ci fu con HIV: l'approvazione dei primi inibitori di proteasi dell'HIV cambiò radicalmente le prospettive quanto a trattamento dell'AIDS.
Seguirono poi inibitori di integrasi e varie altre molecole, nuove generazioni di classi più vecchie. Ebbene, gli AntiRetroVirali sono un tipo particolare di antivirali. Qualcuno vuol dire che non funzionano?
Il nuovo millennio sul tema ha portato grandi novità. Di solito per dire "gli antivirali non funzionano" si citano i primi inibitori di neuroaminidasi (oseltamivir, cioè Tamiflu, in particolare). E in effetti, pur essendo un passo avanti rispetto alle amantadine, non erano gran che. Poi è arrivato peramivir, e la situazione sarebbe cambiata, in teoria, in pratica è molto più complicato (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2020/06/la-sindrome-influenzale-europea.html).
Ma il grande game changer è arrivato nel 2014: da un momento all'altro l'epatite C divenne curabile (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2020/04/ci-aspettavamo-le-acclamazioni-e-invece.html). E lo divenne sempre di più con l'introduzione degli inibitori ciclici di NS3/4A (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/epatite-c-lo-sviluppo-degli-inibitori.html).
Quindi ad oggi di antivirali che funzionano ce ne sono parecchi. Remdesivir è solo l'ultimo di una lista ormai molto lunga.E "gli antivirali non funzionano" è un'idiozia.

Per remdesivir, come per sofosbuvir a suo tempo, sta venendo fuori la solita tesi: privatizzazione di ricerca pubblica pagata con soldi pubblici. Una affermazione in puro stile no-vax, per il modo in cui la realtà viene presa e distorta.
All'inizio del decennio che si è appena concluso l' U.S. Army Medical Research Institute of Infectious Diseases (USAMRIID) avvia una collaborazione con Gilead: screening di agenti terapeutici contro virus RNA con potenziale pandemico. In questo progetto l'amministrazione federale USA mette 70 milioni, una cifra generosa per un programma di screening. Il programma finisce per produrre una libreria di 1000 composti la cui proprietà resta a Gilead. Educated guess: a Gilead è stata sintetizzata la libreria, a USAMRIID sono stati eseguiti i saggi biologici, visto che tra i virus esaminati c'è anche Ebola e quindi parliamo di laboratori in BSL-4, e in USA ce ne sono solo tre (https://www.the-scientist.com/technology/science-under-glass-inside-a-biosafety-level-4-lab-50522), due governativi e uno privato con qualche problemino di sicurezza (https://en.wikipedia.org/wiki/Texas_Biomedical_Research_Institute#Controversy)
Nel 2014, con l'inizio dell'epidemia di Ebola nell'Africa Centrale, la libreria viene sottoposta ad un ulteriore screening, prioritarizzando i risultati per Ebola. Da qua viene fuori GS-5734 (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7202039/), poi noto come remdesivir.
Se tizio progetta e sintetizza i composti e lo stato li testa nella sua struttura BSL-4, il fatto che la proprietà dei composti resti a tizio è privatizzazione di ricerca pubblica? Magari se lo stato non avesse messo soldi nessun privato sarebbe stato interessato al progetto. Certo che se invece del privato tu avessi avuto industria pubblica le cose sarebbero state assai diverse, ma provate a parlare di industria pubblica negli USA... (vieni immediatamente bollato come comunista e finisce lì).
E comunque qua siamo nella prima parte del preclinico. Prima di arrivare nell'uomo c'è da fare tutto il profilo del candidato farmaco, farmacocinetica in vivo compresa, il modello animale (e qua probabilmente ancora USAMRIID in BSL-4), le tossicologie ufficiali su due specie animali (e quindi la sintesi dei batch tossicologici), lo sviluppo processo sufficiente da inserire nella Investigational New Drug Application. E poi ci sono i trial clinici, che sono quelli che fanno il grosso delle spese dello sviluppo farmaceutico, che contrariamente a quel che molti dicono sono mediamente dell'ordine di centinaia di milioni di dollari (e spesso si arriva tra uno e due miliardi). Per poi rimanere con in mano un pugno di mosche, se guarda il caso Ebola.
In tutto il successivo lavoro su remdesivir per SARS-CoV-2 l'amministrazione federale è stata di nuovo coinvolta, "riarruolando" Gilead (e questa volta di mezzo c'è stata NIAID). NIAID ha sponsorizzato un trial, ma la maggioranza degli altri li ha sponsorizzati Gilead. Come già detto, lo sviluppo clinico rappresenta la maggior voce di costo dello sviluppo farmaceutico: un grosso rischio per lo sviluppatore, ma un guadagno certo per qualcun altro, che negli anni ci guadagna sempre di più (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/inflazione-medica-e-costo-dei-farmaci.html).

Quindi remdesivir come "privatizzazione di ricerca pubblica" è "leggermente" esagerato. In cambio di 70 milioni messi in circa 10 anni l'amministrazione USA ha ottenuto un milione e mezzo di dosi gratuite, che farebbe 280 dollari per ciclo di trattamento. Uno schema già visto con BioCryst e peramivir, Caso in cui però le agenzie federali hanno finanziato l'intero dello sviluppo clinico con un totale di circa mezzo miliardo di dollari. Ci sarebbero stati questi risultati senza l'impegno pubblico? No, quasi di sicuro. E' dimostrato che in certe aree investire del proprio non conviene - se ne è accorta con la TBC Otsuka Pharmaceuticals, con delamanid. Ecco, la TBC offre un ottimo esempio di quel che riesce a fare la ricerca pubblica (non industriale): Stop TB Partnership ci ha messo vent'anni a ottenere pretomanid, spendendo un paio di miliardi in tutto, e ottenendo un prodotto dal profilo decisamente peggiore di quello di delamanid. Ma costa molto meno ed è stato usato per ottenere da Otsuka prezzi più bassi per delamanid. Quindi la ricerca pubblica non industriale è l'ideale in chiave antipandemica. Due decenni sono un tempo di risposta perfetto, per il problema.

UN INSUCCESSO IN ONCOLOGIA




Pembrolizumab (Keytruda) ha costituito circa il 50% della cosiddetta "rivoluzione immunooncologica", e la sua è una storia interamente industriale. Non solo, è uno dei rarissimi farmaci degli ultimi 30 anni la cui invenzione sia ricollegabile ad un singolo individuo: Greg Carven.
Carven è un chimico che fin dalla sua tesi di laurea si era occupato di biochimica e immunologia.
Quando viene assunto a Organon, la defunta filiale americana di Akzo Nobel, lavora a un progetto in linea con la sua esperienza di ricerca: cerca anticorpi agonisti di PD1, che si pensa possano essere utili nel trattamento di patologie autoimmuni. La cosa andò male: il progetto non fornì agonisti con una buona attività.
Ma invece vennero ottenuti antagonisti (inibitori) molto potenti, per cui si immaginò subito un possibile impiego in oncologia.
Carven e associati stavano iniziando ad umanizzare l'anticorpo nel 2007 quando bang! Schoering Plugh si compra Organon. Il progetto riesce a sopravvivere nel nuovo contesto aziendale ma due anni dopo, di nuovo, bang!
Merck si compra Schoering Plugh.
E' il periodo del funesto regno di Peter Kim, alle ricerche Merck, e pembrolizumab viene esaminato, pesato e retrocesso: lavori fermi, farmaco nella lista degli asset da vendere, se qualcuno lo vuole. E Kim (o meglio, i suoi uomini) stavano per darlo via quasi per niente quando arrivò un contrordine. BMS stava ottenendo buoni risultati con il proprio anticorpo anti PD1 e la faccenda andava riconsiderata. E alla fine pembrolizumab ha reso Merck leader nel campo immunooncologico, così, un po' per fortuna, un po' per scienza, un po' per caso (https://www.forbes.com/sites/davidshaywitz/2017/07/26/the-startling-history-behind-mercks-new-cancer-blockbuster/#4428044948d8).
I grandi entusiasmi seguiti all'approvazione di pembrolizumab e nivolumab hanno fatto pensare che con i farmaci immunooncologici si potesse curare qualsiasi tumore. Invece nonostante i notevolissimi risultati con melanoma e tumori del polmoni il quadro, logicamente, è risultato più complicato. E oggi pembrolizumab fallisce un trial sul tumore della vescica.

giovedì 2 luglio 2020

E SE PRIMA SI NAZIONALIZZASSE UNA BANCA?



Nazionalizzare una banca è molto più socialista che negare un brevetto o imporre un prezzo ribassato a un farmaco, che però sono temi fissi di gente per cui nazionalizzare una banca è una bestemmia. Pensateci un attimo.

Cominciamo col dire che la situazione americana è completamente diversa da quella europea, però su questo tema c'è convergenza tra l'ala "sinistra" dei democratici yankee e l'area dem europea.
"Free of charge" significa gratuito. Gratuito per chi? Per i cittadini.
E fin qua tutto bene.
Ma il farmaco o il vaccino sono prodotti e, rebus sic stantibus, sono prodotti di industrie private, che il più delle volte hanno utilizzato (e rischiato) risorse private per svilupparlo (alcuni vaccini antiCOVID a questo giro sono eccezioni eccellenti).
A questo punto c'è da chiedersi: se il cittadino non paga chi paga e quanto paga?
Per chiarire sono uno strenuo sostenitore della sanità pubblica e universalistica, quindi a me che il cittadino non paghi va benissimo. Ma ho la netta sensazione che per molti la condizione necessaria a che il cittadino ottenga gratis il trattamento sia che lo stato lo paghi poco o niente. Mi ripeto, pare che il motto universale sia "Salviamo vite, ma solo a prezzi modici"
Farmaci e vaccini sono prodotti industriali. Per svilupparli e produrli servono mezzi di produzione: mente d'opera, mano d'opera, laboratori, impianti. In più si tratta di mente d'opera e mano d'opera altamente qualificate, e di impianti ugualmente qualificati (abilitati e ispezionati regolarmente dalle agenzie competenti). E tutto questo non si paga né a chiacchere né con aria fritta.
Si tratta di investimenti, quindi si parla di capitale.
Se il capitale è privato (il che di solito vuol dire messo da istituzioni finanziarie, oggi come oggi) ci si aspetta un profitto proporzionale al rischio (e il rischio è alto). Il brevetto serve a garantire, per quanto possibile, il profitto (poi le cose sono in realtà molto più complicate).
Adoperarsi per negare o minimizzare il profitto che conseguenze ha? Il disinvestimento, che guarda caso è quello che si è visto da 15 anni a questa parte.
Disinvestimento si traduce in dismissione di fabbriche e centri ricerche, cioè in perdità di posti di lavoro qualificati e di know how. Perché il know how che serve a sviluppare farmaci è un know al 99% industriale, che cammina sulle gambe delle donne e degli uomini che lavorano nel settore. A chiudere un centro ricerche ci vuol niente, a ricostruirne uno da zero per farlo funzionare a regime servono anni.
Il disinvestimento è stato compensato da iniziative pubbliche? No, a parte la solita notevole eccezione (gli USA che non hanno alcuna intenzione di lasciar morire la ricerca sugli antivirali), che però quantitativamente ha la rilevanza di uno sputo nel mare.
In generale il mancato accesso a farmaci o terapie quando si verifica è un fallimento del mercato, e i fallimenti del mercato non si risolvono con il mercato, si risolvono con lo stato (cfr Roosevelt, F.D.). 
Ma nello specifico da anni a questo problema viene proposta un'unica soluzione: il genericista asiatico, che non ha vincoli brevettuali, ambientali, sindacali, e di fatto neanche regolatorii, visto che il tasso di ispezioni in Asia di FDA e EMA resta molto basso, mentre in occidente continua ad essere il 100%. Curioso che questa soluzione venga appoggiata da gente che a parole è desinistra e con una grande coscienza ambientale, vero?

I fallimenti del mercato, dicevamo... davanti a loro mediamente uno stato, specie se europeo, da anni e anni si guarda bene dal muovere un dito. Se lo muovesse, c'è sempre un commissario alla concorrenza pronto a minacciare l'infrazione.
Se il capitale fosse pubblico (cioè statale) le cose sarebbero assai diverse. E in linea di principio niente potrebbe impedire, a seconda delle necessità, di produrre o sviluppare in perdita, che guarda caso è esattamente quello che sempre più spesso viene chiesto invece al privato (ma in linea di massima, in un sistema globale che prevede brevetti, il brevetto continuerebbe a garantire anche un'industria nazionalizzata).
Per qualche strano caso della vita chi contesta brevetti e vorrebbe imporre prezzi ribassati ai farmaci di solito non parla di nazionalizzare industrie farmaceutiche (che sarebbe una cosa socialista). E tra l'altro l'industria pubblica lavorerebbe al meglio con una banca ugualmente pubblica...

E allora? E allora "no brevetti, farmaci a prezzo nullo" è la toppa che si mette alle storture di un globalismo finanziario che ha predicato e ottenuto privatizzazioni da un lato, demolizione del welfare dall'altro. "No brevetti, farmaci a prezzo nullo" è lo slogan di quelli che Lenin avrebbe chiamato "gli utili idioti". Médecins Sans Frontières rientra da sempre nella categoria: uova gratis per tutti, abbasso le galline etc.
MSF è da tempo che sul tema si impegna in battaglie di  bandiera, perdendole tutte.
Sempre contro Gilead, provò a dar battaglia contro il brevetto europeo su sofosbuvir e contro l'accordo di licenza tra Gilead e i genericisti indiani (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2019/02/epatite-c-medecins-sans-frontieres-vs.html).
E' addirittura riuscita a tirar fuori una battaglia sul prezzo par garantire l'accesso al peggior antiTBC di sempre (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2019/02/tbc-msf-e-i-farmaci-mai-una-giusta.html).
Ma l'approccio ideologico salva vite, si sa, ci sono decine di meta-review che lo confermano... o no? 
Le buone cose di pessima riuscita degli amici di Nonno Speranza, che costituiscono le tavole della legge di una sedicente sinistra che non riesce a confrontarsi con 30 anni di atroci fallimenti sul fronte dei rapporti industriali e dell'economia.

PS: L'obsolescenza del "Manifesto del Partito Comunista"  è argomento di quello che, avendo fatto altro il giorno prima, provava a trovare una scusa furba e politica per schivare un 4 a filosofia. #Lemaleddettebasi bisognerebbe averle presenti (e capite) prima di pisciarci sopra nel nome dei tempi nuovi, specialmente se ci si dichiara di sinistra.

mercoledì 1 luglio 2020

REMDESIVIR - CHI FA SCORTE, CHI FA IDEOLOGIA



Mi sa che mi tocca precisare che non sono un fan di Trump. Ma, poco da fare, quanto a sviluppo di vaccini e terapie anti COVID alla fine l'amministrazione federale USA ha fatto più e meglio di qualsiasi altro governo E organizzazione sovranazionale, pubblica o privata che sia.
Questo perché indipendentemente dal POTUS in carica gli USA hanno da decenni una concezione strategica delle epidemie e degli agenti infettivi.
Mentre da questo lato dell'Atlantico le agenzie europee e nazionali, spiace dirlo, hanno gestito COVID con la burocrazia dell'ordinaria amministrazione, e in alcuni casi anche peggio (vedasi AIFA), negli USA le agenzie federali erano fin da gennaio attivamente coinvolte nell'individuazione di strumenti utili per contrastare la pandemia, con NIAID in testa.
Qua quando Fauci ha dichiarato remdesivir Standard Of Care per COVID, a metà aprile, abbiamo visto il direttore di AIFA esibirsi in quello che è probabilmente il peggior episodio di sempre della comunicazione col pubblico dell'agenzia (la storia del 3% , https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2020/05/il-direttore-aifa-remdesivir-il-3-e-la.html).

Il Guardian lamenta che Trump si è comprato la produzione Gilead di remdesivir dei prossimi tre mesi e affida la requisitoria a Andrew Hill, medico, research fellow all'Università di Liverpool (https://www.virology-education.com/andrew-hill-md/) nonché consulente della fondazione Gates. E infatti si dimostra imbevuto dell'ideologia di quell'area (accesso globale alle cure tramite farmaci a costi stracciati - e di qualità dubbia - negando i brevetti "scomodi"). E infatti cosa tira fuori? La licenza compulsoria che permetterebbe al governo britannico di acquistare da genericisti indiani o del Bangladesh, paesi che non hanno concesso il brevetto nazionale a Gilead.
Gilead ha un programma globale di licenze di produzione che ormai riguarda 127 nazioni (https://www.gilead.com/purpose/advancing-global-health/covid-19/voluntary-licensing-agreements-for-remdesivir e sono state trattate anche con aziende indiane, in realtà). Quindi la questione non è la disponibilità: in realtà, come sempre, la questione è il costo. Che già si è dimostrato ampiamente trattabile: 3.200 USD a trattamento negli USA per chi ha assicurazioni private (quindi è l'assicurazione che paga), 2.600 USD per unità per il mezzo milione di trattamenti comprati dall'amministrazione federale (a cui già era stato donato un milione e mezzo di dosi). L'egiziana Eva Pharmaceuticals, licenziataria, commercializza il trattamento a 186 USD.
Quanto a produzione chimico farmaceutica in UK c'è ancora qualcosa (e i resti di quella italiana sono molto più consistenti), quindi un problema di capacità produttiva in cGMP da loro non c'è (figuriamoci da noi).
In breve, volendosi garantire le scorte le opzioni c'erano e continuano ad esserci. Il resto, tanto per cambiare, è ideologia.
E poi UK è l'unico luogo in Europa dove ci si pone il problema. Sul continente nessuno è interessato a fare scorte di nessun genere, pare.

L'Huffington Post riprende il Guardian: ("Usa acquistano tutte le scorte di remdesivir, farmaco contro il Covid-19" https://www.huffingtonpost.it/entry/usa-acquistano-tutte-le-scorte-di-remdesivir-farmaco-contro-il-covid-19_it_5efc52bbc5b6ca97091719a5). Proprio loro, che il 30 aprile titolavano "Il remdesivir funziona contro il Covid? Fauci ottimista, ma Lancet boccia" (https://www.huffingtonpost.it/entry/il-remdesivir-funziona-contro-il-covid-fauci-ottimista-lancet-boccia_it_5eaacebfc5b6671e3e48f804).
In Europa sono tutti talmente ossessionati dal vantaggio geopolitico della nazione che per prima otterrà il vaccino da non preoccuparsi in nessun modo dell'egemonia sulla fornitura di remdesivir (egemonia evitabile, tra l'altro) se non quando si ritrovano all'improvviso davanti al fatto compiuto.
A volte tra intelligenza geopolitica e demenza strategica c'è un soffio.


CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...