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domenica 1 giugno 2025

"ELITARISMO" VS. DEMOCRATIZZAZIONE DEL SAPERE?


Egregio Signore, 

mi è parso che, parlando di cose doverose e costruttive, nel suo caso una risposta pubblica fosse dovuta. Sorvolerò sulla "supposta aristocrazia intellettuale" (qualche citazione e qualche riflessione farebbero aristocratizia? Non credo). Ma con l'accusa di elitarismo tocca un nervo scoperto, perché qua sopra c'è sempre stata una feroce avversione per l'elitarismo politico e, per quanto a parole, ci si è sempre spesi per la difesa della democrazia.

Considerato tutto questo mi scuserà se parlerò di elitarismo percepito.

Cerchiamo di stabilire alcune premesse: elitarismo politico è una cosa, elitarismo culturale percepito un'altra e non sono parenti. Perché sono convinto  che si sia giocato a lungo a confondere i due differenti piani. 

Se "alzare il livello per salvaguardare il messaggio" viene percepito come elitario è meglio dare di nuovo un'occhiata ai risultati dell' "abbassare il livello per far passare il messaggio". Al di là delle considerazioni generali citate nel post a cui si riferisce, quale è stato il prodotto medio della popolarizzazione della scienza? Fede nella scienza, "scienza non democratica", pulsioni epistocratiche, critica del suffragio universale. E non credo che il verbo "democratizzare" abbia niente a che fare con tutto questo.

Su tutto ciò la confusione è stata massima: come si è visto il passaggio da "la scienza non è democratica" a "Ottemperate e zitti!" è avvenuto senza sforzi, forse perché fin dall'inizio le due posizioni coincidevano. 

Ma non solo: l'approccio "abbassare il livello" ha finito per aumentare a dismisura la sostanziale diversità tra il modo delle discipline scientifiche e la scienza-segno (quella del post a cui lei si riferisce). La vulgata scientifica è diventata "verità scientifica" e come tale è filtrata nella politica e nel processo legislativo prima, nella giurisprudenza poi.

Ci sono precedenti altamente significativi, ma veniamo al più recente esempio. Le sentenze della Corte Costituzionale sul Green Pass erano basate sul fatto che, in tempi di Omicron, la vaccinazione preservasse non solo la salute del vaccinato ma anche quella degli altri. Cioè incorporava nella giurisprudenza, usandola come fondamento della sentenza, la vulgata "i vaccini frenano la trasmissione del virus". Al di là delle considerazioni già fatte al riguardo, andando a esaminare uno degli articoli più citati del tempo per avvalorare la tesi si trovano Odds Ratio, p-value ma niente C.I. : in breve, non si aveva idea di quale fosse l'errore sui valori riportati, cioè non si poteva sapere niente della significatività statistica dello studio (potrei aggiungere che la mancanza di C.I. rendeva la cosa molto sospetta). Eppure su numeri così fragili in Italia sono state sospese libertà costituzionali e tale sospensione è stata giudicata legittima dall'Alta Corte.

Se il passaggio non è abbastanza chiaro: l'abbassamento del livello (la popolarizzazione della scienza), che avrebbe dovuto democratizzare il sapere, ha creato invece le premesse per uno scientismo pop con tendenze antidemocratiche che ha infettato politica, processo legislativo e giurisprudenza. Non è un caso se in tempi recenti si è potuto leggere che alla base della vita politica dello stato costituzionale ci sono scienza, politica e opinione pubblica, esattamente in quest'ordine. E se in tutto questo non si rileva una profonda distorsione della natura di una democrazia inutile stare a discutere.

In questa chiave l'elitarismo percepito, opposto alla popolarizzazione della scienza, lavora per la difesa della democrazia. A meno che non si voglia una democrazia dove i diritti dell'individuo esistono solo se si crede alla "scienza", cioè alla vulgata del momento.

Riguardo le "indebite generalizzazioni" sulla divulgazione scientifica: ovvio che esistano eccezioni, ma le eccezioni non fanno la regola e negli ultimi anni alcune sono state fieramente avversate (penso a quel che è stato nel 2020 Pillole di Ottimismo e a Sabine Hossenfelder, per fare due esempi). La cifra media della attuale "comunicazione della scienza" ai miei occhi è inequivocabile. Sulla "pedagogia": ho ripetuto alla nausea che lo scopo dell'operazione CS era la critica, che la sua natura era politica, che non aveva niente a che fare con la divulgazione. Quindi mi spiace, ma un'impostazione pedagogica qua sopra non ci sarà mai.

Quanto alla democratizzazione del sapere, di preciso cosa si intende? 

A parte l'immenso problema dell'istruzione, l'accesso alla comprensione è un nonsenso: la comprensione è un processo eminentemente individuale. Quindi per me l'unica possibile democratizzazione del sapere è il democratizzare l'accesso alla conoscenza e di questi tempi la cosa è stata ampiamente realizzata tramite la rete. Con un click si traducono in qualsiasi lingua i contenuti scritti in qualsiasi altra lingua. Nel momento in cui l'accesso lo hai e trovi il contenuto difficile sta a te decidere che farci: scegliere per uno sforzo di comprensione o lasciar perdere. Se a qualcuno fosse venuto in mente di dire a Mario Praz "Scusi, ma nei suoi saggi dovrebbe esprimersi con un italiano più semplice" probabilmente l'autore lo avrebbe preso per folle. Nessuno avrebbe mai considerato di chiedere a Gibbs: "Scusi, può riscrivere in modo più semplice le sue equazioni dell'equilibrio chimico?". Dovremmo forse chiedere ad un interprete di Bach di rendere l'Arte della fuga più accessibile alla maggioranza del pubblico generale? Giusto per chiarire, ho fornito esempi rilevanti senza nessuna intenzione di accostarmi a loro.

Non credo si possa chiedere a nessuno di scendere al minimo comune multiplo culturale per "democratizzare la conoscenza". Credo che invece la ricchezza delle diversità di approccio e di stile nel linguaggio e nel pensiero siano le necessarie premesse di una vera democrazia. 


Marilena Falcone è stata cooptata nella discussione sul commento del Signor Lettore, le ho chiesto di raccogliere e organizzare le sue idee al riguardo e quel che segue è il risultato.

mercoledì 21 maggio 2025

THE “SINGLE THOUGHT” (REDEFINED) AND CRITICISM

I’ve come to believe that the ongoing dispute between “scientific knowledge” and the humanities is due to the simple fact that what is currently defined as “science” lacks stable internal critical tools (cf. Kuhn, normal science), whereas philosophy contains both self-critical tools and instruments for critiquing scientific knowledge. In times when the “scientific” interpretation overlaps with political action, serving as its foundation (to varying degrees of truth), it’s quite clear that criticism of such action is met with hostility and opposition, often denounced as “anti-scientific” or “false,” since “truth” is now seen as the exclusive domain of “science.”

Browsing through Italian media and online spaces, the expression “pensiero unico” (single thought) is common—used both by those who denounce its existence and by those who mock the former, arguing that the presence of dissenting opinions in the media proves that no such single thought exists. This clearly shows how language can distort the foundations of dialectics. Probably, speaking of dominant discourses would be more appropriate. And speaking of one-dimensional thought would have been even more effective. The expression, of course, comes from Herbert Marcuse. And it is striking how his One-Dimensional Man still feels relevant today—even starting from the title of its introduction, The Paralysis of Criticism: Society Without Opposition:

“Under these circumstances, our mass media find little difficulty in selling particular interests as those of all rational men. The political needs of society become individual needs and aspirations; their satisfaction promotes business and the general welfare, and the whole appears to be the very embodiment of Reason.”

And this remains true today, even though material advantage has often disappeared. Our era is vastly different from the post–World War II years of development. Yet the “rational men” Marcuse refers to are still today’s vectors of one-dimensional thought, despite inflation, despite unemployment. In our times, where policies are deemed good a priori—regardless of their results—even “rational men” are rational a priori, because that is what is considered right.

Today, it’s quite clear that the monopoly on communication once held by traditional mainstream media has been broken by the rise of social media. However, the loss of monopoly hasn’t led to the marginalization of the “rational” message, which has largely found a home in the new media as well. So if “single thought” is a blunt weapon, the phenomenon it refers to is still real and present. One-dimensional thought defines who the “rational men” are, just as the “delirious front” is defined by its articles of faith. But the delirious front does not express a critique of one-dimensional society; it expresses only a legitimate rejection—but one based on more than irrational theses—delirious ones, indeed. To borrow from Prigogine (The End of Certainty), these are two alienated and alienating worldviews, symmetrical (in Prigogine’s case, “everything is predictable” / “nothing is predictable”).

The narrow space of criticism—equated by one-dimensional thought with the delirious front—struggles not to fall into one or the other pole of this conflict. At the risk of being repetitive, this stems from adopting the opponent’s method—one that bases its policies on “science.” We should internalize the fact that emergency policies are inherently distorting of the democratic process—whether or not their scientific basis is sound (cf. Carlo Galli, Democrazia ultimo atto?)—and focus our critique there. Too often, instead, political debate has sought to attack the adversary’s “science” with equally unfounded “science.” It is no coincidence that Massimo Cacciari’s Metafisica Concreta opens with a Gospel of John quote: “We worship what we know.” It is a programmatic beginning for a book worthy of attention, in which scientific practice is a recurring theme. But the cornerstone of that beginning may well be blown apart by triggering a Nietzschean aphorism:

“Knowledge for the sake of knowledge — this is the last snare laid by morality: we are once more completely caught in it.”

The battle for the “scientific truth” of political action’s postulates is futile because it is sterile—and its sterility has been widely demonstrated. At best, the (genuinely) scientific and divergent study upon which someone wishes to build political opposition will be labeled by the “rational” and by “rational” policies as unscientific and fraudulent. The case of Ioannidis, above all, should be remembered in this regard.

Thus, not falling into the trap is the only way to build a true political and social opposition.

martedì 20 maggio 2025

CARO AMICO TI SCRIVO... (APPUNTI PER UN MANIFESTO DELLA RESISTENZA INTELLETTUALE)

 

Caro CS,

Ho letto quello che hai scritto  Science Faith and Moralism, con molto interesse. Mi ha colpito il tono, il coraggio e soprattutto il punto di partenza: quel richiamo a Nietzsche e al rischio che anche la “conoscenza per amore della conoscenza” possa essere solo l’ennesima trappola morale. Hai usato un’immagine forte e l’hai portata dritta dentro il nostro presente, dove la scienza – o meglio, l’idea che ne ha il grande pubblico – è diventata quasi una nuova religione.

E qui non si può non darti ragione. Oggi “credere nella scienza” viene spesso usato come un badge identitario, più che come fiducia in un metodo. Un po’ come dire “io sto dalla parte giusta”. Ma la scienza vera non è questo. È dubbio, è fallibilità, è cambiare idea davanti a nuove prove. Lo sappiamo bene – e tu lo dici chiaramente – che chi fa davvero scienza non ha nessuna verità in tasca.

L’unico punto su cui forse andrei più cauto è questo: come facciamo a distinguere tra una critica sana e costruttiva, e quella sfiducia generalizzata che alimenta complottismi e disinformazione? È una linea sottile, e oggi molto facile da fraintendere. Ma proprio per questo credo che servano voci come la tua, che parlano da dentro, con cognizione di causa, e senza paura di mettere il dito nella piaga.

Grazie per aver scritto queste riflessioni. Sono scomode, ma vere. E ci aiutano a ricordare che la scienza, se deve avere un valore, lo trova nella libertà di pensare, di sbagliare e di rimettere tutto in discussione. Sempre.

Un caro saluto,
Un lettore

Egregio lettore, 

Vedrò di essere ancora scomodo. Cosa sia la "scienza vera" non lo so. Qualche idea in proposito la aveva Baudrillard (Simulacri e simulazione, 1981). Per Baudrillard, la scienza moderna (meglio, la scienza nel discorso pubblico) non è più un puro processo di scoperta, ma un sistema di segni che si auto-legittima attraverso rituali, istituzioni e narrazioni. Tu parli di “scienza vera” richiamando dubbio e falsificabilità. Baudrillard probabilmente la riterrebbe è un’immagine idealizzata, un segno che evoca un’epoca mitologica in cui la scienza era percepita come incontaminata da interessi politici o economici. In un’iperrealtà, però, questo segno non rimanda a alcunché di oggettivo: la scienza, come discorso pubblico, è sempre stata intrecciata con potere, finanziamenti e ideologie (Il terzo ladro, nella visione di Isabelle Stengers). Se per scienza vera intendi la realtà delle discipline scientifiche allora è diverso, ma credo che ci sia da porre la questione dei termini: meglio chiamare le cose con il loro nome, senza astrazioni al limite del metafisico.

In parole povere e capovolgendo la prospettiva, se i risultati delle discipline scientifiche sono segnale, quello che ne arriva nel discorso pubblico è perlopiù rumore (i segni, usati in una lotta tra narrazioni in cui quella sulla scienza vera si confonde con le altre). L'illusione prevalente nel grande pubblico è che segno e oggetto coincidano. Incrociare su twitter qualcuno che sosteneva di conoscere la meccanica quantistica perché aveva letto un paio di libri di Hawking fu un'esperienza tanto surreale quanto significativa.

E' nel rumore che nasce e vive la dicotomia tra conformisti e complottisti. Come si migliora il rapporto tra segnale e rumore? Non con l'attuale divulgazione scientifica, definita da Walter Quattrociocchi un'occasione persa.

Quanto alla distinzione tra critica sana e sfiducia generalizzata di primo acchito ti direi che anche questo è un problema mal posto. Una critica che sia tale è basata su un'analisi: che il risultato sia costruttivo o meno non è pertinente. La critica apre il problema, non lo risolve. Ma aprire il problema quando la maggioranza sostiene che il problema non esiste è il primo indispensabile passo. Come criterio di distinzione tra critica e sfiducia generalizzata proporrei, di nuovo, la laicità. La sfiducia generializzata non è mai laica, è il dominio dei complottismi, cioè delle fedi settarie.

Quindi che ti dovrei dire riguardo la sfiducia generalizzata? 

Che è sempre lì dopo anni perché il problema non è stato aperto, ma si è pensato che la guerra al complottismo fosse la soluzione?

Che ormai il danno è fatto e sta lì, anche nelle massime sedi del potere mondiale? Che chi ha seminato vento ha poi raccolto tempesta? 

Quel che intendo è che il Re andava in giro nudo da anni (continua a farlo) e ogni invito a mettersi almeno una vestaglia è stato liquidato con un "Si levi la parola all'eretico!". Quindi cosa aggiungere se non che quem Iuppiter vult perdere dementat prius

Siamo dove siamo perché a troppi non interessava cambiare rotta per molti motivi, in primis il difendere una stabile rendita du posizione o essersene costruita di fresco una con la fortuna mediatica (ogni riferimento alle virostar onnipresenti in tempo di COVID è del tutto voluto). 

Come si esce da tutto questo? Non esistono soluzioni veloci o nel medio periodo, o perlomeno io non ne intravedo. Ti consiglio caldamente la lettura de L'industria del complottismo di Mathieu Amiech, che pur non parlando di scienza tratta il problema. Si potrebbe dire che chi ha propagandato una certa idea di scienza non ha vinto la battaglia per quel che c'è nella testa del pubblico, altrimenti i complottisti non esisterebbero più. Ma se qualcuno aveva invece come scopo la sterilizzazione del dibattito, beh, la sua guerra l'ha vinta e stravinta.

A parte continuare a insistere sul rigore in materia di scienze, magari a vuoto, quali opzioni restano, quindi? In primo luogo quella della resistenza intellettuale. 

Resistenza contro l'impoverimento del linguaggio e del pensiero: un linguaggio povero implica un pensiero povero.

Resistenza contro la semplificazione eccessiva di temi altamente complessi.

Resistenza contro l'idea che qualsiasi tema debba essere comunicato in modo da essere accessibile a chiunque senza sforzo: alzare il livello per preservare il messaggio.

Resistenza, quindi, nell'attesa che chi vive nel dibattito sterilizzato venga travolto dalle rovine del sistema in cui ha prosperato.

In secondo luogo resta l'opzione della laicità, unico antidoto al vicolo cieco del confronto tra conformisti e complottisti. Ma occorre non illudersi, perché al giorno d'oggi tutto converge nella direzione opposta.

PS: Questa Resistenza è nel DNA di CS. Dall'archivio ripesco qualcosa di scritto nel novembre 2017, cioè sei mesi dopo il debutto della pagina facebook:

Questa è la cifra dell'imbarbarimento del "dibattito". L'abbassare il livello, affinché il messaggio arrivi alla platea più estesa possibile. Qua sopra di abbassare il livello, come qualcuno avrà inteso, non se ne parla. Per questo le obiezioni standard del proscienza dogmatico medio che arriva qua sopra sono "Devi vergognarti di quel che dici sui vaccini" (un pediatra) , "Diffamare alle spalle è sempre sintomo di profondo disagio" (Butac),"Ripetenti analfabeti" (Roberto Burioni), "offendi e insinui contro Burioni, scienziati, Oms, gente che ne capisce" (un PhD student dall'acuta intelligenza) "coglione immagino grillino oppure coglione e basta" (una di passaggio). Argomenti 0. Perché nel livello abbassato del dibattito la lesa maestà conta, la lesa logica no (figuriamoci lesa chimica, lesa matematica, lesa statistica, leso cGMP). Perché il livello non può essere indefinitamente abbassato senza perdere di significato, e una volta che il significato è perso, è perso e ottieni sia quel tipo di mentalità che traspare dai commenti che ho riportato che il suo riflesso opposto. Nel deserto del significato l'argomentazione delle scienze galileiane sparisce dall'orizzonte, per lasciar spazio al dogma. La cosa viene considerata un sacrificio accettabile, l'importante è il considerare qualsiasi argomento solo in funzione del fine. E' il classico "il fine giustifica i mezzi" di gente che segue la linea del Partito di quelli che hanno ragione.  

Se qualcuno arriva oggi a leggere queste righe e si chiede come andava a finire a quei tempi con questi commentatori (e con quelli dell'opposto fronte), la procedura era bannarli con un motto decententemente brillante, immortalare lo scambio in una apposita galleria e poi dimenticarsene senza strascichi di flame, mortalmente noiosi. Il tempo necessario a capire che non era il caso di farsi sotto così, in quelle platee, è stato di circa 3 anni. Quando si dice velocità di comprendonio... Mi dicono che nessuna scienza è rilevante, al riguardo, che occorre ricorrere a Habermas, Gadamer e Wittgenstein, cioè a quella filosofia che chi ha fede nella scienza ritiene del tutto inutile.

domenica 4 maggio 2025

FDA: SU RFK JR E MAKARY MI SBAGLIAVO DI GROSSO, PURTROPPO

Se veramente avessi scommesso qualcosa sul fatto che nonostante RFK jr il lavoro di FDA sarebbe andato come al solito, avrei perso. Pensavo (e speravo) che Makary si sarebbe comportato come Hahn si era comportato durante la prima presidenza Trump - e mi sbagliavo di grosso. Hahn difese l´agenzia e la sua autonomia, Makary pare che non abbia intenzione di difendere niente, anzi. Non una parola sui licenziamenti che hanno decimato lo staff, rendendolo incapace di star dietro a tutte le pratiche (INDA) presentate.

Intendiamoci, si sta parlando di un massacro: Trump proporrà al congresso una riduzione del budget di NIH del 44%. E rispetto alla sua prima presidenza le cose sono cambiate: allora pochi dei repubblicani al congresso lo appoggiavano, a questo giro invece dispone di una maggioranza repubblicana compatta e a lui favorevole. Nature si chiede se la scienza USA sopravviverà:

https://www.nature.com/articles/d41586-025-01295-6
 

Ma Nature non è precisamente un'osservatore neutrale in questa vicenda: otto anni fa fu tra i primi a lanciare all'allora candidato Trump una dichiarazione di guerra. Già, le presenti vicende hanno radici abbastanza lontane nel tempo, di cui ho già parlato

Il contesto più ampio è noto: da oltre un decennio si registra una crescente disaffezione tra una parte consistente della popolazione occidentale e le cosiddette élite. Le rivendicazioni di questa parte sono state per lo più etichettate come "populiste". Il fatto che, oltreoceano, il conflitto politico venga narrato come una guerra tra culture – i “buoni” che votano democratico e credono nella scienza, contro i “buzzurri” ignoranti e complottisti che votano Trump – non dovrebbe suonare nuovo. È abbastanza evidente che la cosiddetta comunità scientifica si sia schierata, senza ambiguità, nel primo dei due campi.

Tuttavia, trattandosi prima di tutto di uno scontro politico, lo schierarsi apertamente con una parte non è senza conseguenze – soprattutto quando a farlo sono istituzioni pubbliche. A quel punto, è l’istituzione stessa a diventare un bersaglio politico. Durante questo periodo, chi chiedeva che la scienza mantenesse neutralità in ambito politico veniva bollato come “pericoloso”. In Italia, chi poteva sostenere questa posizione se non lui?

 Il riferimento è all'appello di Marcia McNutt, per la neutralità della scienza in politica. "La scienza non è blu o rossa" non significava "La scienza si tira fuori", bensì "La scienza deve rimanere istituzionale". Ma in tempi in cui le istituzioni hanno perso la loro natura super partes un po' ovunque il discorso della Mutt poteva sembrare obsoleto. Eppure, resta forse l’unico argine credibile al discredito sistemico che oggi investe l’intero comparto scientifico pubblico. (Considerate che da anni la medicina istituzionale italiana è completamente in mano alla politica dei partiti e tiratene le debite conseguenze).

L´amara considerazione è che chi ha voluto questa guerra per la cultura "giusta" (che era in realtà per una parte politica) oggi la guerra l'ha anche persa, indipendentemente da quel che succederà alle prossime elezioni di midterm o nel 2028. Perché è difficile pensare che per il settore pubblico non valga quello che succede da sempre nel privato: per distruggere (tagliando, licenziando) servono giorni, per ricostruire servono anni e anni.

I big del tecnocapitalismo che hanno appoggiato Trump sono tutt'altro che alieni o contrari alla "scienza", figuriamoci: con la tecnologia sono entrati nel novero degli individui più ricchi del pianeta. Ma una cosa la sanno bene: quando il pubblico smantella per il privato si aprono grandi occasioni per accumulare ancora maggiori profitti.

 

mercoledì 23 aprile 2025

CRITICA, RAGIONE E RICORDO: UN REQUIEM PER IL GIORNALISMO

 

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/19/critica-della-ragione-pandemica-tinari-giornalismo/7957844/

L'agonia della democrazia italiana è alimentata da politiche emergenziali che si susseguono senza soluzione di continuità. Una politica emergenziale ha bisogno di un'apparato propagandistico che la maggioranza del giornalismo è sempre stata pronta a fornire. L'impressione è che neanche ci fosse bisogno di chiederglielo.

Lasciando da parte considerazioni usurate e facili da pervertire ("La storia serve a non ripetere gli stessi errori", "La qualità dell'informazione determina la qualità di una democrazia") vorrei solo ricordare che prima della crisi pandemica, ormai quasi dieci anni fa, un tweet di Roberto Burioni o uno di Walter Ricciardi bastava a fare una notizia, così come trenta anni fa un entomologo era diventato l'esperto di OGM per eccellenza. Più che nel cercare le fonti il giornalismo italiano ha una lunga storia nel crearsele su misura, conformi all'hype del momento. E' il meccanismo di creazione dei "competenti" nel sistema mediatico italiano - ed in automatico chi non si allinea all'hype, indipendentemente dalle sue qualifiche, per magia diventa "non competente". Le eccezioni sono rare.

In ragione di tutto ciò, dall'esterno, non stupise che il lavoro di Serena Tinari sui metodi del giornalismo di inchiesta in materia di sanità sia caduto nel nulla: semplicemente non funzionale alla missione della maggioranza del giornalismo che non è informare, ma orientare la pubblica opinione, esattamente come il fact-checking a cui lo stesso giornalismo si è rivolto. 

Di seguito riporto alcuni passi salienti del contributo di Serena Tinari a Critica della Ragione Pandemica, reperibile qui:

Un’ondata inarrestabile. Un esercito di reporter che alla velocità della luce si sono improvvisati esperti in epidemiologia delle malattie infettive, nello sviluppo, approvazione, efficacia e sicurezza di farmaci e vaccini. Tutti diventati esperti in statistica da un giorno all’altro, capaci di interpretare disegni e risultati di trial clinici, consapevoli della pervasività dei conflitti d’interesse nella medicina.
È possibile acquisire una specializzazione in un batter d’occhio, tanto più sotto la pressione di un clima generalizzato di panico? No. E tre anni di copertura mediatica lo dimostrano...

Partivamo da un presupposto: la copertura mediatica della medicina e della salute pubblica riproduce schemi sempre uguali. Ci sono le “news”, semplici copia-incolla dei comunicati stampa, notizie trionfali che celebrano presunti miracoli medici (che chi è del mestiere sa essere rari).
E poi ci sono i “giornalisti scientifici”, che traducono i comunicati di governi, aziende e università in linguaggio comprensibile alle masse. Manca cronicamente la prospettiva e il vaglio critico, soprattutto sull’attendibilità delle affermazioni degli “esperti”. Pensavamo: se trasmettiamo strumenti ai colleghi, lavoreranno meglio. Ci sbagliavamo. Anni di impegno non hanno prodotto risultati...

Possiamo trarre una conclusione: tre anni di crisi si sono trasformati nel requiem del giornalismo: la missione di raccontare una storia dopo averla verificata. Il dovere di confrontare fonti diverse. La necessità di porre domande scomode a chi governa e a chi dalla crisi trae vantaggio...

Il COVID è stato per lo più raccontato da cronisti politici e generalisti, che hanno continuato a “copiare e incollare” dichiarazioni di governo e industria.
Si è diffuso un tragico equivoco: i miei colleghi si sono sentiti investiti di ruoli che non spettano al giornalismo.
Come invocare maggiori restrizioni (“non servirebbe un lockdown in più?”), e farsi megafoni e stenografi di autorità, presunti esperti e aziende farmaceutiche...

L’era COVID ha lasciato il giornalismo con le ossa rotte: da Quarto Potere a porta-microfono.
I comunicati stampa delle aziende in prima pagina, gli amministratori delegati chiamati a pontificare su complesse politiche sanitarie. Verifica? Nessuna...

E mentre molti colleghi amplificavano le conferenze stampa del governo, i “fact-checker” si occupavano del resto.
Come se analisi, prove e verifiche non fossero il sale del giornalismo, a queste figure stravaganti è stato delegato il compito di certificare la Verità.
Nel culto dell’esperto in camice bianco, è nato il ministero orwelliano della “Scienza Vera”...

Un inquietante miscuglio di giornalisti scientifici ed esperti improvvisati, il mondo dei fact-checker pandemici ha visto la collaborazione di governi, ONG, star del giornalismo investigativo, servizi segreti e social media.
Infiniti sono i disastri causati da questa macchina della propaganda che ha creato, gestito e governato la crisi.
Appoggiati dai fact-checker, i giornalisti sono caduti in trappole orchestrate dagli uffici stampa di aziende e governi...

Il vecchio vizio di trovare formule accattivanti è stato fatale al giornalismo, e ha generato mostri: “no vax”, “no mask”, “negazionista”.
Neologismi che hanno diviso la società e sono stati affibbiati anche ad accademici di fama.
Persone riconosciute dalle agenzie regolatorie come danneggiate dai vaccini, etichettate come “no vax”...

Da missione di servizio pubblico, il giornalismo si è trasformato in una macchina infernale per manipolare le masse, alimentando l’odio verso il prossimo.
Tra le creature inquietanti del giornalismo pandemico ci sono i disobbedienti, a cui si possono togliere i diritti fondamentali.
Giornalismo come braccio armato del potere, che demonizza chi fa domande o dissente...

Giornalisti trasformati in censori, giudici, esecutori di sentenze.
Il giornalismo porta a casa da questa esperienza un corteo di errori. Alcuni clamorosi, molti imbarazzanti.
La crisi dei media ne esce aggravata, perché la sfiducia verso un giornalismo che tradisce la propria missione è inevitabile.



martedì 8 aprile 2025

I VALORI DELL'OCCIDENTE: LA LIBERTA' ACCADEMICA (?)

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/05/epidemiologo-ioannidis-effetti-lockdown-covid/7938854/

L'articolo di Gandini e Bartolini merita la lettura, ma più merita l'intervista di Ioannidis:


Riguardo il clima del dibattito scientifico nel 2020:

Era un ambiente altamente tossico, credo, per chiunque volesse contribuire al dibattito presentando dati e evidenze ragionando su cosa stessero a significare. Molti hanno preso posizioni molto forti, c'era una polarizzazione molto forte, molta partigianeria e la sensazione che fosse l'ideologia a mandare avanti il tutto. Non le migliori condizioni per l'attività scientifica, specialmente per chi non aveva ideologia politica e che non voleva soddisfare una o l'altra narrativa. Le minacce di morte erano frequenti... Credo che l'ambiente fosse così tossico che la maggioranza degli scienziati che avessero una qualche esperienza rilevante in campo epidemiologico si è autosilenziata. In molti mi hanno detto: John, è incredibile, non possiamo credere che stia accadendo, se tu sei attaccato in tal modo se tentassimo di dire qualcosa noi saremmo completamente annientati.

Vi consiglio caldamente la visione di tutto il video, ma vorrei espandere questo punto. Il "caso Ioannidis" ha riguardato anche il pubblico generale e la politica, ma l'aspetto per me più significativo è stata la reazione della "comunità scientifica" e delle sue estensioni comunicative. Se ne occupò un pezzo sul BMJ:

John Ioannidis è un professore della Stanford riconosciuto ampiamente come uno dei più importanti scienziati medici del nostro tempo; molti dei suoi studi e delle sue analisi sono tra i più citati in medicina e sanità pubblica. Tuttavia, nell’ultimo anno è diventato anche bersaglio di attacchi intensi, e spesso ad hominem, a causa dei suoi scritti, interviste e ricerche sul covid-19. Sebbene ci siano chiaramente critiche valide a uno studio sulla prevalenza del covid-19, di cui era coautore secondario, molti degli attacchi rivolti a Ioannidis hanno distorto la sua posizione complessiva e hanno anche affermato, senza alcuna prova, che la sua opinione fosse basata su simpatie politiche pro-Trump e/o su un conflitto di interessi economico personale.

Jeanne Lenzer e Shannon Brownlee hanno descritto gli attacchi a Ioannidis in un articolo d’opinione (e un box di approfondimento) su Scientific American, in cui riportano anche che un’indagine indipendente a Stanford non ha trovato alcuna prova a giustificazione di tali attacchi. Inoltre, hanno lanciato un appello ragionato alla comunità sanitaria affinché si evitasse di inquadrare le opinioni sul covid-19 in termini politici, sostenendo non solo che è di importanza cruciale affrontare questa pandemia da scienziati, ma anche celebrando un recente incontro alla Johns Hopkins in cui gruppi con visioni inizialmente molto diverse hanno riconosciuto i modi significativi in cui in realtà erano d’accordo, indicando così una strada promettente per il futuro. In sostanza, chiedevano che le divergenze venissero affrontate come colleghi, e non come inquisitori moralisti, per poter collaborare alla ricerca del miglior modo di proteggere la salute pubblica.

Lenzer e Brownlee, a loro volta, sono state attaccate personalmente dopo la pubblicazione del loro saggio, non solo sui social media, ma – cosa più rilevante – anche tramite comunicazioni inviate a organizzazioni di cui fanno parte e a riviste per cui avevano scritto in passato, con richieste affinché non fosse più permesso loro di pubblicare. Questo ha portato alla rimozione di Brownlee dal comitato consultivo della rivista Undark, nonché alla pubblicazione di emendamenti critici agli articoli originali sia su Undark che su Scientific American, i quali suggerivano che le due giornaliste avessero un conflitto di interesse non dichiarato, e le rappresentavano come se avessero fuorviato le redazioni. Queste accuse si basavano sul fatto che Ioannidis era stato coautore di un piccolo numero di articoli di revisione scritti da una o l’altra di loro. Lenzer e Brownlee contestano tale interpretazione generale e molte delle “correzioni” specifiche; affermano che la loro risposta non sia stata adeguatamente considerata da nessuna delle due pubblicazioni.

L’ironia evidente di tutta questa vicenda è sia sconvolgente che demoralizzante—Lenzer e Brownlee sono state attaccate per aver scritto un articolo che ci invitava a non attaccare qualcuno solo perché ha assunto una posizione impopolare.

La libertà accademica al suo meglio, vero? Notare le "comunicazioni alle istituzioni". La delazione/denuncia alle istituzioni in cui lavoravano i bersagli dell'indignazione proscienza è un qualcosa che è iniziato ai tempi del morbillo 2017 in Italia ed è lievitato a dismisura in tempi pandemici. Delazioni e denunce il più delle volte surrettizie, contestanti qualcosa di fin troppo simile a un attentato all'ordine morale dello Stato (fascismo) o al comune sentire del popolo (nazismo). Alla voce "quanto ne siamo usciti migliori".

Oggi a ragione si parla delle politiche di Trump nei confronti della ricerca pubblica e delle università USA come un attacco contro la libertà accademica. Ma chi lo lamenta molto probabilmente faceva parte della torma dei linciatori di Ioannidis, che oltreoceano erano una solida maggioranza nel mondo scientifico. Come ogni libertà, anche la libertà accademica non è mai quella degli altri.

domenica 6 aprile 2025

USA:DAZI SENZA PRECEDENTI? NON PROPRIO.

Confesso che non sono riuscito a rintracciare la fonte di partenza, che sarebbe stata un articolo di Chemical & Engeneering News (troppo vecchio), quindi vi tocca fidarvi della mia memoria, se vi pare: una venticinquina di anni fa ci fu il boom del biodiesel. Per chi non se lo ricorda, si trattava di carburante diesel ricavato da olii vegetali (di colza, soprattutto). E l'Europa, in particolare l'Italia, non se lo fece sfuggire. Tra l'altro c'era un cliente molto, molto importante: l'esercito degli Stati Uniti d'America. La chimica dietro la produzione era semplice: gli olii vegetali, con una frazione rilevante di trigliceridi (esteri di acidi grassi e glicerina) vengono mescolati con metanolo e una base (di solito NaOH) per ottenere l'esterificazione della frazione di acidi grassi e transesterificazione degli esteri già presenti (della glicerina, per esempio) per ottenere esteri metilici.

https://it.wikipedia.org/wiki/Produzione_del_biodiesel

Quindi c'era un grande compratore di biodiesel, gli USA, e una grande produzione europea. Una grande produzione europea il cui sottoprodotto era glicerina. La glicerina ha un mercato, costituito per esempio da chi produce saponi, e visto che era un sottoprodotto all'improvviso venne venduta (ed esportata) a prezzi ridicoli. La glicerina europea era sul punto di sterminare i produttori di glicerina americani e una amministrazione USA (non ricordo quale) mise un dazio sulla glicerina europea.

Più noti e documentati furono i dazi dell'amministrazione di George W. Bush (2002): un precedente non incoraggiante per l'attuale amministrazione USA, visto che furono revocati dopo un anno. Furono revocati perché gli effetti positivi non si erano visti ma quelli negativi sì: flessione del prodotto interno lordo e del tasso di occupazione. Ma ci sono esempi più recenti, costituiti dalla prima amministrazione Trump. Al riguardo la faccenda diventa fumosa. Se negli anni recenti nel discorso pubblico è stato arduo distinguere tra "scienza" e politica, non mi ricordo che tra economia e politica sia mai stata fatta una differenza. Quindi allo stato attuale, riguardo ai dazi della prima amministrazione Trump, il consenso è che abbiano avuto conseguenze negative in termini di inflazione e PIL o nessun effetto del tutto. Ma il fatto curioso è che l'amministrazione Biden mantenne buona parte di quei dazi, con una progressiva estensione di quelli contro la Cina.

Per quel che riguarda il settore chimico farmaceutico europeo ho già trattato il presente.
La mia vita lavorativa l'ho passata perlopiù in aziende che esportavano soprattutto in USA, quindi cambio con il Dollaro americano e tasse doganali (dazi) erano argomenti importanti e piuttosto sentiti. E sulla base di questa mia esperienza la mia opinione è che se il più grande mercato di riferimento del globo decide di ristrutturare le sue importazioni, beh, non è che ci si possa fare gran che. Ma in passato, appunto, non fu solo questione di dazi, affatto. La più grande ristrutturazione della filiera farmaceutica mondiale fu brutale e cominciò a fine 2005, quando il cambio arrivò a 1.30 dollari per euro: le grandi farmaceutiche globali nel giro di pochi mesi sganciarono la maggioranza dei partner europei (sostituendoli con asiatici che lavoravano in dollari). Questo per quello che riguarda i servizi. Sul fronte dei prodotti la situazione provocò un ulteriore shock alle aziende che si ritrovarono ad abbassare i prezzi in EUR o a firmare ordini o contratti in dollari, sacrificando i ricavi per mantenere quote di mercato. E mi immagino che per gli altri settori che esportavano negli USA le cose non fossero molto diverse. Il problema principale era costituito dalla mancanza di un vero mercato di riferimento alternativo: l'Europa non poteva assorbire le quote dell'export destinate agli USA, non per dimensione (che c'era) ma per politiche di repressione della spesa interna. Fu nel 2009, mi pare, che sentii un executive di una grande azienda dire che l'Europa per i farmaci non era più un mercato interessante.

Quindi vorrei provare, da non economista, a fare una constatazione: non c'è molta differenza tra un dazio del 25% a parità di cambio e un cambio di 1.3 dollari per euro (2005) in assenza di dazi. Ed in entrambi i casi sono dolori.

E allora, al di là delle vuote propagande? Da questo lato dell'oceano si può solo sperare che succeda come successe ai tempi di George W. Bush e che tra un anno o prima tutto sia revocato. Ma potrebbe non essere questo il caso. 

ADDENDUM: 

Nel "terribile" mercoledì in cui i dazi vngono applicati la confusione è massima sotto il cielo.

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-04-08/trump-dismisses-last-gasp-eu-push-to-stop-tariffs-kicking-in

 
ma  Milano Finanza fa sapere che:
 
Non sono colpite dai nuovi dazi reciproci le seguenti categorie merceologiche: il settore automobilistico e le loro componenti su cui già si applicano le nuove aliquote su acciaio e alluminio; prodotti farmaceutici; rame; semiconduttori; componenti e ricambi di settori strategici statunitensi (aerospaziale, difesa) che rientrano in specifiche esenzioni; alcune materie prime non disponibili in quantità sufficiente sul mercato interno Usa, come determinati minerali e terre rare; legname 

Buon lavoro giornalistico, infatti è quel che dice l'ultimo fact sheet della Casa Bianca (o il penultimo, o il terzultimo, quando leggete). Quindi il farma è escluso, anche se qualcuno fa osservare che i codici doganali colpiti non sono ancora stati specificati. Ma la rincorsa dell´euro sul dollaro, cominciata a febbraio, ha avuto nuovo impulso dalla faccenda dei dazi. E esenzioni o no se lo scivolamento del dollaro continua gli scenari sono quelli di cui ho già parlato. Nel frattempo qualcuno da fuori inizia a piazzare nuovi investimenti negli USA, just in case, come si dice.

https://www.indianpharmapost.com/news/sumitomo-chemical-establishes-a-cro-for-oligonucleotide-cdmo-business-in-us-16992

 

 

mercoledì 2 aprile 2025

A CHI CONVIENE RIARMARE L'EUROPA?

 Troppo facile, a loro:

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-04-01/surging-defense-stocks-led-europe-s-quarter-of-us-outperformance

 

Un quadrimestre storico che ha visto l'affettuoso abbraccio tra la "sinistra" italiana, quella voluta in piazza a Roma da Michele Serra, e l'industria bellica tedesca. Un nuovo commovente capitolo dell' Asse Roma-Berlino.

domenica 30 marzo 2025

I VALORI DELL'OCCIDENTE (EUROPEO)?

Sono cresciuto in un contesto in cui "i valori dell'occidente" erano perlopiù "i valori dell'occidente cristiano" ed erano una rivendicazione politica della destra estrema, fascista e postfascista. 

Sempre più vero che se vivi abbastanza ne vedi di tutti i colori. Ripensavo a Vecchioni e al suo discorso rivolto a quella piazza voluta da Michela Serra.



Lasciamo perdere il disgusto etc, faccende che riguardano le reazioni a caldo. Guardiamo piuttosto ai significati profondi.

Chi al tempo rivendicò i valori dell'occidente, per ragion ideologica, metteva in disparte i valori dell'occidente greco, per esempio - anche se in realtà parlare di occidente greco è un controsenso, perché l'area della lingua greca è stata più mediterranea che europea, essendosi estesa ai suoi tempi prevalentenemente in Asia (Anatolia, Medio Oriente) e nord Africa (Egitto).  E anche l'occidente latino veniva lasciato cadere in disparte con i suoi impresentabili Plauto, Catullo, Apuleio e Giovenale.

Nello stesso modo Vecchioni fa finta di scordare fin troppe cose (l'algebra e la filosofia arabe, la matematica indiana, la letteratura cinese), compresi gli americanissimi Melville, Hawthorne, Poe, Hemingway e tanti, tanti altri. Poi se vogliamo guardare al "nemico", la grande letteratura e la grande musica russe sono patrimonio della cultura universale, da Pushkin a Shostakovich e Prokofiev-  considerata l'insistente presenza di Prokofiev nei nostri media fino all'altro ieri la cosa è particolarmente grottesca.

Il vecchio cantautore ha volutamente scordato molte cose, compreso il fatto che il vero prototipo delle democrazie moderne non fu Atene, ma furono hgli Stati Uniti d'America alla loro nascita. Con questo non voglio sminuire la Rivoluzione Francese, ma fatto sta che, mentre il congresso di Vienna ridisegnava l'aspetto monarchico del vecchio continente dopo gli anni napoleonici, dall'altra parte dell'oceano c'era una repubblica federale il cui presidente era James Madison, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, uno che aveva partecipato alla stesura della loro Costituzione. E pure la prima Carta dei Diritti dell'uomo fu a stelle (poche) e strisce.

Volendo mettere i puntini sulle i, poi, almeno in Italia, senza il contributo di un Partito Comunista Italiano le conquiste sociali degli anni '70, dallo Statuto dei Lavoratori al Sistema Sanitario Nazionale, ce le saremmo sognate. E il PCI, come gli altri partiti comunisti, aveva le sue radici nella Rivoluzione d'Ottobre, una rivoluzione russa. Senza PCI certi tintinii di sciabole recentemente descritti come marginali avrebbero forse avuto la meglio. Il PCI non era privo di difetti anche gravi, ma confrontato al suo attuale discendente, il PD, appare come l'esempio di un fulgido passato ormai dimenticato. Non riesco a scordarmi le parole di Occhetto sulla nascita del PD: il peggio del PCI e del socialismo più il peggio del cattolicesimo. Ai tempi fu buttato il bambino e tenuta l'acqua sporca, e i risultati negli anni sono stati sempre più visibili: il divorzio dalle classi lavoratrici e produttive, le cui istanze e le cui proteste vennero progressivamente omologate ai populismi, fino al capolavoro dei capolavori: il consegnare a un partito come la Lega il voto dei distretti industriali morti o moribondi e quello dei quartieri popolari (una cosa durata poco, perché i più possono essere ignoranti, ma non completamente scemi). Una sedicente sinistra che anche quando dice il contrario si è saldamente schierata dalla parte di chi la lotta di classe l'ha vinta (il capitale). Se non credete a me credete a uno che di capitale qualcosa ne capisce, Warren Buffett.

Niente di più proficuo per la sinistra parlamentare che il trasformasii in un insieme di gruppi di potere irrimediabilmente autoreferenziali, inteprete vocale della cultura delle idiozie progressive, la cui progenitura europea fu di Zapatero: i diritti a costo zero. E a nessuno passò per la testa che se non costa (cio se non paga lo Stato e se non paga il capitale), beh, allora non ha un valore serio, è una mancia in moneta falsa, non il proverbiale free lunch ma un cibo gratuito che non sfama o nutre (un pezzo di questi eventi lo ho visto da vicino, dentro i cosiddetti "corpi intermedi").

I frutti delle lotte di 50 anni fa furono neutralizzati nei progressivissimi anni '90, quelli in cui Tony Blair divenne un modello per troppi. I frutti di quelle lotte furono annullati anche anche grazie a quella particolare Europa a cui si inneggiava in quella piazza romana . E oggi la democrazia in generale, specialmente in Europa, non è messa bene. In Europa da anni c'è tanfo di ancien régime.

Quindi perché questa narrativa con i suoi oculati vuoti di memoria? Perché c'è un'agenda politica da sostenere e per sostenerla va benissimo che le rivendicazioni suonino ormai come quei "valori dell'Occidente" di cui parlavo all'inizio, con sfumature appena più attuali, dalla "scienza per il riarmo" a Scurati che piange l'assenza di "guerrieri" in Europa.

https://www.repubblica.it/cultura/2025/03/04/news/guerrieri_europa_scurati_guerra-424041770/

(Curioso che la redazione per l'articolo abbia preso un'immagine dei tempi della Guerra dei Trent'Anni, un periodo di paurose mattanze come pochi - mattanze molto, molto europee). 

Tutto questo bellicismo verbale è un'isterica cortina fumogena che prova a nascondere una banale evidenza: l'Europa, oggi, non è al centro di niente. Il punto di vista geopolitico è spietato:

Al di là delle sue declinazioni italiane tutti questi discorsi di "riarmo difensivo" fatti in un momento in cui la classe dirigente europea ha perso tutte le sue scommesse politiche e la base su cui i suoi piedi poggiavano (il potere USA) fanno venire in mente un Chomsky che in un modo o nell'altro rimandava ad Orwell:

If you want to control a people, create an imaginary enemy that appears more dangerous than you, then present yourself as their savior

venerdì 28 marzo 2025

TROPPO TARDI

 

I numeri reali sono chiamati così perché sembrano fornire la grandezza necessaria per la misura di distanza, angolo, tempo, energia, temperatura o di innumerevoli altre quantità geometriche e fisiche, Comunque la correlazione tra l' astratta realtà dei numeri detti reali e le grandezze fisiche non è nitida come può sembrare. i numeri reali sono un'astrazione matematica e non una qualsiasi quantità fisica oggettiva. Il sistema dei numeri reali per esempio ha questa proprietà: tra due di loro, indipendentemente da quanto siano vicini, ce n'è un terzo. Non è chiaro se distanza fisica o tempo abbiano questa proprietà. Se continuiamo a dividere una distanza fisica raggiungeremo scale così piccole che lo stesso concetto di distanza come lo concepiamo perde di significato.

Anni fa postai questo, senza dire che era una citazione e da dove era presa. Ovviamente non mancò chi, fisico con cattedra e incarichi vari, commentò che non capivo nulla della cosa. Commento che realizzò qualche reazione positiva. Si trattava dell'inizio del capitolo "La realtà dei numeri reali" in "La mente nuova dell'imperatore" di Penrose. Magari Penrose non è perfettamente al di sopra di qualsiasi critica su certune delle sue posizioni, ma ritengo che nella sua non tarda età (quendo scrisse quel libro) avesse un'idea piuttosto chiara su cosa siano i numeri reali. E quando dichiarai la fonte del testo ci fu un convulso arrampicamento sugli specchi.

Nella mia esperienza questa piccola, insignificante vicenda ha un suo valore intrinseco. E' un buon emblema dell'odierna attualità: non si può tornare indietro su una narrazione mediatica o politica dicendo "ci siamo resi conto che quanto detto/deliberato non era un'opzione praticabile". No, perlopiù si rilevano due distinte linee di narrazione e azione: 

1) Non abbiamo mai detto questo (Presidenza del Consiglio italiana, che a sentirla non si è mai detta con una parte in guerra fino alla vittoria)

2) Anche se non regge comunque rilanciamo: Rearm Europe o come è stato ribattezzato, truppe europee di interposizione (commissione UE senza dietro tutta l'UE più Francia e la un tempo perfida Albione del Brexit - tutto scordato, tutto perdonato)

In tempi remoti uno dei valori della cultura europea era la coerenza. A quanto pare ce ne siamo sbarazzati, con grande sollievo.

domenica 23 marzo 2025

I SETTE SAGGI, LA DEMOCRAZIA, L'EUROPA

I Sette Saggi: avete presente γνῶθι σαυτόν? (Conosci te stesso)

La serietà e l’importanza dell’enigma in questa età arcaica potrebbero ricevere un’ampia
documentazione; in un’epoca appena più recente, nel settimo e nel sesto secolo a.C., si estende la
formulazione contraddittoria dell’enigma, e la cosa coincide con il completo umanizzarsi di questa sfera.
Così si trovano formulazioni di enigmi sin dai poemi omerici e da Esiodo, e poi nell’epoca dei Sette
Sapienti - dove la fama di Cleobulo e soprattutto di sua figlia Cleobuline deriva appunto da raccolte di
enigmi - e nella poesia lirica, da Teognide a Simonide.
Più tardi, nel quinto e nel quarto secolo, tutto ciò va gradualmente attenuandosi. Dopo Eraclito, nel
cui pensiero l’enigma è qualcosa di centrale, i sapienti si rivolgono a ciò che consegue dall’enigma
piuttosto che all’enigma stesso

(Giorgio Colli, La Nascita della Filosofia)

Tra i Sette Saggi ci fu Bias di Priene che di fatto fu un avvocato. A lui è attribuito il detto:

οἱ πλεῖστοι ἄνθρωποι κακοί

"la maggioranza degli uomini è cattiva", detto che finì anche scolpito nella pietra. I detti dei Sette Saggi furono un patrimonio di tutta la Grecia. E il detto di Bias di Priene ha avuto una tale profonda influenza che anche gli scritti del cristianesimo degli inizi ne portano traccia. 

Questi elementi profondi e persistenti nella cultura greca non impedirono lo sviluppo di forme di democrazia - Atene ma non solo, visto che il governo di Sparta, noto come oligarchia, aveva forti elementi democratici - consiglio vivamente di leggere questa voce scritta da Luciano Canfora per il Dizionario di Storia (2010) di Treccani. Ma, visto che è attualità recente, merita ricordare un brano chiave del Discorso di Pericle agli Ateniesi, come riportato da Tucidide (che, intendiamoci, non fu una voce super partes):

Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

(un incipit evidentemente sfuggito al presidente del consiglio di una sedicente repubblica mediterranea)

Se la maggioranza degli uomini sono cattivi (ignoranti, nell'odierna accezione di chi crede di sapere pur non conoscendo), la democrazia è un controsenso: meglio l'epistocrazia, il governo di chi sa (o di chi crede di sapere, o di chi si crede che sappia). Ma la demochrazia, quella orginaria, non quella predicata come alibi dalla propaganda, è una scelta di campo precisa. I suoi oppositori moderni, i critici del suffragio universale, volenti o nolenti si accodano alla visione antidemocratica, fascistissima, di Pino Rauti. Non solo: è impossibile non notare che l'EU qualche serio problema con la democrazia ce l'ha:

Non mi sembra che tutti i giorni la Commissione Europea debba andare in parlamento con il rischio di cadere e se ne deve fare una nuova...

Ed è assai difficile non notare come dall'Unione queste pratiche non democratiche siano filtrate nelle nazioni che ne fanno parte. Negli ultimi mesi siamo arrivati al parossismo in questo senso, con la vicenda delle elezioni rumene e gli aumenti delle spese per la difesa che, a livello nazionale, vanno avanti evitando i passaggi parlamentari. La Commissione ha annusato il problema e ha deciso di trattarlo come una questione di immagine.

https://it.euronews.com/my-europe/2025/03/21/bruxelles-ribattezza-rearm-europe-dopo-le-critiche-di-italia-e-spagna

Per questo e mille altri motivi oggi la democrazia è una scelta di campo, nonché il grande problema dei nostri tempi.

La crisi dell’ordine neoliberale ha portato alla luce un’altra struttura necessaria della politica moderna, un’altra opacità non compatibile in linea di principio con la democrazia, con cui pure questa deve convivere... l’accesso a ciò che è fuori della norma può anche essere addomesticato, civilizzato, inserito nell’ordine esistente come interna variante; può paradossalmente divenire fattispecie, caso straordinario ma non imprevisto né distruttivo quanto piuttosto trasformativo. Può prendere l’aspetto, meno drammatico, dell’emergenza. Che dall’eccezione differisce perché nell’emergenza emerge qualcosa – una struttura essenziale – mentre nell’eccezione sprofonda tutto l’ordine. Ovvero, il segreto dell’emergenza è il primato dell’ordine sul soggetto, l’esigenza dell’ordine di perpetuarsi, come il segreto dell’eccezione è la nullità originaria...l’emergenza appartiene invece al repertorio della Ragion di Stato di Antico regime, e di lí transita fino ai giorni nostri con mirabile continuità.

(Carlo Galli. Democrazia, ultimo atto?
)

Da quasi dieci anni si passa quasi senza soluzione di continuità da un'emergenza all'altra. Un'emergenza dopo l'altra l'Ancien Regime avanza di un pezzo, in questo secolo ancora giovane. Il paragone di Barbero con la corte imperiale di Vienna all'inizio dell'800 da questo punto di vista è molto calzante.

Democrazia come scelta di campo, la discriminante tra chi ritiene che la volontà della maggioranza debba comunque esere considerata e chi pensa altrimenti. E da sempre chi non ritiene che la volontà di qualcuno non debba essere considerata ha una innata tendenza a schiacciarla, reprimerla, renderla penalmente perseguibile e tutto il resto. 

domenica 16 marzo 2025

LA SCIENZA PER IL RIARMO EUROPEO, MA ANCHE NO

 

https://www.repubblica.it/politica/dossier/una-piazza-per-l-europa/2025/03/15/video/una_piazza_per_leuropa_elena_cattaneo_leuropa_e_sempre_stata_baluardo_della_conoscenza-424065464/?rpl=1

Spettacolo rivoltante vedere bandiere della pace a una manifestazione per il riarmo europeo. Quando ho letto che la senatrice a vita Elena Cattaneo avrebbe partecipato non mi sono stupito. E infatti, dopo l'usuale retorica sulla ricerca biomedica, al minuto 4 del video la senatrice somministra la benedizione della "scienza" al riarmo europeo contro "i nemici"  - cioè la Russia e pure, potenzialmente, gli USA: ennesima dimostrazione di quanto il discorso di certa politica possa essere del tutto sprezzante del ridicolo. 

Quindi abbiamo la scienza unita per 800 miliardi in più di spesa militare europea?

No, affatto. Internazionale quanto la ricerca di cui parla la Cattaneo c'è un movimento di segno del tutto opposto e il suo appello merita la massima diffusione:

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSf8SMOkUCIyLrXWi101tguGYa42BnIF9yLjTztnbOo0ND60FQ/viewform

Nei tempi oscuri che stiamo vivendo una cosa ci è chiara, limpida e cristallina: la guerra affama i popoli e arricchisce i produttori di armi; e coloro che invocano la necessità di andare in guerra non sono coloro che tale guerra la combatteranno davvero. Dal momento in cui si annuncia la corsa agli armamenti, e ancor più quando i giovani e le giovani europee saranno mandate al fronte, ci sarà un solo vincitore: le oligarchie internazionali che traggono benefici dal mercato delle armi; e ci sarà un solo perdente: i popoli, a qualunque nazione essi appartengano. 

Per questa ragione ci appelliamo al mondo della cultura, della ricerca e dell’insegnamento perché si schieri contro questa barbarie montante, rifiutandosi  a tutti i costi di rifornire di braccia, parole, denaro, speranze, idee e progetti questa delirante corsa verso l’abisso; contrastando ogni volta che è possibile i proclami guerrafondai di opinion makers accecati da sogni di gloria o dalla convinzione che si possano difendere nobili valori e principi con mezzi che li contraddicono alla radice; e, soprattutto, rifiutandosi di sostenere in ogni modo gli stati e i leaders che promuovono la guerra.

E direi che non c'è altro da aggiungere, se non concludere come l'articolo su ROARS: si vis pacem para pacem.

PS: Pare che la causa della guerra in Italia non abbia un travolgente supporto dell'opinione pubblica (32%, secondo i sondaggi). Eppure leggendo i commenti impregnati di idiozia militante sotto al pezzo di Sara Gandini e Paolo Bartolini sul Fatto Quotidiano le cose sembrerebbero del tutto diverse: ennesima dimostrazione dell'effetto deformante della rete.

giovedì 13 marzo 2025

UCRAINA: IL CESSATE IL FUOCO E' COME UNA FUNZIONE D'ONDA...

...  e come nella migliore delle tradizioni è l'osservatore che ne provoca il collasso.

Comincerei con l'estero:


La Russia accetta/rifiuta è evidentemente come il Gatto di Schrodinger, vivo/morto. La cosa è rispecchiata in campo italiano, più o meno (dal 2/1 di "accetta" in inglese al 2/1 di "rifuta" in italiano):

Siamo arrivati alla narrazione quantistica. A groundbreaking achievement?

mercoledì 5 marzo 2025

A CHI CONVIENE LA "SCIENZA" SCHIERATA IN POLITICA?

Ormai è del tutto evidente: non alle discipline scientifiche. Certa politica pensava che gli convenisse, certa "scienza militante" pure. I semplici fatti hanno dimostrato ampiamente che no, non era così.

https://www.nature.com/articles/d41586-025-00661-8

Vediamo un po'... se da anni dici che X è un personaggio indegno e un nemico poi ti stupisci se X tratta te come un nemico e quando può agisce contro di te?

Voglio ricordare che l'area dem fu la prima a bollare Trump come anti-scienza prima dell'elezione al suo primo mandato. Avete bisogno di un rinfresco di memoria? 

Nel 2016:

Dalla negazione della scienza alla xenofobia fino alla misoginia, Trump tira fuori il peggio dagli americani e vuole annullare 50 anni di progresso.

Ma non solo, alcune voci della "comunita´ scientifica" seguirono la scia dei dem, schierandosi.

Sempre nel 2016 ci si mise anche Scientific American:

Le opinioni di Trump sulla scienza sono sorprendentemente ignoranti. Le sue dichiarazioni mostrano un disprezzo per la scienza che è allarmante in un candidato a una carica importante.

Nature si schierò con Hilary Clinton, Lancet non fu da meno:

"Trump è davvero COSÌ pessimo?" Concluse che, in effetti, la realtà era "fosca". Il presidente Trump, sostenne Stuckler, sarebbe stato una "minaccia diretta per la salute pubblica".

Sono esempi di una "scienza" che si riteneva al di sopra della politica. Otto anni dopo, reality check: non era mai stata al di sopra, era stata sempre al di sotto, semplicemente messa sugli altari da una parte politica per il suo tornaconto. L'amministrazione Biden "guidata dalla scienza" fu uno spettacolo grottesco, con chi era stata corresponsabile dell'inizio della crisi degli oppiacei, la Woodcock, rimessa a capo di FDA come Acting Commisioner e una raffica di dimissioni dall'agenzia.

Erano quelle di Scientific American, Nature e Lancet dichiarazioni politiche, nel senso deteriore? Al 120%. Erano politicamente intelligenti? Se lo scopo era usare la scienza schierata al servizio di una parte politica sì. Considerati i risultati, l'uso della "scienza" in una tornata elettorale forse era da archiviare (citofonare Renzi). Ma chiedere lungimiranza politica a Biden e Harris forse era chiedere troppo e non c'è niente di peggio che rimanere relegati nel ruolo del sore loser, che è il loro ruolo attuale (Sanders dice sante ovvietà ma non è un caso che il suo partito lo abbia emarginato).

Date le premesse questa narrativa si è ostinatamente rifiutata di ricordare che, nonostante tutto, fu proprio la prima amministrazione Trump con Operation Warp Speed a finanziare lo sviluppo di vaccini e farmaci anticovid che poi sono stati usati in tutto l´occidente. E forse ha preferito scordarselo lo stesso team di Trump durante la campagna elettorale, in cui università e scienza sono state dipinte come "il nemico".

Oggi siamo arrivati al punto in cui la ricerca scientifica è scesa in piazza, negli USA, per protestare contro il taglio dei finanziamenti (impossibile dargli torto). Ma, poco da fare, ormai non solo qualche rivista, ma la scienza pubblica e accademica per intero si è definitivamente schierata nella contesa politica e questo fatto avrà conseguenze gravi. Perché non si farà più alcuna distinzione tra  "la scienza", quella indistinguibile dalla politica, e la pratica delle discipline scientifiche. La ricercatrice che va alla manifestazione con il cartello "Preferirei essere in laboratorio", mai stata vicina alla politica, da oggi verrà omologata a chi ha usato "la scienza" sperando in tornaconti grandi (vittorie elettorali, posizioni di rilievo) o piccoli (posticini sulle pagine di un giornale o briciole di visibilità mediatica).

Marcia McNutt lo scorso autunno ricordava che :

Dalla fondazione della National Academy of Sciences (NAS) durante la Guerra Civile. il periodo più divisivo della storia americana, la scienza e NAS (di cui sono attualmente presdidente) hanno servito la nazione indipendentemente dal partito politico al potere, Continuando la comunità scientifica a farlo, occore puntare una sguardo critico su quale responsabilità la scienza si prenda partecipando al contenzioso politico, e su come gli scienziati possano ricostruire la fiducia del pubblico verso di loro...

Le ultime presidenziali USA sarebbero state una buona occasione per provare a frenare l'escalation, per una presa di posizione che ricalcasse le parole della Mutt: la ricerca scientifica sarà neutrale indipendentemente da chi governi. E' stato fatto l´esatto contrario e ho presente una popolazione piuttosto numerosa che sarà perfettamente a proprio agio con le conseguenze: una rinnovata e più energica polarizzazione, una nuova guerra "per la scienza" da combattere. Che non servirà a niente né a chi ha perso il lavoro, né a chi ha perso i fondi, specie se condotta sui media italiani. Ah e riguardo la fiducia pubblica verso le discipline scientifiche? Ma chi se ne frega...

E poi... in certi articoli c'è quel profumo caratteristico, quello delle rese dei conti interne dentro le grandi organizzazioni: chi diavolo è costui, ora Acting Director, che è stato sempre nell'ultima fila? Nell'ultima fila forse perché tu e tuoi cronies hanno fatto di tutto per farlo restare lì? Come diceva uno a pensar male... Potrebbe essere davvero l'ultima ruota del carro, ma se scrivi che i colleghi hanno cercato come si pronunciava il suo cognome (italiano), bimbo... hai perso un'ottima occasione per apparire inclusivo. Per essere chiari questo non ha nulla a che fare con la ricerca scientifica: sono giochi di potere e le reazioni di chi il potere lo perde.

https://www.washingtonpost.com/science/2025/03/05/nih-trump-turmoil-grants/

 

PS: Voglio ricordare che a un certo punto qualcuno ha capito che forse si era spinto un po' troppo in là e considerata la sua posizione stava facendo più danni che altro alla causa che voleva appoggiare. Perché certo, nessuno ti vieta di avere opinioni personali anche forti, ma se sei in una certa posizione e le esprimi pare che tu le stia esprimendo in quanto editor in chief di una famosa rivista (un tempo) scientifica. E dare degli idioti ignoranti a chi vota chi non ti piace non è il miglior modo per ristabilire  fiducia.

ADDENDUM: Mi sono visto un'ora e mezzo di Stand Up For Science a Washington su Reuters... una carrellata di luoghi comuni e congressmen dem, con qualche centinaio di persone, e non le migliaia che qualcuno diceva (a Parigi migliaia, ma quel che succede a Parigi al riguardo non conta un beep). Se il messaggio voleva essere "La scienza è una cosa dem" è passato alla perfezione, alla faccia di quelli che la pensano come Marcia Mutt. E non sarà senza conseguenze.

lunedì 3 marzo 2025

DUE ANNI PIUTTOSTO INFAMI

https://www.fiercebiotech.com/biotech/big-pharma-layoff-rounds-jump-281-24-while-total-biopharma-staff-cuts-similar-23

Faccio presente che 15 anni fa i numeri furono circa il quadruplo, ma anche a questo giro non si è scherzato. Qua si parla di circa 50.000 posizioni evaporate in due anni e da certe angolazioni se ne rilevano chiaramente le conseguenze: per una posizione da senior chemist possono arrivare tipo 150 curricula, tra cui ci saranno pure profili director level. Come 15 anni fa.

Quindi scusate se mi limito a solidalizzare caldamente con quanti a causa dei tagli di Trump sono saltati e salteranno nella ricerca pubblica USA (e non solo nella ricerca) , ma non intendo stracciarmi le vesti per l' "attacco contro la scienza": la maggior parte di quei circa 50.000 che hanno perso il lavoro negli ultimi due anni sulla busta paga alla voce "posizione" aveva scritto "scientist" e i media, Nature compreso, non se ne sono curati. 

I numeri sono scoraggianti. Dopotutto, i licenziamenti nel settore biofarmaceutico continuano a verificarsi a un ritmo tale da giustificare un monitoraggio. Ma cosa indicano i tassi di riduzione della forza lavoro e il possibile plateau sullo stato del mercato?

I tagli sono probabilmente un indicatore ritardato della salute del mercato, ha detto il CEO di Roivant, Matt Gline, a Fierce Biotech... La volatilità è diventata la norma del settore.

"indicatore ritardato" significa che i tagli di oggi raccontano un cattivo stato di salute di ieri l'altro. "Volatilità" è un concetto finanziario. Un'industria volatile non può davvero stare in piedi, a meno che non si parli di industria di basso contenuto tecnologico con diritti dei lavoratori stile XIX secolo. Un'industria volatile delle life sciences avrebbe bisogno di un vasto bacino di lavoratori con un basso tasso di occupazione, al che formerebbe in continuo mente d'opera che resterebbe in azienda due anni se va bene: spreco di risorse e accumulazione di know how pressoché nulla. Perché il know how non può essere assorbito in un sistema corporate, il know how cammina sulle gambe di chi nell'azienda ci lavora. Non che la cosa non si sappia, è quel che sta dietro l'accento sulla acquisizione di talenti, che chiaramente tende a sparire in tempi di vacche magre. L'ho già visto succedere e come 25 anni fa tagli e licenziamenti non sono una soluzione al patent cliff. Del resto chi, compos mentis, può pensare che un'industria che vive di ricerca e sviluppo possa superare una crisi da mancanza di nuovi prodotti con meno ricerca e sviluppo?

Poi a questo giro l'amministrazione Trump sta massacrando i finanziamenti alla ricerca di base, che è quella pubblica e accademica, Questo significa che la già risicata intersezione tra l'insieme dei lavori rilevanti e quello dei lavori riproducibili, cioè quello che serve come punto di partenza allo sviluppo farmaceutico, sarà largamente ridotta. Pare che per qualunque parte politica di qualunque orientamento da anni e anni sia impossibile distinguere tra il bambino e l'acqua sporca.

Se penso alla colossale quantità di denaro incassata nel biennio 2020-2022 da certe aziende - ed era anche denaro pubblico, Pfizer, per fare un nome - sono portato a ribadire che questa industria sia davvero un giocattolo della finanza: quando si incassa si distribuiscono dividendi, quando il mercato va giù pagano i lavoratori perdendo il posto e spesso i dividendi vengono distribuiti lo stesso. Oggi chi è nuovo a questo circo si straccia le vesti, come se loro fossero la luce del mondo ingiustamente attaccata:

 

https://www.nature.com/articles/d41586-025-00660-9

Certo, loro sono la luce del mondo, intoccabile, e i 50.000 di cui sopra erano roba che poteva essere giustamente scaricata nel cesso. Luce del mondo o no continuano comunque d avere la mia solidarietà, perché quando si tratta di licenziamenti si deve stare da unica parte, quella di chi perde il lavoro. Ma ormai è una parte quasi deserta (verrebbe da dire "dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Iddio").

 

 

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...