lunedì 8 giugno 2020

LA SINDROME INFLUENZALE (EUROPEA?)




Prendiamo uno dei vari studi più ottimistici riguardo la vaccinazione antiinfluenzale: il vaccino ha un'efficacia dal 31% al 65% nel prevenire la mortalità da polmonite e influenza (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK66348/). Non è gran che, ma è sufficiente a proporlo in chiave di protezione individuale (e poi con l'antiinfluenzale chi ha esperienza è perfettamente in grado di giudicare per conto suo).
Ma la domanda spontanea è: e con quella mortalità rimanente dal 69% al 35% che si fa?
Da noi la risposta è facile: niente, ovvero all'incirca quello che è stato fatto con i casi gravi di COVID tra marzo e aprile (Kaletra, Plaquenil, etc).
Tutti gli sforzi efficaci che sono stati fatti su farmaci per trattare COVID sono stati fatti perché non esistevano soluzioni di nessun genere, all'inizio della pandemia.
Se SARS-CoV-2 si rivelasse stagionale e venisse approvato nei prossimi anni un vaccino con efficacia relativamente ridotta, quale è il rischio che COVID finisca per essere trattato come l'influenza grave? Secondo me è alto.

Nozione comune è che gli antivirali antiinfluenzali funzionino poco e solo se somministrati ai primi sintomi dell'infezione.
Il più famoso è Tamiflu (oseltamivir), compresse, quello meno noto Relenza (zanamivir), con una modalità di assunzione abbastanza assurda (aspirazione della polvere con un device apposito). Di quest'ultimo ho fatto esperienza diretta, appena fu approvato, e nonostante tutto mi parve funzionare. Comunque il quadro generale non era gran che. Era, perché strada facendo, anche se in molti non lo sanno, le cose sono cambiate.
Il 2009 fu l'anno della stradiscussa pandemia di influenza suina (H1N1pdm). L'amministrazione federale USA era allarmata dai dati della letalità in Messico e fece quello che ha fatto con COVID: si spese sia per il vaccino che per lo sviluppo di un antivirale e venne fuori peramivir IV (endovena, https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/lo-stato-e-lo-sviluppo-farmaceutico-un.html), nome commerciale Rapivab negli USA, da un paio di anni approvato da EMA come Alpivab, con un consistente ritardo. E potrebbe fare qualcosa quanto a quell'eccesso di mortalità da influenza lasciato dal vaccino? La risposta è sì (la definizione di antiinfluenzale salvavita se l'è guadagnata sul campo). Ormai un po' di studi su peramivir in giro ci sono e sono globalmente positivi, ma ne voglio citare uno piccolo che riguarda solo quei "pazienti anziani con comorbidità" che sono stati così centrali nella vicenda COVID: la febbre spariva in poco più di un giorno dall'iniezione (in accordo con i risultati dei trial di approvazione, https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1684118217300750).
Non so come vanno le cose oltreoceano, ma qua in Europa l'unico strumento preso in considerazione contro l'influenza è il vaccino, e di quello ci si deve accontentare (nonostante peramivir). Non vorrei che nell'eventualità di COVID stagionale e vaccino approvato venisse applicata la stessa politica, secondo il consolidato principio "salviamo vite, ma solo a prezzi modici".

PS: Vedo che imperterriti sui grandi media tizio e caio si spendono ancora sulla vaccinazione antiinfluenzale in chiave di diagnosi differenziale per COVID, che a chiacchere suonerebbe pure bene, ma guardando i dati è una pura idiozia, ed è bene ribadirlo : https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2020/04/e-perche-non-lantiebola.html


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