lunedì 16 aprile 2018

DALLA PROSPETTIVA DEL LABORATORIO - 1 - IL CANCRO NON ESISTE

Uno si aspetterebbe che l'insieme di patologie che costituisce la principale causa di morte nel mondo occidentale sia oggetto di una corretta informazione, sui grandi media e da parte di accademici attivi online. Invece patologie oncologiche e media "don't mix". O meglio, lo fanno fin troppo e nella stragrande maggioranza dei casi in modo tragicamente deformato, approssimato, scorretto e alle volte un po' cialtrone. Pare che alla base si ritenga chi legge completamente incapace di capire, e si procede di conseguenza (e alle volte si ha l'impressione che quanti dovrebbero sapere come funzionano i farmaci oncologici in realtà abbiano idee abbastanza vaghe al riguardo).
"Sconfiggere il cancro", "La lotta contro il cancro", "La guerra al cancro" (espressione di reaganiana memoria, e programma che non diede assolutamente risultati paragonabili alle mete prefisse). Tutte espressioni senza senso. Il cancro non esiste, esiste una vasta varietà di tumori, diversi per caratteristiche e tessuto di origine. Non solo: i tumori non sono monoclonali. Ovvero esiste una certa varietà anche tra le cellule di uno specifico tumore. Il che come capirete (o forse saprete, anche se mi auguro di no, per esperienza più o meno diretta) rende tutto complicato ed è alla base di uno dei fenomeni che rendono complessa la terapia farmacologica dei tumori: la resistenza.
Il fenomeno è ben noto per gli antibiotici e pure per gli antivirali.
Ma un tumore in un individuo è capace di sviluppare resistenza ad un farmaco a velocità estremamente più alte di quanto non faccia un'infezione. E i meccanismi con cui si sviluppa la resistenza sono molteplici: il più famoso, storico, per per chi ha frequentato il settore della ricerca, è la sovraespressione di MDR1 o P-glicoproteina che dir si voglia.
E' una proteina di efflusso: la cellula assorbe il farmaco ma MDR1 lo espelle. Quindi se nella popolazione cellulare di un tumore con il farmaco X uccido il 90% delle cellule, perché il 10% sovraesprime MDR1, le cellule sopravvisute continueranno a riprodursi e a gran velocità (è la carattistica delle cellule tumorali) per dare una popolazione con le sue variazioni ma che in maggioranza sarà dotata di MDR1 sovraespressa.
Questo esempio con MDR1 è rappresentativo di più o meno tutti i meccanismi di resistenza. E' questa la ratio dietro i trattamenti combinati (le cellule non uccise dal farmaco X saranno uccise dai farmaci Y e Z, o almeno così si spera).
Come è che un farmaco discrimina tra cellule sane e cellule tumorali? Basandosi su proprietà che distinguono tre le due categorie. E qui vengono i problemi. Le prime generazioni di chemioterapici si basavano (e si basano tutt'ora, visto che sono largamente in uso) su un "distinguere a sufficienza", e distinguevano sulla base del fatto che le cellule tumorali passano buona parte del loro tempo in condizione di mitosi, mentre la maggior parte delle altre no. Quindi un farmaco che risulta tossico per le cellule in stato di mitosi ucciderà prevalentemente cellule tumorali (ma anche tutte le cellule normali che si stanno dividendo, vedi i linfociti B, che si dividono con una frequenza piuttosto alta - una delle cause dell'effetto immunodepressivo di questo tipo di farmaci).
La maggior parte dei farmaci oncologici sviluppati fino alla fine dello scorso millennio, i cosiddetti citotossici, si sono basati su questo meccanismo - che è alla base della cattiva reputazione della chemioterapia quanto a qualità della vita del paziente.Cisplatino, tassani, alcaloidi della Vinca, alchilanti, veleni delle topoisomerasi come Etoposide e Irinotecan e tanti altri fanno parte di questa categoria, compresi bene o male gli inibitori di proteasoma come bortezomib.
Capita che si parli di una rivoluzione costituita dai farmaci targeted che sarebbe in corso. In realtà c'è già stata, e non ieri o l'altro ieri, ma al volger del millennio, perché imatinib, meglio noto come Glivec, fu approvato da FDA nel 2001. To be continued...


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