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martedì 4 giugno 2024

MASSIMO CARLOTTO: TRUDY

Ho apprezzato Massimo Carlotto fin dall'inizio e quando la RAI ha prodotto la serie L'Alligatore non mi sono stupito nel rilevare che Il mistero di Mangiabarche non fosse incluso: poco gentile nei confronti dei cugini d'oltralpe inserire un romanzo incentrato sulla guerra sporca dei servizi francesi contro gli indipendentisti corsi. Del resto dalla serie è sparito anche ogni riferimento agli anni di piombo. Trudy è appena uscito ed è tante cose. Uno squarcio sul mondo della sicurezza privata e dei contractors, costruito su agganci alle vicende internazionali recenti e in corso. Il riferimento alla Legione Internazionale di Difesa dell'Ucraina è preciso e si parla esplicitamente di contractors, cioè mercenari (pagati da chi? Chssà...). Uno squarcio sul mondo dei fondi neri della politica e dei politici che li accumulano.

Uno sguardo sulla strumentalità di certo giornalismo, sempre pronto a far girare le informazioni "giuste" (giuste per chi? Si sa).

Una storia di solidarietà tra donne, in cui la moglie del commercialista specializzato in fondi neri finisce per lavorare assieme a quella del sindacalista di base quasi ammazzato di botte in un'aggressione commissionata dal padrone (cinese).  E' una storia violenta e di violenze, in cui i personaggi femminili sono perlopiù vittime, ma in certi casi aguzzini (l'ex dirigente della Polizia Penitenziaria, finita fuori per violenza ingiustificata nei confronti di un detenuto)

Citazione notevole, al riguardo: 

Moira allungò la mano e le accarezzo il viso. "Qui non ci limitiamo a leccarci le ferite, impariamo a diventare ingovernabili, ad appiccare il fuoco"

Ma sopratutto Trudy è un noir che cresce lentamente fino a deflagrare e si fa leggere tutto d'un fiato perché non si riesce a staccare l'occhio dalla pagina. 

Credo che certe parole dell'epilogo escano dalla fiction per costituire invece una riflessione sull'attualità:

Certe battaglie vanno combattute nel tempo, quando il nemico è così potente e così corrotto. La lotta tra bene e male nella modernità non ha più eroi da esibire.

mercoledì 1 maggio 2024

IL "PENSIERO UNICO" (RIDEFINITO) E LA CRITICA

Sono arrivato a pensare che la continua polemica del "sapere scientifico" contro le discipline umanistiche (Gentileeee! Croceeeeee!) sia dovuta al semplice fatto che quello che oggi è definito "scienza" non ha al suo interno strumenti critici stabili (cfr Kuhn , la "scienza normale"), mentre la filosofia contiene sia strumenti autocritici che strumenti di critica verso la conoscenza scientifica. In tempi in cui l'interpretazione "scientifica" si sovrappone alle linee di azione politica, fondandole (più o meno realmente), è abbastanza evidente che la critica a tale azione sia vista con malanimo e osteggiata, spesso avversata come "antiscientifica" o "falsa", essendo la "verità" propria della "scienza".

Girando per la rete e i media italiani l'espressione "pensiero unico" è frequente, usata sia da chi ne denuncia l'esistenza e l'azione sia da chi ironizza sui primi, obiettando che la presenza sui media di opinioni non allineate dimostra che il pensiero unico non esiste. E qui c'è l'evidenza di come il linguaggio possa distorcere le basi della dialettica. Probabilmente parlare di linguaggi prevalenti sarebbe più appropriato. E parlare di pensiero a una dimensione sarebbe stato più efficace. L'espressione è derivata da Herbert Marcuse, ovviamente. Ed è incredibile come il suo L'uomo a una dimensione risulti oggi attuale, fin dal titolo della sua introduzione, La paralisi della critica: la società senza opposizione:

In queste circostanze i nostri mezzi di comunicazione trovano poche difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni ed aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la personificazione stessa della ragione.

E questo continua ad essere vero, oggi, quando il vantaggio materiale il più delle volte è venuto meno. I nostri anni sono estremamente diversi da quelli dello sviluppo successivo alla seconda guerra mondiale. Ma gli uomini ragionevoli di cui parla Marcuse sono oggi come ieri i vettori del pensiero a una dimensione, nonostante l'inflazione, nonostante la disoccupazione. Nei nostri tempi di politiche buone a priori, qualsiasi siano i loro risultati, anche gli  uomini ragionevoli sono ragionevoli a priori, perché così è giusto.

Oggi è abbastanza evidente che il monopolio sulla comunicazione dei grandi media tradizionali è venuto meno con l'avvento dei social media. Ma la perdita del monopolio non ha significato una marginalizzazione del messaggio ragionevole, che in buona parte ha trovato casa anche sui nuovi media. Quindi se "pensiero unico" è un'arma spuntata, la fenomenologia a cui vuole riferirsi è reale e presente. Il pensiero a una dimensione è quello che definisce gli uomini ragionevoli, come il fronte del delirio è definito dai suoi articoli di fede. Ma il fronte del delirio non esprime una critica alla società a una dimensione, esprime unicamente un rifiuto legittimo, ma argomentato su tesi più che irrazionali - deliranti, appunto. Per mutuare da Prigogine (La fine delle certezze), si tratta di due visioni del mondo alienate e alienanti, simmetriche (in Prigogine le due visioni sono "tutto può essere predetto"/"niente può essere predetto"). 

Il ristretto spazio della critica, omologato dal pensiero a una dimensione al fronte del delirio, fa fatica a non cadere nell'uno o nell'altro polo di questo conflitto. A costo di essere noioso, questo deriva dal farsi catturare dal metodo dell'avversario, che fonda le sue politiche su "scienza". Si dovrebbe interiorizzare il fatto che le politiche emergenziali siano in sé pesantemente distorsive del processo democratico, che le loro basi scientifiche siano solide o no (cfr Carlo Galli, Democrazia ultimo atto?), e mettere lì l'accento. Troppo spesso invece nella dialettica politica si è voluto mirare alla "scienza" dell'avversario, per confutarla con altra "scienza" di pari infondatezza. Non a caso Metafisica Concreta di Massimo Cacciari inizia con una citazione giovannea, "Noi adoriamo ciò che sappiamo". E' l'incipit programmatico di un libro meritevole di attenzione, in cui l'operare scientifico è uno dei leit motiv. Ma la pietra d'angolo costituita da quell'incipit può saltare in aria se si innesca un aforisma nietzchano:

 «La conoscenza per amore della conoscenza » - è questo l'ultimo
tranello che ci tende la morale: è così che ancora una volta ci si coinvolge completamente in lei
.

La battaglia per "la verità scientifica" dei postulati dell'azione politica è futile perché sterile e la sua sterilità è stata ampiamente dimostrata . Nella migliore delle ipotesi lo studio (seriamente) scientifico "divergente" su cui qualcuno voglia fondare l'opposizione politica verrà tacciato dai ragionevoli e dalle politiche ragionevoli di ascientificità e di cialtroneria. La vicenda Ionnadis, su tutte, dovrebbe essere ricordata, al proposito.

Quindi non cadere nel tranello è l'unica via per la costruzione di una vera opposizione, politica e sociale.


mercoledì 24 aprile 2024

PER IL 25 APRILE

 

Sergio Solmi

Grazie sien rese ai ciechi

iddii ridenti, che il poeta trassero

di morte e dalla nera muda al gaio

giorno del camerone dove cantano

i giovinetti partigiani.

Aprile

dolce dormire, s’anche aspra s’ingorga

nelle bocche di lupo la sirena,

passa la conta, o sparano i tedeschi

sulle mura. Reclino

sul gomito piegato il mallo vergine

della capigliatura, dentro il sonno

fiducioso calati come in grembo

della madre al lontano

tempo dell’altra vita, oggi vi guardo,

miei quasi figli, fatti miei fratelli

da antica giovinezza che m’ha gonfio

il cuore all’improvviso, poi che il raggio

di miele della primavera cola

tra le sbarre, sull’impiantito stampa

riquadri luminosi, ed alle nostre

gracili vite a oscuro esito offerte

misura a lento passo eguale giorno.

domenica 5 novembre 2023

SCRIVERE DI SCIENZA?

https://archive.org/details/lescienze-160/mode/2up?view=theater

(La rete ha memoria, ma certe cose vanno riproposte a cadenze regolari)

C'era una volta "Le Scienze". Ci tenevano rubriche Douglas Hofstadter, che mi iniziò a feedback e ricorsività, e Martin Gardner, allora. E se scorrete le pagine di questo numero del 1981 vi renderete conto di quanto la proposta editoriale dei tempi fosse radicalmente diversa da quella odierna - indipendemente da considerazioni sullo spessore degli autori specie dell'edizione italiana, che sarebbero pure doverose... 

Ecco, se si parla di "scrivere di scienze" a me viene in mente uno standard delineato da Scientific American e New Scientist fino a tutti gli anni 80. Quanto a trattare argomenti scientifici d'attualità nel dibattito pubblico non posso non ricordare il magistrale classico di Robert May e Roy Anderson The Logic Of Vaccination (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/la-logica-della-vaccinazione-1982-uk.html). Un classico che segna l'abisso tra il livello e la qualità con cui allora vennero trattati questi temi e quello che perlopiù oggi si chiama "divulgazione" o science writing : nessuno specie in Italia negli ultimi cinque anni ha voluto né saputo trattare il tema "vaccinazioni" in questo modo, anzi, cinque anni fa, quando qualcuno ripropose questo testo, venne perlopiù tacciato di eresia (dai più imbecilli fu classificato come materiale obsoleto). Il fatto è che May e Anderson conoscevano e capivano bene la materia, perché ci lavoravano assieme da qualche anno. Lo science writer tricolore degli ultimi anni non solo non aveva una specifica conoscenza al riguardo, ma neanche gli strumenti concettuali per comprendere il tema, quindi si affidava ad una "comunità medica" che al riguardo, purtroppo, era altrettanto incompetente. E il risultato si è visto negli anni, dai tempi del furioso dibattito su morbillo e obbligo vaccinale fino agli ultimi due anni quando l'unico vocabolo ammesso è stato "esponenziale", che la curva flettesse o che calasse. E ogni increspatura della linea di fondo diventava l'inizio di un nuovo picco epidemico.

Ma torniamo allo "scrivere di scienze". Se leggo alcuni titoli suggeriti da Nature (https://www.nature.com/articles/d41586-022-04236-9?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=71486d0211-briefing-dy-20221202&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-71486d0211-44112225) non vedo niente che mi interessi (pandemie e clima sono questioni politiche, la scienza non c'entra niente), ma mi appaiono  significativi: seguono il mercato. Ma è a questo che ci si riferisce mediamente in Italia quando si parla di alfabetizzazione scientifica: educazione ai temi (e alla loro vulgata corrente), non educazione al metodo - nonostante la vasta platea di scientificamente incompetenti che "diffondono scienza" si riempiano la bocca di "metodo scientifico". Educare al metodo significa in primis educare alla pratica, e spiace dirlo, in tante scuole superiori il laboratorio di scienze era un relitto del passato in disuso già negli anni 80 dello scorso secolo.

Quando chi scrive di scienze viene dalla pratica scientifica di solito la cosa si capisce, o almeno io la percepisco bene. Un caso emblematico è "L'universo a raggi X" di Giacconi. Ma trovai anche affascinanti le doti di scrittura di Lisa Randall. Dimenticate per un attimo il contesto del suo "Passaggi Curvi" (2006), cioè le fazioni pro e contro teoria delle stringhe, gravità quantistica e tutto il resto. E dimenticate assolutamente il marketing del libro ("La Randall ha aperto le porte del multiverso"). Fu in primis un brillantissimo tentativo di scrivere la storia della fisica recente senza mezza equazione ma minimizzando la perdita di informazioni, e per me si trattò di un tentativo riuscito ( secondo altri , che poi si sono trovati perfettamente a loro agio con "Cinque Lezioni di Fisica" di Carlo Rovelli, il testo della Randall è molto difficile).

Il successivo "Bussando alle porte del cielo" (2012) uscì quasi in contemporanea con il rilevamento del bosone di Higgs a LHC. Il che costrinse l'autrice a scrivere una lunga in prefazione e una più lunga introduzione. Scrivere libri sulla fisica, contemporanea e in prospettiva storica in quel periodo era un lavoro estremamente rischioso. Forse anche per questo all'epoca il testo della Randall lì per lì mi deluse. A distanza di più di 10 anni lo ho riaperto e lo ho trovato significativo per più di un aspetto. 

Primo, il ribadire il ruolo che le leggi fisiche hanno, o non hanno, a seconda della scala su cui il fenomeno si verifica, tutt'altro che comune nella divulgazione scientifica, specie in Italia (trattai brevemente la cosa qua: https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2021/10/chimica-gravita-posizione-del-sole.html ). Se si è perso il conto di quelli che si sono lanciati contro la meccanica quantistica tirata fuori a sproposito, dall'altra parte con balestre tese e compagnia bella si è caduti esattamente nello stesso schema, tirando in ballo Einstein dove la relatività non ha alcun ruolo significativo (i fenomeni descritti da meccanica e termodinamica classica). 

Secondo, il racconto dei rapporti dell'autrice con interlocutori al di fuori dal "mestiere della scienze": sceneggiatori, giornalisti, politici. Ed è qualcosa che ci ricorda che in USA certi fenomeni iniziano con una decina di anni di anticipo rispetto all'Italia (la difficoltà del rapporto con il "grande pubblico", che di solito recepisce le conoscenze scientifiche in modo malamente distorto) .

Terzo: l'attenzione alla parte sperimentale, dalla costruzione di LHC e degli esperimenti fino al problema dei dati e come trattarli.

Quarto: il piglio di chi con l'evidenza sperimentale si è misurato, rispettandola. E qua non posso non citare:

Fare previsioni precise e affidabili è un'impresa difficile. Anche quando ci si adopera per il meglio, per modellizzare tutto ciò che è importante, le variabili in ingresso e le ipotesi introdotte in un certo modello influenzano significativamente le conclusioni. Così la previsione di un rischio basso non ha senso se le incertezze associate alle ipotesi iniziali sono maggiori del valore di rischio calcolato. Se una previsione deve avere un qualche significato è importante che il problema delle incertezze introdotte nel calcolo sia pesato accuratamente e debitamente tenuto in conto.

Prima di passare ad altri esempi, lasciatemi raccontare un piccolo aneddoto che aiuta a inquadrare il problema. All'inizio della mia carriera di ricercatrice osservai che il Modello Standard, per una certa grandezza che si intendeva studiare, aveva un campo di valori più esteso di quanto si pensasse precedentemente: ciò era dovuto a un contributo quantistico, la cui entità dipendeva dal valore sorprendentemente alto della massa del quark top, come risultava da recenti misure. Quando in un convegno presentai i miei risultati mi si chiese di tracciare l'andamento dei nuovi dati previsionali in funzione della massa attribuibile al quark top. Mi rifiutai, perché sapevo che si sarebbero dovuti mettere in conto diversi contributi e che le incertezze residue comportavano una variabilità del risultato troppo ampia perché si potesse tracciare una tale curva, come mi era stato richiesto. Avvenne tuttavia che un collega "esperto" sottostimasse le incertezze e tracciasse un grafico del genere (non diversamente avviene nelle previsioni in ambito non fisico).

Il collega "esperto" fu smentito a breve dalle evidenze sperimentali e si esibì in un pattern comportamentale che non vi dovrebbe essere ignoto: avevo torto ma avevo ragione (e lei aveva ragione ma aveva torto). Quanto al "non diversamente avviene nelle previsioni in ambito non fisico"... beh, inutile rivangare le vicende di due anni di pandemia, dai modelli ai farmaci.

Trovo questo passo vecchio di 11 anni o giù di lì di un'attualità spaventosa. Sorvoliamo sulla differenza di peso specifico tra chi scrive di scienza per sentito dire e chi lo fa sulla base di competenza e esperienza. E' anche una questione di attitudine: nel breve periodo il rispetto dei dati non premia, il trattarli con nonchalance sì (cfr, ancora, due anni di pandemia). Qualcuno dovrebbe aver imparato, pure nel vasto caos del web e dei social media, a distinguere tra gli uni e gli altri, in tutte e due le categorie (hands on experience e sua assenza inclusa, intendo). Poi guardate a chi scrive di scienza sui social (o su Le Scienze oggi) e traetene le debite conclusioni, perché sarebbe anche ora.






giovedì 21 settembre 2023

LONTANO DALL'EQUILIBRIO, DA 2.500 ANNI

Ignis mutat res, il fuoco trasforma la materia. Il fuoco porta a reazioni chimiche, a processi come fusione e evaporazione. Il fuoco fa esplodere il carburante e rilascia calore. Da tutte queste comuni cognizioni del XIX secolo la scienza ricavò il singolo fatto che la combustione produce calore e che il calore può produrre aumento di volume; e come risultato finale la combustione produce lavoro. Il fuoco porta quindi a una nuova macchina, la macchina termica, l'innovazione tecnologica su cui è stata fondata la società industriale.

Quale è il nesso tra "calore" e "lavoro"? Questa domanda fu all'origine della formulazione del principio di conservazione dell'energia. Il calore ha la stessa natura dell'energia, il calore è trasformato in lavoro ma l'energia è conservata. Ma c'era di più.

Nel 1811 il barone Joseph Fourier, prefetto di Isere (quello della trasformata, NdCS), vinse la medaglia dell'Accademia Francese delle Scienze per la sua descrizione matematica della propagazione del calore nei solidi. Il risultato formulato da Fourier era sorprendentemente semplice ed elegante: il flusso di calore è proporzionale al gradiente di temperatura. E' degno di nota che questa semplice legge si applichi alla materia qualunque sia il suo stato, solido, liquido o gassoso. Inoltre rimane valido qualsiasi sia la composizione chimica del materiale, sia esso ferro o oro. E' soltanto il coefficiente di proporzionalità tra flusso di calore e gradiente di temperatura che è specifico di ogni sostanza. La legge di Fourier fu la prima a descrivere un processo irreversibile. C'è una direzione privilegiata del tempo quando il calore fluisce secondo la legge di Fourier, dalle alte alle basse temperature. Questo è in contrasto con le leggi della dinamica newtoniana in cui passato e futuro hanno lo stesso ruolo (il tempo entra nella legge di Newton solo tramite derivate seconde, quindi la legge di Newton è invariante rispetto alla inversione del tempo t -t). E' la seconda legge della termodinamica che esprime la differenza tra processi "reversibili" e irreversibili attraverso l'introduzione dell'entropia. I processi irreversibili producono entropia.

La storia dei due principi della termodinamica è estremamente curiosa. Nati nel mezzo di questioni tecnologiche acquisirono rapidamente uno status cosmologico.
 

Infatti se esponiamo i principi come formulati da Rudolf Clausius (1822-1888) in the year 1865:


"L'energia dell'universo è costante"

"L'entropia dell'universo procede verso un massimo".


Fu la prima formulazione cosmologica  evoluzionistica. 

Fu una dichiarazione rivoluzionaria perché asserire l'esistenza dei processi irreversibili (e quindi dell'entropia) confligge con la visione della dinamica, reversibile rispetto al tempo. Certo, la dinamica classica è stata superata da meccanica quantistica e relatività. Ma il conflitto rimane perché sia nella meccanica quantistica che nella relatività le leggi dinamiche di base sono reversibili rispetto al tempo.
La risposta tradizionale a questo punto è l'enfatizzare il fatto che i sistemi considerati dalla termodinamica sono così complessi (contengono un numero immenso di particelle) che siamo obbligati ad introdurre approssimazioni. La seconda legge della termodinamica avrebbe la sua radice nelle approssimazioni! Alcuni autori si spingono a sostenere che l'entropia è solo un'espressione della nostra ignoranza.

Di nuovo la recente estensione della termodinamica a situazioni lontane dall'equilibrio è essenziiale. I processi irreversibili portano a nuove strutture spazio-tempo. Giocano un ruolo costruttivo fondamentale. Nessuna vita sarebbe possibile senza processi irreversibili. Sembra assurdo suggerire che la vita sia il frutto delle nostre approssimazioni! Quindi non possiamo negare la realtà dell'entropia, l'autentica essenza della freccia del tempo in natura. Siamo i figli dell'evoluzione, non i suoi progenitori.
Domande inerenti la relazione tra entropia e dinamica hanno ricevuto una grande attenzione recentemente ma sono tutto tranne che semplici. Non tutti i processi dinamici richiedono il concetto di entropia. Il moto della terra attorno al sole è un esempio in cui l'irreversibilità (dovuta all'attrito delle maree, per esempio) può essere ignorata e il moto può essere descritto da equazioni simmetriche rispetto al tempo. Ma recenti sviluppi nella dinamica nonlineare hanno mostrato che tali sistemi sono eccezioni. La maggior parte dei sistemi esibisce un comportamento irreversibile e caotico.

(D. Kondepudi, I. Prigogine, 2014)

Già, la maggioranza dei sistemi esibisce un comportamento irrevesibile, caotico (che non vuol dire casuale o confuso https://ilchimicoscettico.blogspot.com/search/label/Caos ). Ma questo semplice assunto sembra sfuggire ai più, specialmente tra quanti oggi come oggi vengono definiti "scienza" o "comunità scientifica". E così abbiamo sentito parlare di crescita lineare di casi di morbillo nel 2017 e di "esponenziali" COVID nel 2020 (in fondo un esponenziale in scala logaritmica è una retta) - e ancora si continua.

Il che mi fa citare per l'ennesima volta Lord Robert May con le sue parole del 1989:
"Il messaggio che mi parve urgente più di dieci anni fa è ancor più vero oggi: non solo nella ricerca biologica ma anche nel quotidiano di politica ed economia le cose sarebbero molto migliori se si comprendesse che semplici sistemi nonlineari non possiedono necessariamente proprietà dinamiche semplici"
 
Ma niente da fare: per quanto il messaggio fosse urgente nel 1979 e nel 1989 e ancora più urgente nel 2023 continua ad essere fondamentalmente ignorato. E sembra una cosa profondamente connaturata nella maggioranza degli esseri umani, da tempi immemorabili.
 
Solo rileggendolo ho notato il sapore eracliteo dell'incipit del brano di Kondepudi e Prigogine. Ma in fondo Eraclito ci ha dato la prima formulazione della freccia del tempo a suo modo, mentre gli eleatici ritenerro il tempo illusorio. E non solo. Se siamo debitori di un gallo ad Asclepio e dell'entropia a Carnot ( https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2022/11/entropia-in-uk-e-imparare-ad-essere.html), a Eraclito dobbiamo anche il λόγος. Eppure cosa scriveva ai suoi tempi?
E' bene riportare una delle note di France Fronterotta, curatore di questa edizione dei Frammenti:

Il verbo φρονέυω significa in generale «riflettere», «ragionare» o anche «pensare», ma in questo caso sembra alludere piuttosto a un processo di comprensione o di consapevolezza, che i più non riescono
a porre in atto, rivolto a oggetti e fenomeni dell’esperienza ordinaria e quotidiana, verosimilmente proprio quelli che invece essi avrebbero la capacità di comprendere se, come indica il fr. 1 [1 DK; 1 Marc.], prestassero attenzione all’ascolto e all’insegnamento del «ragionamento», che appunto rivela «ogni cosa in base alla sua natura e dicendo com’è»

No, non è possibile immergersi due volte nello stesso fiume, eppure da 2.500 anni ci si continua a scordare di questa semplice evidenza. Questo frammento eracliteo, come altri, proviene dagli Stromata di Clemente Alessandrino e questa provenienza non è che l'ennesimo segno della forza intelletuale dei padri alessandrini, che ebbero a scontrarsi con sette dualiste più o meno cristianeggianti. Queste sette predicavano l'inferiorità ontologica di buona parte degli esseri umani rispetto agli πνευµατικοi, gli spirituali (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2021/01/divagazioni-antiche-tardo-antiche-etc.html). Il che a ben vedere, mutatis mutandis, è una delle ideologie più diffuse in questo secolo: le istanze tese a privare di diritti costituzionali i non conformi le abbiamo ben viste e l'infinita invettiva contro gli analfabeti funzionali o di ritorno da parte quelli che "leggono" o "hanno studiato". Ma nel frammento eracliteo non si parla di lettura o studio: φρονέυω, appunto, che è tutta un'altra cosa.

martedì 19 settembre 2023

LEGGITI KUHN... (3/3)

Ma in fondo il grande pregio di Kuhn è stato quello di portare la sociologia nella filosofia e nella storia della scienza. Perché troppi, compreso la politica, hanno messo "la scienza" ad un livello superiore (magari perché gli faceva molto comodo, vedere gestione italiana della pandemia). Ma dinamiche umane governano i fenomeni umani e "la scienza" è un fenomeno umano, pure troppo.

Le puntate precedenti:

https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2023/09/leggiti-kuhn-2x-by-starbuck.html

https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2023/09/leggiti-kuhn-1-di-x.html

domenica 17 settembre 2023

LEGGITI KUHN 2/3 - BY STARBUCK

“La verità emerge più facilmente dall’errore che dalla confusione”
Gli ultimi tre confronti che ho avuto su “la strutura delle rivoluzioni scientifiche” e su Kuhn in generale,
evidenziamo come secondo me l’autore avesse colto bene alcuni aspetti del funzionamento dell’odierno
mondo scientifico. Sottolineavo – e rielaboravo – che per come la osservo e la vivo io, nella “comuntità
scientifica” (o meglio, nelle tante piccolo sotto-comunità scientifiche) si tende a spolpare l’osso della
ricerca principale senza aggiungere nulla di veramente significativo: se si hanno idee divergenti o i conti
non tornano meglio in caso tacere (quantomeno fino ad avere il prossimo postdoc-barra-progetto in
mano). Curioso però come i miei interlocutori mi chiedessero se coglievo l’aspetto di influenza della
società nelle rivoluzioni scientifiche.
Il libro in questione può essere letto in molti modi. La prima e andarci in mezzo in maniera spontanea.
La seconda è chiedersi chi era Kuhn e notare a questo punto che ha coperto due distinte cattedre: di
Storia della Scienza e di Filosofia della Scienza. La terza (e qui siamo già un passo avanti)
contestualizzare in che dibattito si situava Kuhn: Popper, Lakatos, Feyenman. Ho un simpatico libro
(curato da Giorello) che raccoglie gli atti di un congresso dove facevano allegramente a sportellate. Su
cose tipo “esiste una storia della scienza” o c’è solo una “filosofia della scienza”. Si perché dalla
cattedra in epistemiologia di Mach passando dal circolo di Vienna, bisognerebbe un attimo gettare uno
sguardo su tutto il dibattito che si sviluppava a inizio secolo sulla epistemiologia. Ora io non entro in
dettagli (perché sarebbero discussioni e le discussioni preferisco affrontarle in flesh and bone e non in
versione virtuale) però Kuhn va letto nel contesto di questo dibattito. Leggerlo dal punto di vista di
quello che erano le scoperte che si agitavano attorno agli anni 60, secondo me è forzato, così come la
prospettiva delle “rivoluzioni scientifiche” è di prospettiva più lunga, molto più lunga di un secolo.

E l’aspetto sociale. Perché se lo chiedete a uno che di mestiere fa qualcosa-di-filosofico, la domanda
sarà sul peso che Kuhn dà all’influenza della società e al contesto sociale sull’avvenire della
rivoluzione. “Leggiti Lakatos” mi dirà uno, “è più equilibrato, una posizione intermedia tra lui e
Popper”. E al di là che poi a uno piaccia o meno Lakatos, riconosco che Kuhn va anche situato (forse
primariamente contestualizzato) nel dibattito filosofico sulle scienze del suo periodo ( ... e dovrei mettere filosofico tra virgolette perché ad un certo punto della storia si giunge a fare il funerale alla filosofia ).
Insomma, difficile capirlo fino in fondo senza essere passati da Popper e da un po’ di epistemiologia del
periodo.
Quindi il mio “leggiti Kuhn”, è stato seguito poi da qualche scambio sul tema ed un “ma guarda  CS che
bisogna che te lo leggi contestualizzato nel suo terreno” da parte mia, perché altrimenti si rischia
comunque di ridurre un tema complesso, e questa che avete tra le mani è una risposta un po’ più
estesa riuardo a come secondo me andrebbe letto Kuhn (o almeno la via da percorrere per chi ne avesse tempo e mezzi). Ah, dimenticavo: Kuhn è un piacione, scrive bene e vi convince altrettanto, se vi addentrate nella lettura, tenetelo a mente.
Chiudo a cerchio sulla citazione iniziale, che si ritrova anche ne “ la struttura delle Rivoluzioni
Scientiticihe” di Kuhn, e che è di Francesco Bacone da Novum Organum. Se avete presente la Royal
Society, sappiate che l'opera di Francesco Bacone è una influenza massiccia nella sua genesi, ed è il metodo di Bacone quello che Boyle recupera come fondante della famosa società. Uno di quelli che vengono dalla filosofia mi faceva notare che “il puparo” (Boyle, affettuosamente appellato “il puparo della Royal Society”, N.d.A.) “recupera Bacone e il Novum Organum, ma solo la prima parte, quella che gli serviva... leggiti la seconda parte e poi ne riparliamo”. Ovviamente sto leggendo.​ 

NdCS: Il primo post è qua https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2023/09/leggiti-kuhn-1-di-x.html

giovedì 22 giugno 2023

HUAXUE JIA, ALCHIMISTA DI CORTE

Il nuovo giovane Imperatore chiamò numerosi virologi, infettivologi, epidemiologi, parassitologi, veterinari, chiedendo loro di scrivere una storia della pandemia, provocata dal virus SARS-Cov-2 che aveva sconvolto negli ultimi anni l’Impero, e degli insegnamenti che ne avevano tratto.
Dopo trent’anni gli eminenti scienzati si presentarono a palazzo con 500 volumi portati da dodici buoi.
L’Imperatore, ormai cinquantenne, disse loro: “Non avrò mai tempo di leggere tutto, fatemi una versione ridotta”.
Dopo altri vent’anni gli scienzati si ripresentarono a palazzo, con volumi trasportati questa volta da soli tre buoi.
Ma l’Imperatore era ormai molto indebolito e disse: “Non ce la farò a leggere quei libri. Vi prego, mi dovete preparare una versione più corta”.
Dopo altri dieci anni gli scienzati tornarono, con i volumi portati sul dorso di un solo elefante.
Ma l’Imperatore, ormai quasi cieco e non più in grado di leggere, chiese una versione ancora più ridotta.
Dopo cinque anni gli eminenti scienziati si presentarono dall’Imperatore, ormai in punto di morte, con un solo volume.
“Dunque morirò senza aver saputo nulla della storia della pandemia e di cosa ci ha insegnato?” chiese sconsolato l’Imperatore.
Allora il monaco Huaxue Jia, alchimista di corte, che si trovava al capezzale dell’Imperatore, parlò.
“Altezza imperiale” disse Huaxue Jia, “in estrema sintesi, l’uomo nasce, soffre e infine muore. Di Covid-19 e di tante altre malattie”.
E in quell’istante l’Imperatore spirò.
 
ll monaco Gui Gou mi chiese se Huaxue Jia, monaco e alchimista di corte, dovesse figurare in una o in un'altra storia. Io scelsi questa, che è e resterà l'unica traccia di CS su carta stampata. Per chi si è perso le puntate precedenti, il libro è questo.




giovedì 20 aprile 2023

CHISSA'

 

 


 

Chi sa che pensa, chi sa che dice
Prete Appetito divoratrice!
Forse egli medita, nel nero core,
Qualche vendetta sterminatore!


Renato Fucini (https://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Fucini), pace all'animaccia sua, ha avuto la sfortuna di essere un immenso autore minore. Il prete  "un giorno incontrando per strada David Fucini gli aveva detto: “Lasciatemi andare, dottore, perché ho un appetito divoratrice”. Il medico fece notare l’errore al sacerdote, ma Don Loia, inviperito, sosteneva d’aver detto bene, per cui meritò di passare alla storia per questo epigramma fuciniano" (https://www.liominiboni.it/2020/10/04/renato-fucini-vinci-vinciaresi/).

Io di "preti appetito divoratrice" in cinque anni di isocial ne ho incrociati fin troppi. Il che dovrebbe dire qualcosa sulla fenomenologia nazionale: le bestiacce in carica non sono mai state un'eccezione. In questa prospettiva essere stato bersaglio di alcune vendette sterminatori (a vuoto) è stato anche divertente.

Ma alla fine, seguendo i versi dell'illustrissimo minore, certe contese si regolano meglio in rima. Lui di contese ne ebbe una con tal Milloschi, maestro di scherma. E invece che in punta di fioretto finì in un'ode al Milloschi, immaginato defunto in duello, con rime in aschi, uschi aschi, eschi, ischi, oschi:

A onta dei toschi 

E onor dei tedeschi

Io canto il Milloschi

In versi berneschi

Il corpo a rabeschi 

Finì del Milloschi

Più fieri i Tedeschi 

Rimirano i Toschi

Perché il prò Milloschi 

Faceva gli Etruschi

Nei moti più foschi, 

Nell'armi più bruschi

...

'Ndo giace il Milloschi

Ci fece il sor Ruschi

Piantare tre peschi

Dal prete Falaschi

Perciò quando caschi 

Del Ruschi nei boschi

Se vedi tre peschi

Dirai: C'è il Milloschi!


(E' una ricostruzione a memoria, sono lontano dal libro nella biblioteca di casa e il Fucini non ha fortuna nel web 2.5)

Qualcuno noterà qualche affinità del grande minore locale con il Giusti, quello di vostr'eccellenza che mi sta in cagnesco, nonché forse con Belli. Il Fucini non visse gli stessi periodi periodi storici né le stesse esperienze, però in larga parte condivideva lo spirito, l'attitudine dei due nomi citati, Con l'aggiunta muta, piangente disperazione di fronte al degrado e all'ignoranza comune tanto alle bestiacce in carica quanto a certe plebi abbrutite nei vichi sperduti.

mercoledì 29 marzo 2023

A PROPOSITO DI "STUDIA!" (E "LEGGERE LIBRI")

"Studia. Non farlo perché ti dicono che devi: fallo per te. Fallo per riuscire a leggere un post e capire davvero quello che dice" (https://www.donboscoborgo.it/se-vuoi-fregare-il-sistema-studia/). Sarebbe a dire che si deve studiare per comprendere un post su un social network? Cioè "studia, non essere un analfabeta funzionale"?

Questa sconcertante frase è di Enrico Galiano, insegnante e scrittore (https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Galiano), che nello stesso brano dice di essere figlio di venditori ambulanti, ma ha studiato e quindi...

Il punto è complesso e sfaccettato. Cominciamo da "Leggere libri". Benissimo. Quali?

La prima cosa che mi verrebbe in mente, così, di getto, è questa

 

E no, temo che non ci siano i libri di Hawking, per dirne uno. Leggere e cosa leggere non è materia neutra. Dietro al mio ricordo di Hesse c'è una considerazione generale. Quando si parla di leggere si parla di cultura, che come diceva qualcuno è quello che rimane quando si è scordato tutto il resto. E vengo da un tempo in cui perlopiù si riteneva che una cultura personale dovesse essere fondata sui classici. Cos'è un classico? Un'opera che non perde di valore e significato nel tempo, che nel passare dei decenni o dei secoli continua a trovare lettori e apprezzamento. Un classico riesce ad essere contemporaneo, anche se spesso con quel che è ritenuto contemporaneo ha ben poco a che fare.

Una delle caratteristiche dei tempi recenti è che la produzione di contenuti è proliferata all'inverosimile, grazie alle piattaforme digitali. E il 99,9% di questa produzione è destinata ad essere dimenticata in tempi molto veloci. In questa produzione di contenuti usa e getta è chiaro che la classicità ha un posto limitato, anzi, il rapporto con classicità diventa difficile (basta pensare alle recenti vicende di "riscrittura" o correzioni di classici, da Dahl a Agata Christie). Questa cultura dell'effimero è perfetta per la diffusione di ideologie parimenti usa e getta, e in questo quadro secondo me è da interpretare "Studia. Non farlo perché ti dicono che devi"., considerando dove va a parare. Da qualche anno ormai il "leggere" e lo "studiare" sono usati politicamente: ci sono "giusti" che "leggono" e "studiano" e che scagliano addosso all'avversario politico/ideologico lo stigma dell'ignoranza, dell'analfabetismo funzionale o del rossobrunismo etc etc. Ma la triste realtà che ho percepito in cinque anni di presenza social è che l'ignoranza è distribuita in modo equilibrato tra le due fazioni (e per l'intelligenza vale lo stesso).

Da cui quando si invita a leggere o studiare di solito si invita a leggere e studiare ciò che è "giusto", cioè quello che è funzionale al sistema di credenze di quanti, polemicamente, lanciano questi inviti. Quindi?

Quindi forse per "non farsi fregare" è meglio studiare Kant e leggere Dickens, Kafka, Melville, Joyce, Musil, Dostoevskij, Bianciardi, Anna Maria Ortese, Svevo. Ma qua casca l'asino, perché la formazione media dell'individuo medio non consente di capire Kant e rende difficile leggere anche Dickens. E anche per questo quando costoro si allargano alla "scienza" è mediamente un disastro, altro che criticare l'altrui comprensione del testo...

Quanto a Galliano, che come la maggioranza dei soggetti che pubblicano libri oggi ben difficilmente diventerà un classico, la parabola del figlio di ambulanti che ha studiato e quindi ce l'ha fatta è il classico caso di aneddotica ad hoc, per quanto sia comprensibile il suo personale orgoglio per "avercela fatta". In primo luogo perché di gente che ha studiato e non ce la fa ce ne è sempre stata tanta (e oggi più che mai), in secondo luogo perché questi argomenti vengono usati regolarmente per distogliere dallo sfascio del sistema scolastico italiano, che è quello che dovrebbe formare gli individui con le basi dell'istruzione, basi il cui livello è in caduta libera da una trentina di anni. Già, lemaledettebasi, queste sconosciute... 

Ricordatevi di chi si scandalizzò per l'Ecclesiaste, καιρὸς τοῦ περιλαβεῖν καὶ καιρὸς τοῦ μακρυνθῆναι ἀπὸ περιλήμψεως "un tempo per abbracciare, un tempo per astenersi dagli abbracci". Oggi il tempo per abbracciare è tornato da un bek po' e questa è una delle ragioni per cui l'Ecclesiaste è un classico mentre chi oggi chi scrivediscienza e allora si scandalizzava non lo sarà mai.



lunedì 5 settembre 2022

IL LIBRO DEL MONACO




"Quando appare, scompare"
Già.
Arriva l'edizione cartacea delle storie Zen del Monaco Gui Gou (la potete trovare su Amazon) e non solo tutto il resto è scomparso (le edizioni digitali), ma con l'uscita del libro sparirà anche il Monaco.
Perché Monaco e Storie sono strettamente legate a qualcosa, i tempi del COVID in Italia, che ci siamo lasciati alle spalle? Chissà.
Personalmente approvo la scelta della sola edizione cartacea, qualcosa controcorrente rispetto alla profonda vacuità del digitale social, incentrato su un infinito presente che tutto digerisce e tutto finisce per omologare .

Dei "113 e mezzo racconti Zen" ne recupero uno che mi sta a cuore più degli altri:

"Il nuovo giovane Imperatore chiamò numerosi virologi, infettivologi, epidemiologi, parassitologi, veterinari, chiedendo loro di scrivere una storia della pandemia, provocata dal virus SARS-Cov-2 che aveva sconvolto negli ultimi anni l’Impero, e degli insegnamenti che ne avevano tratto.
Dopo trent’anni gli eminenti scienzati si presentarono a palazzo con 500 volumi portati da dodici buoi.
L’Imperatore, ormai cinquantenne, disse loro: “Non avrò mai tempo di leggere tutto, fatemi una versione ridotta”.
Dopo altri vent’anni gli scienzati si ripresentarono a palazzo, con volumi trasportati questa volta da soli tre buoi.
Ma l’Imperatore era ormai molto indebolito e disse: “Non ce la farò a leggere quei libri. Vi prego, mi dovete preparare una versione più corta”.
Dopo altri dieci anni gli scienzati tornarono, con i volumi portati sul dorso di un solo elefante.
Ma l’Imperatore, ormai quasi cieco e non più in grado di leggere, chiese una versione ancora più ridotta.
Dopo cinque anni gli eminenti scienziati si presentarono dall’Imperatore, ormai in punto di morte, con un solo volume.
“Dunque morirò senza aver saputo nulla della storia della pandemia e di cosa ci ha insegnato?” chiese sconsolato l’Imperatore.
Allora il monaco Huaxue Jia, alchimista di corte, che si trovava al capezzale dell’Imperatore, parlò.
“Altezza imperiale” disse Huaxue Jia, “in estrema sintesi, l’uomo nasce, soffre e infine muore. Di Covid-19 e di tante altre malattie”.
E in quell’istante l’Imperatore spirò."

(Felice del fatto che l'alchimista di corte Huaxue Jia rimarrà l'unica traccia materiale, permanente, di CS)


sabato 7 maggio 2022

LOTTA DURA, L'UNICO "ALTRO" BUONO E' QUELLO MORTO

Nessuno pare ricordarsi che tra fine 60 e inizio 70 nel mondo dell'intrattenimento stampato ci fu un problema. Autori che iniziavano a proporre parabole e metafore sul potere e sulla situazione politica.
Sono cresciuto in quei tempi, in un clima culturale per cui in Italia la fantascienza era desinistra e la fantasy dedestra, e György Lukács con la sua concezione del romanzo come epopea borghese era un'autorità indiscussa. E si dovette aspettare l'edizione italiana di "La letteratura Fantastica" di Cvetan Todorov per osservare qualche cambiamento.
Ripescando tra vecchie letture alcune mi sono apparse oggi, a distanza di decenni, singolarmente attuali. Ne  propongo un paio così, senza un particolare ordine.
 
Hardfought (https://www.goodreads.com/book/show/8673948-hardfought), tradotto in italiano "Lotta Dura", fu inserito nel filone "cyberpunk". Ma alla fin fine era un prodotto della tarda guerra fredda (un precedente l'immenso e diversissimo "I reietti dell'altro pianeta" della grandissima Ursula K LeGuin https://it.wikipedia.org/wiki/I_reietti_dell%27altro_pianeta).
Il tema era la guerra con l' "Altro", la comprensione dell' "Altro", il tentativo di mediazione con l' "Altro", nel contesto di un conflitto insanabile proprio perché conflitto con l' "Altro".
Nella fiction noi=bene altro=male ha una lunghissima storia, fin dalle origini della civilta' occidentale. Molti meno, a cominciare dall'Iliade hanno prestato attenzione all' "altro", ma il discorso sarebbe ben troppo lungo.
"The Nebula award-winning short story by master SF writer Greg Bear. Humans are engaged in a long war against an advanced alien race, the Senexi, but the possibility for peace may exist thanks to a young girl who learns the enemy's larger role and humanity's opportunity to evolve. "
E' quel che si trova in giro a descrizione del romanzo. Ma in realtà si tratta della storia di una postumanità avanzata in confitto con una razza completamente aliena e altrettanto avanzata, e di tentativi di comprensione reciproca strumentali ma non senza conseguenze:
"In uno scontro alla pari non si può battere il nemico se non lo si capisce. e se lo capisci veramente perché combattere invece che parlare?"
Uno dei tanti libri che, a distanza di quasi 40 anni, tornano attuali.
 

Prima ho citato Ursula K Le Guin. 
La Le Guin, nota di questi tempi perlopiù come autrice della trilogia di Earthsea, era estremamente interessata al tema del rapporto con l'Altro.
Nel 1977 rifiutò un premio Nebula per "Il diario della rosa". Lo rifiutò per due motivi. Il primo era che Science Fiction Writers of America aveva espulso Stanisław Lem, e secondo Le Guin l'espulsione era da attribuirsi alla critica da parte di Lem della fantascienza americana e alla sua volontà di continuare a vivere al di là della cortina di ferro.
Il secondo motivo era che non le andava di ricevere un premio per una storia sull'intolleranza politica da un'associazione che si era dimostrata politicamente intollerante.
(Come potete notare più le cose cambiano più restano le stesse)
Comunque dicevo dell'interesse di Le Guin per l'Altro. A parte i romanzi ("I reietti dell'altro pianeta", "La mano sinistra delle tenebre" i due esempi maggiori) la cosa è esplicitata in uno dei saggi raccolti ne "Il linguaggio della notte", intitolato "American SF and the Other".
 

 
"La questione in ballo, qui, è la questione dell'Altro, l'essere che è diverso da te. Questo essere può essere diverso per sesso, reddito, modo di parlare o vestirsi o fare le cose. O per il colore della sua pelle, o per il suo numero di gambe o teste. In altre parole ci sono l'Alieno sessuale, l'Alieno sociale, l'Alieno culturale ed infine l'Alieno razziale...
Che dire dell'Altro culturale o razziale? Questo è l'Alieno che tutti riconoscono come tale, ed è quello che interessa particolarmente la fantascienza. Ebbene nella vecchia fantascienza pulp è molto semplice. L'unico alieno buono è l'alieno morto, che sia l'uomo mantide di Aldebaran o un dentista tedesco."
Le Guin è morta nel 2018, prima della pandemia. Credo che se fosse viva constaterebbe sconfortata che il mondo occidentale è regredito al livello di un romanzetto di fantascienza pulp degli anni 30.
 

martedì 5 maggio 2020

Il FOYE'S E I CASE STUDIES


Dopo anni dalla prima volta che l'ho aperto non posso dire che Foye's Principles of Medicinal Chemistry sia un libro che ho poi molto usato, sul lavoro. Riaperto di recente dopo uno scambio su twitter ho notato quello che al tempo (e si parla di una quindicina di anni fa) saltavo a piè pari: i riquadri "Significatività clinica" e sopratutto i "Case studies". Il Case studies presentano il caso di un paziente e sono concepiti come esercizi. Alla fine le domande, che sono uno schema di approccio al problema, sono sempre le stesse.
Pensate all'emergenza COVID ma non solo.
Vi sembra che un approccio del genere sia comune i medici o farmacologi?
La domanda è retorica e la risposta è "No!"
Perché? Forse perché la farmacologia in Italia (e non solo) è una questione di medicina, e quindi nella media l'approccio tecnico al problema è del tutto differente e il criterio prevalente è quello della pratica medica o clinica. Che comunque per quanto tecnico resta comunque troppo spesso empirico.
Il caso classico è quello del medico che dopo un ciclo di amoxycillina/acido clavulanico per un bronchite, in assenza di miglioramenti cambia farmaco, e prescrive non un carbapenemico o un macrolide, ma un'altra penicillina.
Oppure un altro esempio è dato da chi ha continuato a usare per COVID inibitori di proteasi di HIV, perché "hanno fatto così". Senza pensarci, senza riflettere.
E quelli che dovrebbero in teoria pensarci al posto loro?
Società Scientifiche: SIMIT (http://www.simit.org/medias/1569-covid19-vademecum-13-03-202.pdf) continua a tenere nel suo protocollo per COVID gli anti HIV, sulla base di un articolo dei tempi della SARS (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14985565). E che dice l'articolo? Che dai dati in vitro degli autori risultava attivo a 48 ore (come non è specificato)  e a una concentrazione di 4 microgrammi per millilitro, che passando alle concentrazioni molari fa 6,4 micromolare. Quindi attivo, sì, per modo di dire. E l'articolo concludeva parlando di un apparente effetto clinico positivo che avrebbe dovuto essere riesaminato alla luce di un trial con braccio di controllo. Su queste basi (nulle), SIMIT cita l'articolo concludendo: "’efficacia dimostrata nei confronti di SARS-COV". Alla faccia del Foye's (e di tutti gli altri libri). E AIFA, ISS? Lasciamo perdere...

C'è un'altra cosa da notare: i case studies del Foye's prevedono opzioni terapeutiche multiple: non "la cura" ma una serie di strumenti tra cui scegliere il più adatto alla situazione (sulla base di criteri analitici). Quindi la pluralità di opzioni è un bene, perché per un paziente sarà più adatta una soluzione, per un altro una differente.
Queste considerazioni sono state completamente ignorate non solo dal dibattito (troppi farmaci simili tra loro e quindi inutili, la famosa tesi di Garattini) ma anche dal dettato legislativo, quando con la Nuova Governance Farmaceutica la soluzione al case study diventa facile e immediata: è da prescriversi il farmaco più economico.

mercoledì 15 gennaio 2020

ESITAZIONE



Qua sopra abbastanza spesso si è parlato di libri scientifici. Perlopiù si è trattato di saggistica, e non di divulgazione in senso stretto. Prigogine, Hofstadter, Penrose usano il tema per elaborare un discorso SU scienza e matematica, più che renderlo digeribile al grande pubblico - poi magari il grande pubblico in un modo o nell'altro apprezza comunque, visto che i titoli sono diventati persistenti, continuamente ristampati ("La fine delle certezze", "Goedel, Escher, Bach", "La mente nuova dell'imperatore").
Se si parla di divulgazione in materia di fisica, il mio titolo preferito è "Passaggi curvi" di Lisa Randall. Un unicum, nel senso che dal mio punto di vista, a differenza dei suoi altri lavori, le è venuto incredibilmente bene. La Randall fece un'operazione abbastanza penrosiana: partendo dal suo lavoro sulle "brane" (che forse finirà nel dimenticatoio della fisica teorica), costruì un libro che capitolo dopo capitolo forniva il percorso che concettualmente portava a quella teoria (cioè quello della fisica moderna), tra l'altro impegnandosi a farlo senza neanche mezza equazione.
Secondo qualche mio conoscente anche senza equazioni è un libro difficile (nella loro scala "La mente nuova dell'imperatore" è astruso, "La fine delle certezze" è impossibile).
"Sette lezioni di fisica" di Rovelli è un best seller ed è terra terra. Nel senso che quando la prole alle prese con le scienze delle superiori mi chiese se un atomo riflette la luce quel che scrive Rovelli non forniva una risposta.
Però il discorso generale, il modo di raccontarla, quadra bene, e la sua cifra emerge particolarmente in alcuni passaggi tipo questo: "Il genio esita".
PS: Rovelli è uno di quelli a cui i giornaloni che lo intervistavano chiedevano di vaccini, due anni fa. Ne è uscito meglio di altri, ma avallando le premesse di chi intervistava: "fisici o medici sempre Scienza è". A me personalmente questa storia "fisici, chimici, biologi, tua scienza, mia scienza, una faza una raza" infastidisce da morire.

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...