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sabato 4 febbraio 2023

DAI TEMPI DEI TEMPI...

 


La ricerca su antitumorali in Italia non ha prodotto NIENTE o quasi dai tempi delle tetracline e ultimi analoghi, e lo dico come uno che c'è stato dentro per qualche anno. Tutto ciò che è venuto fuori negli ultimi dieci anni era fondamentalmente Made in USA, con rare eccezioni non italiane (per esempio eribulina). E questo senza voler mettere in discussione l'importanza storica di chi tirò fuori la doxorubicina. Ma parliamo di più di 50 anni fa.

Siccome c'ero, qualche anno fa, ne ho viste di tutte. Blasonate istituzioni (blasonate solo in Italia, ovvio) che tiravano fuori candidati farmaci ridicoli, ultradecani all'ultimo stadio di senilità (lato medico) che parlavano di "nuovi farmaci molecolari" per classi di composti che al tempo della dichiarazione erano già cresciute fino ad avere centinaia e centinaia di analoghi - e per me il "nuovo" era roba vecchia di dieci anni o più.

In Italia il World Cancer Day dovrebbe essere un giorno di lutto. Perché?

Perché gente muore senza avere accesso ai più avanzati strumenti terapeutici (costano   https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2020/11/la-radice-marcia-della-sanita-la.html  ). Perché troppo spesso neanche si sa che tali strumenti esistano. Perché ci sono "società scientifiche" che diffondono protocolli preistorici come chi le dirige. Perché quando un disgraziato paziente attraversa l'Atlantico per curarsi o chiede online fondi per curarsi oltreoceano la reazione comune è "Così va il mondo, farmaceutiche cattive che chiedono prezzi assurdi". Perché quando qualcosa di nuovo viene approvato la lista di quelli che si affrettano a dichiarare "non funziona" è sempre ben nutrita.

Allora prendete atto del più semplice dei fatti: le vostre donazioni negli ultimi anni hanno dato da campare a qualche borsista ma non hanno prodotto assolutamente niente. NIENTE.

Scadendo nell'aneddotica personale ho seguito da non troppo lontano la vicenda di un paziente con mieloma multiplo che negli anni ha subito di tutto ma non ha mai visto, neanche da lontano, un'inibitore di proteasoma. Perché i luminari che lo trattavano non sapevano che esistessero farmaci approvati o perché costava troppo, non importa. Il prodotto finale del processo è sempre lo stesso: un decesso.

Quindi fate quel che vi pare, ma non raccontate stronzate in giro sull'eccellenza di tizio o caio. A meno che per eccellenza non si intenda... avete presente "beati monoculi in terra caecorum"?

martedì 7 giugno 2022

ONCOLOGIA: IL RITORNO DELLE CAMPTOTECINE

 



Eh, mi ricordo bene l'entusiasmo sulle camptotecine di fine anni 90. La camptotecina, estratta dall'albero Camptotheca acuminata, fu indagata come antitumorale dal Dr. John Hartwell con il suo gruppo al Cancer Chemotherapy National Service Center nei primi anni 60. Negli anni novanta, sull'onda dell'entusiasmo per i tassani, si lavorò a modifiche al composto naturale (per renderlo più stabile in vivo), e tutto questo portò all'approvazione FDA di irinotecan nel 1997. E non fu un game changer (il principale problema delle camptotecine è la tossicità). Non lo è stato neppure topotecan, approvato da FDA nel 2007 (dosaggio per os).
Ma nel 2018 FDA produce una prima approvazione per trastuzumab-deruxtecan (
https://en.wikipedia.org/wiki/Trastuzumab_deruxtecan), come spesso accade indicandolo per pazienti che dopo diverse terapie presentano ricadute. Questo farmaco è un coniugato farmaco-anticorpo (ADC, Antibody-Drug-Conjugate https://www.facebook.com/.../a.197162982.../1996846423867568).
Di ACD abbiamo già parlato qualche volta: si tratta di un metodo per rendere più selettivi composti che da soli esibirebbero un'eccessiva tossicità.
Le novità di oggi riguardano il trial DESTINY-Breast04:
"I sottogruppi di cancro sono tipicamente definiti dai differenti recettori presenti sui tumori. HR-positivo/HER2-negativo, HR-negativo/HER2-positivo, HR-negativo/HER2-negativo o HR-positivo/HER2-positivo. Ma la Big Phatma (AZ, NdCS) e il suo partner (Daiichi Sankyo, NdCS)stanno tentando di allontanarsi da questo paradigma, testando Enhertu (trastuzumab-deruxtecan, NdCS) in un nuovo sottogruppo: basso HER2, tradizionalmente inquadrati come HER-negativo e che quindi non sarebbe stato potuto trattare con questo farmaco (approvato per HER-positivo, NdCS).
In più di 500 pazienti i tumori trattati con Enhertu non sono cresciuti per 10 mesi, rispetto ai poco più di 5 mesi dei tumori trattati con chemio standard. La sopravvivenza complessiva nel gruppo Enhertu è stata circa due anni, significatimente più alta dei circa 16 mesi del gruppo trattato con chemio standard." (https://endpts.com/asco22-enhertu-blows-chemotherapy-out.../)
Un passo dopo l'altro si va avanti.

domenica 6 giugno 2021

ASTRAZENECA: LA RINASCITA COME POWERHOUSE ONCOLOGICA

C'era una volta ICI, che stava per Imperial Chemical Industries. Uno di quegli immensi conglomerati chimici che andavano dalle commodities alla chimica farmaceutica. Molta chimica, nel senso di know how, fu prodotta sotto quella sigla. Certo, finalizzata alle produzioni industriali, ma comunque di grande livello. Poi arrivarono gli anni 90 e si procedette al più classico degli spezzatini. La farmaceutica e chimica farmaceutica e l'agrochimica con i vari annessi finirono nella nuova scatola Zeneca, che alla fine dei novanta si fuse con gli svedesi di Astra, e da allora Astrazeneca fu. Chimici AZ che erano dentro fin dai tempi di ICI scrissero "Process Development: Fine Chemicals from Grams to Kilograms", uno dei migliori libri degli Oxford Chemistry Primers, uno dei pochi validissimi testi di introduzione allo sviluppo chimico in contesto farmaceutico. Quando gente del loro Large Scale Laboratory di Macclesfield pubblicava un articolo su Organic Process Research And Development era un piacere leggerlo e un piacere lavorarci sopra. AZ negli ultimi vent'anni è stata soggetta a una serie di violenti alti e bassi. 

Nel 2016 scadeva il brevetto più rilevante tra quelli che coprivano la loro statina, la rosuvastatina. E non c'era niente che potesse supplire alla perdita di cash flow, ma AZ riuscì comunque a resistere a una scalata da parte di Pfizer (che aveva ingenti quantità di cash fuori dagli USA, e cercava modi per non rimpatriarli - avrebbero pagato un capitale in tasse - quindi perché non comprarsi un concorrente inglese, anzi, anglosvedese). Nel 2017 il loro CEO Pascal Soriot, che avete imparato a conoscere di recente per le sue dichiarazioni sul vaccino AZ,  diceva che il futuro dell'azienda era legato ai risultati di un nuovo trial sul loro anticorpo anti PD-L1, e comunque la vedeva male (http://www.biospace.com/News/astrazeneca-plc-ceo-warns-of-more-setbacks-admits/459586). Il trial MYSTIC sul durvalumab si concludeva in un fallimento. Fortunatamente verso fine anno arrivavano i risultati di PACIFIC, ed erano positivi. Ma mentre le vicende di durvalumab andavano per le lunghe, le vere basi dell'inversione di tendenza arrivarono con l'approvazione per tumori del seno BRCA+ di olaparib da parte di FDA. E si trattava alla fine di un colpo di fortuna all'interno della surreale vicenda degli inibitori PARP.

Inibitori PARP: nel 2013 Sanofi comunicò che iniparib non funzionava e ne fermò lo sviluppo (in realtà era pure venuto fuori che iniparib NON inibiva PARP - una gran bella figura, per Sanofi). Astrazeneca concludeva nel 2014 il primo round di sviluppo clinico di olaparib, che aveva rilevato da Kudos, e incassava una vittoria di Pirro: FDA approvò olaparib come monoterapia in pazienti con carcinoma ovarico avanzato con mutazione BRCA che avessero ricevuto in precedenza tre o più chemioterapie.

Questa combinazione di eventi fece sì che quasi tutti quelli che avevano inibitori PARP in casa cercarono di venderli (o svenderli) per limitare le perdite (un comportamento del tutto analogo a una serie di stop loss su operazioni di borsa). Merck diede via il suo a una piccola azienda di nome Tesaro. Pfizer cedette il suo a Clovis, e probabilmente altrove altri programmi furono scaricati o messi on hold a tempo indeterminato.
Poi la sorpresa. Tesaro annunciò che Niraparib stava andando bene in tutti i trial che aveva messo su e arriva la prima autorizzazione FDA (marzo 2017 http://www.notiziariochimicofarmaceutico.it/2017/04/10/niraparib-per-il-carcinoma-ovarico/ - nel 2018 arriva GSK che si compra Tesaro).

E quelli che avevano stracciato, sospeso, svenduto si ritrovarono tutti a recuperare gli asset di cui si erano frettolosamente liberati tre anni prima. In questo turbine di svendite e riacquisti Astrazeneca non solo si era tenuta olaparib, ma ne aveva continuato lo sviluppo clinico, e con successo. Sulla base dei nuovi dati di olaparib nel 2017 arriva Merck (rimasta senza inibitori PARP dopo aver ceduto Niraparib) che firma un'accordo di partnership che prevede un bell'esborso upfront (1,6 miliardi https://www.astrazeneca.com/media-centre/press-releases/2017/astrazeneca-and-merck-establish-strategic-oncology-collaboration-27072017.html#). Nel 2018 olaparib viene approvato da FDA per quello che fino ad allora era stato il meno trattabile dei tumori del seno, quello HER2- BRCA+, e Astrazeneca esce definitivamente dalla propria crisi. Oggi, al di là delle vicende inerenti il suo vaccino, il portafoglio oncologico di AZ vale più del 20% del suo fatturato (https://www.fiercepharma.com/special-report/top-20-pharma-companies-by-2020-revenue-astrazeneca), con il solo osimertib (inibitore covalente di EGFR, tumori NSCLC) che vende per 4,33 miliardi, olaparib che ne fa 1,78 e durvalumab che ne fa due.

L'ultimo capitolo in ordine di tempo per olaparib è questo:

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2105215

Un anno di terapia adiuvante con olaparib, dopo remissione in seguito a Standard Of Care, estende la sopravvivenza senza reinsorgenza della patologia nelle pazienti trattate per tumore del seno HER2- BRCA1/2+. E ricordiamo che si tratta di quel tipo di tumore fino a qualche anno fa intrattabile, per cui Angelina Jolie, memore della sorte della madre, della nonna e della zia, si era sottoposta ad un'estensiva chirurgia preventiva (mastectomia, ovariectomia).


mercoledì 2 giugno 2021

QUASI INCREDIBILE

 

https://www.fiercepharma.com/pharma/amgen-s-lumakras-becomes-first-fda-approved-kras-inhibitor-for-lung-cancer-patients

KRAS è stata per anni e anni considerata un undruggable target (hardly druggable, in realtà). E per un motivo molto semplice: la proteina è soggetta a cambi conformazionali e non, e con una frequenza del tutto insolita. In breve per tipo vent'anni ha sgusciato come un'anguilla dalle mani di chi voleva "prenderla" (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../oncologia-fine...).

Ma meno di due anni fa si concludeva la caccia a questa Primula Rossa dei target oncologici, i primi inibitori KRAS (per una specifica mutazione della proteina, G12C) iniziavano i trial clinici, e i  risultati erano incoraggianti (https://cen.acs.org/.../Notorious-KRAS-Taking-down.../97/i37). 
Oggi FDA approva Lumakras (sotorasib) per tumori dei polmoni non-small cell (NSCLC) KRAS G12C positivi.
Nei NSCLC i casi con mutazioni KRAS sono circa il 30%, e di questa quota circa la metà possiede la mutazione KRAS G12C (https://clincancerres.aacrjournals.org/content/27/8/2209), quindi non parliamo di una mutazione frequente, ma neanche di una rara.
Ora la porta degli inibitori di KRAS è definitivamente aperta e la strada indicata, va solo percorsa per aggiungere ulteriori strumenti ai disponibili inibitori EGFR, VEGFR, ALK già in uso per questi tumori.
 

Sotorasib, sviluppato da Amgen, non è esattamente il classico inibitore covalente di chinasi (https://en.wikipedia.org/wiki/Sotorasib). Esibisce atropisomeria, parola più ostica del fenomeno che vuole descrivere. Enantiomeri e diastereoisomeri sono molecole che non si distinguono per l'ordine di concatenazione dei loro atomi. L'esempio più classico usato da sempre per spiegare gli enantiomeri sono le nostre mani: sono uguali, ma non sovrapponibili. Appoggiatele nella stessa posizione su un tavolo e noterete che sono simmetriche rispetto ad un piano. Stessa cosa per una coppia di enantiomeri (una molecola è l'immagine speculare dell'altra). Abbiamo coppie di enantiomeri ogni volta che una molecola ha un carbonio asimmetrico, ovvero a cui sono legati quattro gruppi diversi. La presenza di più carboni asimmetrici crea coppie di diastereoisomeri (due carboni asimmetrici producono due coppie di diastereoisomeri).
Nell'atropisomeria invece la "non sovrapponibilità" non è collegata all'orientamento nello spazio di legami chimici, ma all'impossibilità di un gruppo di ruotare liberamente attorno a un legame, per cui avremo una molecola in cui il gruppo può ruotare tra 0 e 180° e un'altra in cui può ruotare tra 180 e 360°.
Ecco, nel caso di sotorasib uno dei due atropisomeri è più attivo dell'altro...

 

 

domenica 25 aprile 2021

IL RAZIONALE

 

Vero che se sapessimo tutto di come funziona la storia non ci sarebbe un successo medio del 10% nello sviluppo di nuovi farmaci. Però...

Da gennaio esistevano pubblicazioni che riportavano l'attività in vitro di vari farmaci, sperimentali e non, sulla replicazione di SARS-CoV-2. E si sapeva che lopinavir in vitro aveva un EC50 che diceva che era inutile provare ad usarlo (nell'ordine di 10-15 μM, https://www.nature.com/articles/s41467-019-13940-6). Una nota: ad effettuare oggi una ricerca bibliografica si trovano molte pubblicazioni in cui l'EC50 è riportato in μg/ml, cosa che davvero fa cadere le braccia (con le piccole molecole come lopinavir la concentrazione espressa come peso/volume non dà alcuna informazione).
Ma non solo: dal 20 marzo sapevamo che anche in clinica non c'era niente da fare (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../covid-19-gli...). Curioso, eh? Che un composto che presenti in vitro un'attività scarsa non funzioni in clinica, dico.
Eppure...
Eppure in aprile 2020 lopinavir era il farmaco più usato negli ospedalizzati per COVID, in Italia. il DG di AIFA lo voleva pure prescrivibile dai medici di base. Del resto continuava a figurare come prima scelta nei protocolli terapeutici pubblicati da SIMIT (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../sindrome...), e la Società Italiana di Farmacologia appoggiava (https://sif-website.s3.amazonaws.com/.../Scheda...). Altri ed altre società scientifiche tacevano, in compunto silenzio, mentre il death toll cresceva inesorabile.
Però quando sia dalla clinica che da un complesso di buoni dati preclinici usciva qualcosa, qualcosa di casualmente ancora sotto brevetto, si nicchiava, e un 30% diventava prima 3% e poi niente. C'era chi aveva un peso specifico per sperimentare e proporre qualcosa (Ascierto, tocilizumab). Poi si cominciava con i trial e mi ricordo qualcuno già allora nel CTS che con un mezzo sorriso diceva: "Credevamo, e invece non funziona". Invece riguardo COVID, patologia complessa e estremamente variabile da individuo a individuo, i trial si doveva imparare a farli... Oggi l'accoppiata tocilizumab-sarilumab è nelle linee guida inglesi (https://www.gov.uk/.../government-launches-covid-19...), ma si sa, UK conta solo quando si possono citare il loro lockdown e le loro coperture vaccinali.
La farmacologia irrazionale in realtà almeno un criterio lo ha, ed è quello di sempre (il costo del farmaco).

domenica 26 luglio 2020

INNOVAZIONE?




La leucemia mieloide acuta è una patologia per cui fino a poco tempo fa le opzioni terapeutiche erano modeste. Le cose sono un poco migliorate da tre anni a questa parte, principalmente grazie ad antitumorali targeted
(https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6142552/): inibitori di FLT3, inibitori IDH, ADC...
In questo quadro spunta CPX-351, premiato in Italia come farmaco innovativo dell'anno. Di che si tratta? Della riformulazione con liposomi di due vecchissimi chemioterapici.
Qualcuno in Italia oggi ha programmi su inibitori FLT3 o IDH o BCL2?
No.
Eppure nel primo decennio di questo secolo c'erano programmi su inibitori HDAC, su vari inibitori di chinasi, etc etc. In oncologia la ricerca industriale italiana non era precisamente la retroguardia arretrata.
Oggi ci dobbiamo accontentare del remix aggiornato di due principi attivi che hanno ormai più di mezzo secolo, e che è andato decentemente nelle cliniche, quello che nella review viene definito "un agente citotossico tradizionale".
L'agente citotossico tradizionale che viene premiato come innovazione, da noi. E magari lodato da quanti lamentano il costo eccessivo e la scarsa efficacia dei nuovi antitumorali...

Questo ve lo posso dire senza timore di essere smentito: la crisi del 2008 e i successivi brutali tagli di spesa sanitaria colpirono ovviamente il settore farmaceutico italiano (dato che la spesa farmaceutica pubblica è predeterminata come una frazione del budget sanitario).
E colpirono principalmente le realtà con maggiori capacità innovative, perché erano quelle con le maggiori immobilizzazioni in asset immateriali (farmaci in via di sviluppo), la cui monetizzazione non è facile ma sopratutto non è affatto veloce.
So di per certo che almeno un'azienda, nel periodo peggiore della sua crisi, smise di pagare il canone annuale per i brevetti, bruciando in questo modo tutti gli investimenti che erano stati fatti in quei progetti.
Tra le conseguenze di tutto ciò c'è stato il brutale restringimento dell'ecosistema della ricerca farmaceutica industriale, da noi. Intere pipeline sparite, altre falcidiate. E la dispersione delle capacità necessarie a ricostruirle, dovuta anche, ma non solo, all'evaporazione dei flussi di cassa necessari per mantenerle attive.

Oggi premiando un agente citotossico tradizionale come innovazione si prova ad affermare l'esistenza in vita di un'eccellenza che in realtà non è stata semplicemente lasciata morire: è stata uccisa con nonchalance, danno collaterale della santa guerra alla spesa pubblica. Inutile dire che alla fine del processo sono state perse occupazione qualificata, quote di export e gettito fiscale. Ma nelle guerre sante queste sono perdite accettabili.

giovedì 16 luglio 2020

COMPOSTI NATURALI E CONIUGATI FARMACO-ANTICORPO

Storia della chimica farmaceutica e indagine sui composti naturali hanno fatto assieme molta, molta strada. Dai procarioti a piante e animali, molti esseri viventi in miliardi di anni hanno elaborato un arsenale di composti chimici, i cosiddetti metaboliti secondari, per usarli nella lotta per la sopravvivenza. L'uso medicinale di molte piante è attestato fin nelle civiltà più antiche. Poi, in età moderna, i primi antibiotici li abbiamo presi da muffe e batteri, la prima grande rivoluzione in campo oncologico fu costituita dai tassani (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/taxus-brevifolia-antitumorali-la.html), l'ultima generazione di antimalarici la dobbiamo a un terpene dell'artemisia annua  etc etc: l'elenco è lunghissimo.
Oggi abbiamo una serie di strumenti analitici inimmaginabili nell'age d'or della chimica dei composti naturali (anni 50-60): con la microscopia elettronica abbinata a diffrazione di elettroni, per esempio, possiamo determinare la struttura di una molecola anche complessa in modo univoco e veloce (le molecole grandi possono essere addirittura "viste"). Ma ai tempi di Woodward (https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2136542836564592&id=1971621999723344), quando il massimo che si poteva avere erano uno spettro infrarosso, uno ultravioletto e una diffrazione RX, la chimica dei composti naturali conosceva pochi concorrenti nelle discipline scientifiche quanto ad intensità intellettuale . Le ipotesi sulla struttura di un composto naturale erano confermate ricostruendolo per sintesi totale, ed i passaggi sintetici dovevano dare risultati univoci costruendo la struttura molecolare in modo esatto non solo come ordine di concatenazione degli atomi ma anche come loro disposizione nello spazio. Se il risultato della sintesi si dimostrava uguale al composto naturale, estratto e purificato dalla pianta, dal batterio o che altro, la struttura era confermata. Per questo Woodward e Corey furono guardati come giganti (Woodward di più).
Tra i composti naturali oggetto di particolare studio e interesse ci furono, specialmente negli anni 80, gli enediini, antibiotici antitumorali caratterizzati da una struttura con triplo legame, doppio legame, triplo legame coniugati.
Isolati da vari ceppi batterici (da cui l'inserimento tra gli antibiotici), il loro gruppo funzionale caratteristico, perlopiù arrangiato in un anello tensionato (e quindi instabile) costituisce la lama di coltello con cui tagliano a pezzi il DNA con cui vengono a contatto. E' la loro "warhead", analoga a una testata con esplosivo e spoletta: si coordina al minor groove di una spirale di DNA, la spoletta viene così attivata e boom...
Il più noto di questi composti è la calicheamicina  γ1, l, la cui storia cominciò agli inizi degli anni 80, quando un biologo in gita in Texas raccolse alcune rocce gessose vicino ad un'autostrada. Queste rocce avevano in superficie un batterio,  Micromonospora echinospora, che fu coltivato in laboratorio. All'epoca ancora si cercavano attivamente nuovi batteri da cui ottenere nuovi antibiotici, e così fu fatto: si scoprì che Micromonospora echinospora produceva una miscela di composti incredibilmente potente contro varie cellule tumorali, in vitro. Il più potente fu isolato e caratterizzato: era la calicheamicina  γ1. Una sua sintesi totale venne pubblicata dal gruppo di K. Nicolau nei primi 90 (https://pubs.acs.org/doi/pdf/10.1021/ja00051a063).
calicheamicina  γ1 - il cerchio rosso evidenzia la warhead
Il problema di questa classe di composti, come di alcune altre, è costituito dall'eccessiva tossicità da una parte, e dalla bassa specificità dall'altra. In breve si tratta di citotossici estremamente potenti con cui non si trovava la quadra per quanto riguardava il loro sviluppo in farmaci.
Ma sul finire degli anni 80 eravamo anche all'alba della ricerca sugli antitumorali targeted: venivano isolati EGFR e VEGFR, per parlare dei due target divenuti poi più popolari. Ed era anche l'alba del biotech: si iniziavano a studiare e costruire anticorpi monoclonali mirati contro un primo set di interessanti bersagli extracellulari: EGFR e VEGFR, appunto, ma anche TNFalfa e non solo.Vennero per esempio individuati target specifici della leucemia mieloide acuta, CD22 e CD33. E una collaborazione tra Wyeth e Celltech si focalizzò sull'idea di coniugati farmaco-anticorpo: ho composti molto potenti ma molto tossici perché poco selettivi, e anticorpi che vanno ad "attaccarsi" a proteine caratteristiche perlopiù di certe cellule tumorali: "leghiamoli" assieme in modo che
l'anticorpo "consegni" il famaco alle cellule giuste. Il "piccolo" problema è che il ponticello che collega l'anticorpo al farmaco deve essere generalmente stabile, ma in grado di rompersi solo una volta che l'anticorpo si sia attaccato alla cellula tumorale. Facile a dirsi, a farsi molto meno, specialmente se ti devi inventare tutto da zero e nessuno ha mai fatto niente del genere prima di te.
Gemtuzumab Ozogamicina
Il primo candidato farmaco, Gemtuzumab Ozogamicina coniugava un anticorpo anti CD22 con un parente stretto della calicheamicina. E non ebbe vita facile. Approvato nel 2000 da FDA con procedura abbreviata e sulla base di endpoint surrogati per pazienti sopra i 60 anni con AML refrattaria ad altre terapie. Pure con questo uso piuttosto limitato negli anni si accumulano evidenze di effetti tossici anche fatali (e nel frattempo Celltech viene comprata da UCB, Wyeth da Pfizer, evento apocalittico). Su richiesta FDA, nel 2010 Pfizer ritira dal mercato il farmaco, per poi averlo riapprovato nel 2018 con indicazioni più stringenti, sulla base di nuovi trial.

Gli Antibody Drug Conjugates (ADC) non furono la "next big thing" in campo oncologico negli anni 90, che furono perlopiù gli anni dei tassani, degli stabilizzatori/destabilizzatori di microtubulo e dei veleni delle topoisomerasi I e II. E non furono neanche la next big thing degli anni 2000, decennio di anticorpi monoclonali e inibitori di chinasi (di TK, per la precisione https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/12/i-passi-avanti-della-farmacologia.html). Ma questa classe non venne abbandonata, e altri farmaci furono approvati, negli anni: ma l'avanzamento del know how sui MAB (Monoclonal AntiBodies) non ha impattato in modo evidentissimo sugli ADC. Il problema cardine resta la progettazione del ponticello (bridge), come dice chi ci lavora, e per quanto le cose siano molto migliorate siamo ancora lontani dal bridge perfetto.

C'è un capitolo molto particolare, nella chimica dei composti naturali, che è quello dei composti di origine marina. Molti di questi composti sono stati indagati, prevalentemente in oncologia, tanto per cambiare. In Giappone questo campo viene indagato più che altrove - lunga storia quella Giappone con le tossine marine, basti pensare al pesce palla e alla tetrodotossina. A Eisai nel nuovo millennio è stato svolto un lavoro monumentale sull'halicondrina B, estratta dalla spugna Halichondria okadai. Il risultato è stato l'eribulina (https://en.wikipedia.org/wiki/Eribulin).
Invece in occidente il discodermolide, un polichetide ottenuto dalla spugna abissale Discodermia dissoluta, segnò di fatto la fine dei grandi sforzi nel campo dei composti naturali. Era uno stabilizzatore di microtubulo estremamente potente, e si pose lo stesso problema che si era presentato con il tassolo più di una decina di anni prima: non si poteva estrarre dalla fonte naturale, troppo scarsa, non venne trovato alcun modo per ottenerlo per via fermentativa, e con un colossale sforzo a Novartis il materiale per i trial clinici venne prodotto per sintesi totale (qualcuno che era passato di là, all'epoca, mi raccontò di colonne cromatografiche stile Cannoni di Navarone). E i trial fallirono (tossicità eccessiva).

Shishijimicina A

Questi due temi mi sono tornati in mente grazie a un recente articolo su JACS (https://pubs.acs.org/doi/10.1021/jacs.0c06554):"Synthesis and Biological Evaluation of Shishijimicin A‑Type Linker-Drugs and Antibody–Drug Conjugates". Perché?
Chiaramente c'è la faccenda ADC. La Shishijimicina A è un antibiotico enediinico, ma è anche un composto di origine marina, estratto da Didemnum proliferum, un tunicato. E fa piacere vedere segni di vita in questa area disciplinare.
Colonia di Didemnum


sabato 4 luglio 2020

UN INSUCCESSO IN ONCOLOGIA




Pembrolizumab (Keytruda) ha costituito circa il 50% della cosiddetta "rivoluzione immunooncologica", e la sua è una storia interamente industriale. Non solo, è uno dei rarissimi farmaci degli ultimi 30 anni la cui invenzione sia ricollegabile ad un singolo individuo: Greg Carven.
Carven è un chimico che fin dalla sua tesi di laurea si era occupato di biochimica e immunologia.
Quando viene assunto a Organon, la defunta filiale americana di Akzo Nobel, lavora a un progetto in linea con la sua esperienza di ricerca: cerca anticorpi agonisti di PD1, che si pensa possano essere utili nel trattamento di patologie autoimmuni. La cosa andò male: il progetto non fornì agonisti con una buona attività.
Ma invece vennero ottenuti antagonisti (inibitori) molto potenti, per cui si immaginò subito un possibile impiego in oncologia.
Carven e associati stavano iniziando ad umanizzare l'anticorpo nel 2007 quando bang! Schoering Plugh si compra Organon. Il progetto riesce a sopravvivere nel nuovo contesto aziendale ma due anni dopo, di nuovo, bang!
Merck si compra Schoering Plugh.
E' il periodo del funesto regno di Peter Kim, alle ricerche Merck, e pembrolizumab viene esaminato, pesato e retrocesso: lavori fermi, farmaco nella lista degli asset da vendere, se qualcuno lo vuole. E Kim (o meglio, i suoi uomini) stavano per darlo via quasi per niente quando arrivò un contrordine. BMS stava ottenendo buoni risultati con il proprio anticorpo anti PD1 e la faccenda andava riconsiderata. E alla fine pembrolizumab ha reso Merck leader nel campo immunooncologico, così, un po' per fortuna, un po' per scienza, un po' per caso (https://www.forbes.com/sites/davidshaywitz/2017/07/26/the-startling-history-behind-mercks-new-cancer-blockbuster/#4428044948d8).
I grandi entusiasmi seguiti all'approvazione di pembrolizumab e nivolumab hanno fatto pensare che con i farmaci immunooncologici si potesse curare qualsiasi tumore. Invece nonostante i notevolissimi risultati con melanoma e tumori del polmoni il quadro, logicamente, è risultato più complicato. E oggi pembrolizumab fallisce un trial sul tumore della vescica.

martedì 17 marzo 2020

INNESCO - BIOLOGIA

Riguardo agli inneschi Starbuck su twitter mi fa notare:"Riflessione di passaggio; per le specie invasive il meccanismo è similare: serve una massa critica di esemplari che siano riusciti a sopravvivere ed in contemporanea le situazioni climatiche giuste. Per cui una specie può rimanere latente per decenni, poi...la primavera giusta, il numero di individui giusti e non te la schiodi mai più. Sono le famose dinamiche ;)"
Già. A proposito di quelle dinamiche mi sono venuti in mente tumori e modelli animali. 
Al che però partirei con una precisazione per molti sicuramente inutile, ma di questi tempi doverosa: non tutte le funzioni crescenti con derivata prima crescente sono esponenziali e non tutte le curve sigmoidi sono logistiche (basta pensare a arcotangente e tangente iperbolica e sì, anche le soluzioni di certi modelli epidemici compartimentali per i Recovered sono sigmoidi).
La crescita non perturbata di un tumore solido segue una sigmoide e una delle equazioni usate con più successo è l'equazione di Gomperz https://en.wikipedia.org/wiki/Gompertz_function… (in realtà le cose non sono così semplici e le cinetiche di crescita tumorale sono un campo piuttosto incasinato).

Per avere una crescita di questo tipo serve tipicamente un topo immunosoppresso (SCID o atimico nudo) e una linea cellulare umana (modelli xenograft).
Ma si usano anche modelli singenici, cioè dove si usano cellule tumorali ottenute da topi (magari topi dello stesso tipo, che è meglio). Il tumore solido singenico però presenta una crescita perturbata (deve essere stabilizzato, operazione abbastanza laboriosa), perché il sistema immunitario dell'ospite attacca le cellule tumorali estranee (per quanto appartenenti alla stessa specie e allo stesso tipo di topo, praticamente come viene rigettato un trapianto nell'uomo).
In ogni caso quello che ci interessa è che esistono concentrazioni di innesco del tumore che dipendono (guarda un po') dalla natura del medesimo. Per i tumori sottocutanei (SC) "Con un tumore murino altamente invasivo e metastatico praticamente in ogni caso 3 × 10^5 cellule tumorali sono sufficienti ad ottenere la crescita di un tumore SC, e spesso sono adeguati titoli bassi come 10^4.Tumori scarsamente metastatici richiedono più di 10^6 cellule tumorali per ottenere crescita del tumore SC nel 100% dei topi" (VVAA, Tumor Models in Cancer Research, 2011, Springer).
PS: le dinamiche, sempre quelle, sono le dinamiche delle popolazioni, ovviamente, quelle dove due più non fa quattro (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/…/quando-due-piu-due…)
PPS: niente chiacchere animaliste qua sotto, per favore. Oggi un paziente sopravvive con diagnosi che 20 anni fa erano una condanna a morte. Senza questi metodi la cosa non sarebbe stata possibile.

lunedì 20 gennaio 2020

PHOTOSHOP METATASTICO



Non sono precisamente novità. Forse qualcuno si ricorda questa storia:

https://www.nature.com/news/biotech-giant-publishes-failures-to-confirm-high-profile-science-1.19269
 In breve, l'industria fa ricerca anche a partire da quel che viene pubblicato nel campo. Ma poiché nel giro la foglia è stata mangiata da tempo, quando si incappa in un articolo interessante e con interessanti risvolti applicativi la prima cosa che si fa è  controllare che quel che è descritto nell'articolo funzioni. Altrimenti si rischia di stanziare budget che non sono esattamente spiccioli (nel preclinico qualche milione va via) correndo dietro alle farfalle.
La cosa succede non solo con la biologia, ma anche con la chimica, e da anni: ho perso il conto delle sintesi mirabolanti e dei nuovi incredibili ed economici processi produttivi che sono finiti su articoli e brevetti. Con la roba inverosimile non ci ho mai perso tempo (sì, viene pubblicata anche roba inverosmile, e non su riviste predatorie o di bassissima fascia). Quella che ti fa perdere tempo davvero è la roba veromile.
Ad Amgen non avevano perso tempo (e denaro) andando dietro a cose inverosmili: le ricerche rivelatesi irriproducibili erano state pubblicate da autori ad alto H-Index su riviste ad alto impact factor.
Per questo spesso e sempre più spesso capita che l'industria faccia da sé. E non solo per quel che riguarda la crescente mole di informazioni strutturali su proteine e recettori e su SAR destinata rimanere know how privato (https://blogs.sciencemag.org/pipeline/archives/2018/10/05/knowing-the-structure), ma anche per quel che riguarda la biologia (ricordo che Keytruda è una cosa nata e cresciuta nell'industria da un progetto industriale dalla A alla Z, e costituisce all'incirca la metà della cosiddetta "rivoluzione immunooncologica").
E se la patologia metastatica e maligna delle immagini photoshoppate nei paper continuerà il suo corso letale, gli avanzamenti nelle terapie oncologiche e non solo saranno sempre più proprietà privata ab initio.


giovedì 21 novembre 2019

ANTITUMORALI: INIBIZIONE EGFR E VEGFR



Fattori di crescita: quelli per cui Montalcini e Cohen si divisero un nobel. Ma se il fattore di crescita neurale individuato da Montalcini non ha iniziato alcuna rivoluzione terapeutica, quello individuato da Cohen lo fece. Cohen individuò EGF, il fattore di crescita dell'epidermide. Si racconta che all'epoca un giornalista, con l'usuale cognizione di causa della sua categoria, gli chiese: "Professore, con la sua scoperta abbiamo sconfitto il cancro?".
"Diciamo che se sei un topo immunosoppresso a cui è stato impiantato un tumore umano, sì, abbiamo risolto i tuoi problemi", rispose Cohen.
EGF, il fattore di crescita, è il legante di un recettore, EGFR.
EGFR non è un recettore qualsiasi: quando "cattura" EGF rilascia all'interno del citoplasma una proteina, e si tratta di una chinasi (una tirosin-chinasi, TK).
Alcune chinasi erano state identificate a partire dagli anni 70: proteine che fosforilavano altre proteine. Ma è stato dopo il Nobel di Cohen che le cose hanno preso un'accelerazione notevole. Nel 1989 Napoleone Ferrara individua e clona VEGF, fattore di crescita dell'endotelio vascolare. Il corrispondente recettore, VEGFR, è un'altra TK. E negli anni 90 iniziò sul serio la mappatura dell'"albero delle chinasi",e in quel lavoro tra quelli più coinvolti e attivi ci furono diversi gruppi di ricerca di aziende farmaceutiche, per esempio quello di Sugen (comprata da Pfizer appena si ritrovò in difficoltà nello sviluppo del primo inibitore VEGFR, ma il programma alla fine produsse sunitinib).
Le TK sono regolatori del ciclo cellulare. E loro mutazioni sono sovraespresse in diversi tumori. Cohen, quando ancora di chinasi non si parlava, aveva gettato le fondamenta per lo sviluppo della più importante famiglia dei farmaci antitumorali "targeted".
Fino alla fine dello scorso millennio gli antitumorali si basavano su un principio: le cellule tumorali hanno un tasso di riproduzione molto più alto delle cellule normali, quindi se miriamo a cellule in una delle fasi della mitosi colpiremo *prevalentemente" cellule tumorali. Ma quei farmaci, dai più vecchi alchilanti fino agli stabilizzatori/destabilizzatori di microtubulo e ai veleni delle topoisomerasi (collettivamente definiti "citotossici") sono tossici per tutte le cellule del nostro corpo. Da cui gli effetti collaterali significativi.
Invece le cellule di diversi tumori esibiscono mutazioni di particolari chinasi del tutto proprie. E' il caso di EGFR, con i ben noti HER-1 e HER-2. E all'inizio del nostro secolo iniziarono ad essere approvati inibitori EGFR, VEGFR e BCR-ABL, poi arrivarono quelli di RAF e BRAF e via dicendo. Alcuni di questi farmaci sono diventati molto noti, siano anticorpi (Avastin, VEGFR) o piccole molecole (Glivec, BCR-ABL).
Quantitavamente è stata una rivoluzione molto più estesa di quella provocata dalla cosiddetta immunooncologia: in meno di un decennio sono state sintetizzati decine di migliaia di inibitori di chinasi. Solo una minima frazione di questi composti sono diventati farmaci, ma gli altri hanno contribuito all'avanzamento nelle conoscenze sulla regolazione del ciclo cellulare. Quelli approvati hanno radicalmente cambiato le prospettive di trattamento per determinati genotipi di tumore del seno, mieloma, leucemie, melanoma, tumori del tratto digerente, tumori del polmone.

venerdì 27 settembre 2019

ONCOLOGIA: FINE DELLA CACCIA ALLA PRIMULA ROSSA E LE CONSEGUENZE DI CRISPR

Da una trentina d'anni si pensa che KRAS sia un target oncologico importante, ma fino all'altro ieri gli sforzi per individuare inibitori KRAS erano stati vanificati. Perché KRAS sguscia come un'anguilla: la sua conformazione cambia durante il suo ciclo di attività e questo pareva rendere pressoché impossibile sintetizzare inibitori funzionanti.
Oggi invece i primi inibitori KRAS (per una specifica mutazione della proteina, G12C) hanno iniziato i trial clinici, e i primissimi risultati sembrerebbero incoraggianti (https://cen.acs.org/pharmaceuticals/oncology/Notorious-KRAS-Taking-down-cancer/97/i37).
Se tutto va bene potrebbero essere i primi passi di una nuova classe di inibitori di chinasi (farmaci targeted, quindi) che potrebbe offrire opzioni per patologie ad oggi poco o per niente trattabili.

Faccio notare che ormai tutte queste storie si svolgono lontane non solo dall'Italia, ma dall'Europa continentale - nello specifico caso con la notevole eccezione di Boheringer.
Ai tempi della massima attività sugli inibitori di istone deacetilasi c'erano almeno un paio di aziende italiane che avevano le mani in pasta (e i brevetti). Oggi niet, nada, nisba, nulla.

Tutti hanno guardato a CRISPR come all'ennesima parola magica che prometteva miracoli. Da un certo punto di vista si può dire che finora in campo applicativo si è andati dalla futilità di informazioni come testo o immagini codificate nel DNA di un batterio alla spinosa questione dei CRISPR babies cinesi. Ma essendo la tecnica quel che è, ovvero un metodo piuttosto preciso per editare geni, di solito non si tende a guardare alle implicazioni basiche di una tecnologia di natura fondalmente basica.
Ai tempi del gran fervore su siRNA  la tecnologia venne usata anche per validare bersagli in oncologia. Sarebbero i famosi oncogeni. Il termine non mi piace gran che. Un oncogene è "un gene che può provocare il cancro", stando alla definizione corrente. Personalmente preferisco parlare di target: proteine sovraespresse dalle cellule tumorali, la cui inibizione provoca la morte delle cellule del tumore (ma non di quelle sane).
I target vengono ipotizzati dalla ricerca biomedica, tramite l'indagine sulla caratterizzazione dei tumori e sui loro meccanismi di crescita. Solo che non basta, sulla base degli esperimenti e dei loro risultati dire "Questo è un target". Un target va validato: nella fattispecie occorre dimostrare che senza quella proteina il tumore smette di crescere e muore.
Una decina e passa di anni fa il miglior metodo disponibile, per velocità e accessibilità, erano i siRNA. Con piccoli RNA di sintesi si poteva "silenziare" il gene X o Y. Se con il gene X silenziato il tumore smette di crescere o muore, la proteina espressa da X è stata validata come target oncologico.
E fin qua tutto sembrava filare liscio come l'olio.
Poi è arrivato CRISPR. Al di là di tutte le promesse che portava con sé (e dell'hype) CRISPR resta un metodo piuttosto pulito per editare un genoma, e quindi anche per cancellare geni (che è ben più sicuro che silenziarli).
E a qualcuno è venuto in mente di usare CRISPR per controllare quanto a suo tempo era stato validato con siRNA. E i risultati sono piuttosto eclatanti: MELK, HDAC6, MAPK14/p38-alpha, PAK4, PBK, PIM1,caspasi-3 contrariamente a quel che si credeva NON sono target validi (
https://stm.sciencemag.org/content/11/509/eaaw8412). E se qualche inibitore di queste proteine sembra funzionare nel preclinico o addirittura nei trial clinici, funziona grazie ad effetti off-target non ancora noti.


CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...