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venerdì 15 maggio 2020

WHISKY, IODIO E SALMASTRO




“A good gulp of hot whisky at bedtime—it’s not very scientific, but it helps.” -Alexander Fleming, Scottish inventor of penicillin, on how to prevent the common cold

(Nell'immagine il Laphroaig 9 yo di un imbottigliatore indipendente che usa bottiglie "da farmacia" e ha veramente il colore di tintura di iodio diluita)

Pare che una delle conseguenze del lockdown sia stata una impennata nel consumo di alcolici (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/24/coronavirus-iss-vendite-di-alcolici-aumentate-del-180-durante-il-lockdown/5781135/ )

Buona occasione per riprendere il discorso su chimica del whisky. Una panoramica piuttosto completa la potete trovare qua: https://www.chemistryworld.com/section/feature/a-whisky-tour/3004483.article

Ma oggi vorrei esaminare un tema particolare.
Qualche tempo fa mi è capitato di cenare in un piccolo ristorante di pesce niente male che come distillati per il dopo pasto (ma forse non solo) offriva un'unica opzione: Oban 14 anni.
In giro sulla rete potete trovare una serie di proposte di avvicinamento tra pesce e frutti di mare e certi whisky: Ardbeg e salmone affumicato, Caol Ila e Oban con pesce o frutti di mare.
Qual'è il razionale? Il carattere "marino" degli whisky di Islay e di alcuni altri.
Da dove viene il sentore iodato o salmastro di questi whisky?
Non facile da ricostruire, perché ricondurre una percezione del gusto o dell'olfatto a una specifica molecola non è semplice: le risposte dei nostri recettori variano, e molto, a seconda della concentrazione del composto. Esempio classico gli aromi "agrumi" sintetici: a bassissime concetrazioni li percepiamo come arancio o mandarino o pompelmo. A concentrazioni appena più alte... beh (una definizione che ho sentito è "concentrato di piscio di gatto").
Quindi la ricerca sulle componenti di un whisky responsabili di questo o quel tratto aromatico è largamente basato su "sniff detector" (cioè su annusatori).
E poi ovviamente ci sono stati studi di correlazione tra concentrazioni di alcuni componenti e bouquet dei vari whisky.
L'indagine più scontata, quella sulle concentrazioni di iodio, non sembra  particolarmente conclusiva (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28010174) anche se Caol Ila e altri whisky di Islay hanno tra i valori più alti di iodio, valori che sono decisamente più bassi per i distillati dello Speyside.
Invece è molto più conclusiva quest'altra indagine, da cui i vari caratteri iodati, salmastri e marini deriverebbero da bromofenoli (https://pubs.acs.org/doi/full/10.1021/jf405006e?src=recsys). Per il contenuto in bromofenoli Laphroaigh e Lagavulin staccano decisamente tutti, anche gli altri di Islay.
E da dove escono questi bromofenoli? Probabilmente dalla torba delle isole, esposta allo spray marino. L'acqua marina contiene bromo, e durante la combustione è plausibile che anioni bromuro trasformino una parte dei fenoli responsabili dell'effetto "torbato" nei bromofenoli a cui è dovuto l'effetto "salmastro" e "medicinale".

Se qualcuno vuole approfondire ancora di più la questione torba, c'è questo: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.1002/j.2050-0416.2006.tb00739.x



Tra tutte confesso la mia preferenza per la torba di Hobbister Hill, molto diversa dalle altre, derivante da erica e altre erbacee. Ci viene maltato il 20% di quel che poi va a finire in un certo whisky, e tra tutti gli scotch le sue versioni "core range", cioè all'incirca "alla vecchia", sono le mie preferite (qualcosa che costi un patrimonio? La 25 anni).



venerdì 17 maggio 2019

INIEZIONI LETALI 2

Tubocurarina
L'ospedalizzazione della morte ha progressivamente rimosso in buona misura dalla coscienza degli individui l'esperienza non mediata del trapasso dei congiunti.
Ma ci sono eventi analoghi che riguardano gli animali domestici, e che spesso coinvolgono un'iniezione letale, e pare che anche in quei casi il 90% dei proprietari preferisca non assistere (https://www.lastampa.it/2018/09/12/societa/veterinario-rivela-che-cosa-fanno-gli-animali-prima-di-essere-soppressi-cercano-disperati-chi-amano-wc17vmsosazvrCkh8nLNjI/pagina.html).

Quando ho chiesto al veterinario riguardo la procedura, mi ha detto che veniva usato un derivato del curaro. In un certo senso era corretto.
Il componente attivo del curaro è la tubocurarina, alcaloide presente in varie menispermacee e in particolare nella corteccia della liana  Chondrodendron tomentosum. E' di fatto il prototipo degli agenti bloccanti neuromuscolari non depolarizzanti (https://en.wikipedia.org/wiki/Neuromuscular-blocking_drug#Non-depolarizing_blocking_agents), e fu usata in anestesia totale per diversi anni alla metà del secolo scorso, seguita dal suo derivato tetrametilato (Metocurina Ioduro) e poi nei due decenni successivi da vari altri.
Il Tanax, unica formulazione per l'eutanasia veterinaria approvata in Italia, contiene mebenzonio ioduro, che è un bloccante neuromuscolare dalla struttura molto semplice (e non ha uso nell'uomo). Contiene anche embutramide, un oppioide sintetico che anch'esso non ha trovato uso farmaceutico a causa della stretta finestra terapeutica (e l'overdose provoca depressione respiratoria e blocco cardiaco). Più la tetracaina, che è un anestetico locale.
La morte dell'animale avviene per blocco cardiaco, ed i veterinari più professionali disattendevano le istruzioni di impiego del farmaco, che prevedevano un'iniezione intrapolmonare, con conseguenze atroci (http://animalex-italia.blogspot.com/…/tanax-la-dolce-morte.…). Mi segnalano che il produttore ha aggiornato in questo senso il foglio illustrativo, che oggi prescrive l'anestesia prima dell'uso (grazie ad Anna Giulia Lupi). Io ho visto procedere ad una sedazione totale prima della somministrazione intramuscolo del Tanax.
E così alla fine la vecchia signora (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/11/dopamina-catecolammine-fosfolipidi.html )se ne è andata in pace, con i suoi cari attorno a lei (perché alla fine un tumore che comprime il midollo spinale all'altezza delle vertebre cervicali non lascia speranze).

martedì 14 maggio 2019

BASTA CON LE ROTTURE DI CANNABIS




Una crociata contro la cannabis legale lanciata in campagna elettorale si commenta da sola.
Argomento divisivo da sempre, la cannabis con i suoi derivati, anche quando si tratta di una varietà a contenuto trascurabile di THC quale la cannabis finora di libera vendita.
Per qualche motivo si tende a fare confusione con la cannabis terapeutica, quella il cui estratto è prescrivibile e reperibile in farmacia dal 2006 (in modo estremamente condizionato) e sulla base delle vicende di attualità qualunque idiota si è sentito in dovere di dire la sua a proposito delle proprietà farmaceutiche dei composti contenuti nella cannabis.
I recettori dei cannabinoidi sono storia vecchia, lunga e tormentata, per la chimica farmaceutica, che fondamentalmente è sfociata in un "off limits" (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/05/quando-venne-sperimentato.html). Ma quando si vedono possibili applicazioni terapeutiche della cannabis e dei suoi derivati, beh... è un materiale con cui gli esseri umani hanno una certa confidenza da anni, e serie complicazioni a livello sistema nervoso centrale (tipo istinti suicidi, per intenderci) non se ne sono mai viste. Quindi, ben venga l'uso terapeutico della cannabis, che è rivolto prevalentemente al trattamento del dolore cronico , e se il precedente Consiglio Superiore della Sanità ha espresso dubbi il ministero invece ha fatto partire un progetto pilota di cannabis ad uso terapeutico prodotta dall'Istituto Farmaceutico Militare nel 2017.
M'è caduto sott'occhio un pezzo di un tale (che ho bloccato su twitter tempo fa) che pontifica riguardo la mancanza di solide evidenze per l'uso medico della cannabis, allargandosi al CBD, che sarebbe il cannabidiolo, principale principio contenuto nella cannabis oltre il THC, e presente anche nella cannabis legale.
Sono talmente scarse le evidenze che FDA l'anno scorso ha approvato CBD (nome commerciale epidiolex).
Indicazione: convulsioni in pazienti con sindrome di Dravet o di Lennox Gastaut.

https://www.accessdata.fda.gov/drugsatfda_docs/nda/2018/210365Orig1s000TOC.cfm

martedì 30 aprile 2019

E' SICURO? (DAL GAROFANO ALLA TORBA)




(Divagazione sugli ammazzacaffé delle feste)

Forse qualcuno si ricorda la tremenda scena de"Il maratoneta". Dustin Hoffman trova sollievo alla tortura dentistica grazie a olio di chiodi di garofano, cioè grazie all' eugenolo.
Laurence Olivier chiede a Dustin Hoffman: "E' sicuro?". Dustin Hoffmann non capisce, e Laurence Olivier gli trapana un dente sano senza anestesia... e la cosa si ripete, fino alla conclusione in cui il torturatore lancia al torturato una boccetta di olio chiodi di garofano.
L'eugenolo è un derivato del guaiacolo. Togliete la codina allilica e resta il guaiacolo: banale, puteolente, il ferormone che fa muovere gli sciami di locuste. 
 
 
 
Tutto questo fa parte dell'ideale capitolo "Due-tre sostituzioni su fenolo": così banali, così funzionali. 4-acetamido sostituito: paracetamolo.
2 carbossiacido: acido salicilico, da cui con acetilazione aspirina, con esterificazione metil salicilato. Tutta roba vecchia e fidata. Certo, da usare con tutte le dovute cautele.
Ora, a me gli occhi: guaiacolo e eugenolo fanno parte di quella frazione detta "polifenoli" che governa gli aromi caratteristici dei whisky, e specialmente di quelli scozzesi. Non solo: parente stretto del guaiacolo è la vanillina, anche quella incontestabilmente presente in molti whisky (me ne viene in mente uno giapponese, ad esempio).
Mediamente più è alto il contenuto in fenoli più è percepibile l'aroma torbato (inutile precisarlo per chi apprezza, ma il record è detenuto dagli whisky di Islay, che arrivano sulle 120 ppm di "polifenoli").
Ma non ci si ferma alla frazione fenolica. Per esempio una categoria di aromi caratteristici del whisky è dovuta ai vari isomeri del 3-metil-4-ottanolide, comunemente detto "lattone del whisky" (identificato per la prima volta da Suomalainen e Nykänen nel 1970, non chiedetemi perché ma in Finlandia hanno lavorato abbastanza, sul tema). Viene dal legno di quercia delle botti. Gli isomeri cis hanno una fragranza di legno e terra, altri danno sentori vegetali (https://www.mdpi.com/1420-3049/23/3/659/htm), e sono la nota caratteristica per esempio degli Speyside, direi.

(enjoy your highlands single malt whisky responsibly)

mercoledì 27 giugno 2018

I MAGHI DI TRPV1 E IL PEPERONCINO

Tra le vicende che hanno mescolato hype, borsa e ricerca, quella di Qutenza merita di esser ricordata.
Qua siamo ben lontani dalla luce dei riflettori che toccò a Sirtris, e a differenza di Sirtris NeurogesX uscì sul mercato con un prodotto. Ma cominciamo dall'inizio.
I'area degli antidolorifici (che non sono anestetici) è fondamentalmente ferma dai tempi della "golden age" e siamo sempre lì, tra oppioidi e NSAID. Quindi il dolore cronico continua ad essere "unmet medical need".
Dagli anni 90 gli sforzi per ottenere nuovi antidolorifici si erano concentrati sui recettori dei vanilloidi, e in particolare su TRPV1, che ha un antagonista naturale ben noto e largamente consumato: la capsaicina, o capsicina che dir si voglia, notoriamente contenuta nei peperoncini piccanti.
Novartis fu tra i primi ad esplorare l'area, e tutto ciò che ottenero fu la capsazepina, un analogo sintetico della capsaicina, che mai venne sviluppato ulteriormente e rimase un tool per ricerca biologica.
Dei grandi si attivarono sul tema GSK, Abbot, Merck, Eli Lilly e Astrazeneca, con risultati non diversi da quelli ottenuti da Novartis.
Tra i piccoli che lavoravano sul tema sul tema c'era NeurogesX, una  biotech californiana il cui asset principale era "una piattaforma unica per lo sviluppo di antagonisti TRPV1", da cui era stato ricavato NGX-4010. NeurogesX, come Sirtris, si quota in borsa nel 2007, ma i suoi numeri sono di un ordine di grandezza inferiore (mica lavoravano sull'elisir di lunga vita, loro) e raccolgono 44 milioni. Dopodiché lo sviluppo di NGX-4010 presenta qualche difficoltà.
NGX-4010 dovrebbe essere una capsicina sintetica modificata, ma quando si arriva al dunque si scopre di che si tratta: è un cerotto transdermico con una formulazione di capsicina all'8%.
La cosa mi fece sorridere, perché da qualche tempo da noi erano in vendita nei supermercati, in farmacia e parafarmacia i cerotti al peperoncino  di una nota azienda erboristica nazionale.
NGX-4010 è stato approvato da FDA e anche da EMA, e il suo nome commerciale è Qutenza.

lunedì 16 aprile 2018

DIETA E TUMORI - POLIFENOLI DEL TE' VERDE


E' ovvio che pensare di curare questo o quel tumore con la dieta sia idiota (e che proporlo sia criminale). Da qui a liquidare l'argomento alimenti chemoprotettivi scagliandosi contro chiunque lo affronti (se pur in modo improprio) o per esempio faccia un nome ("curcuma", tipicamente) ce ne corre.
"The medicinal chemistry of Anticancer Drugs" (C.Avendano, J.C. Menendez, Elsevier, 2008) ha l'ultimo capitolo dedicato al controverso tema della chemoprevenzione, che però include anche esempi tutt'altro che controversi di chemoprotettivi presenti in alcuni cibi. Cominciamo dal tè verde:

"I polifenoli del tè verde (epicatechina gallato e epigallocatechina gallato, p.e.) sono potenti scavenger di radicali che sono stati estensivamente studiati come agenti chemopreventivi. In questo caso la stabilizzazione del radicale fenolico è dovuta all'estensiva delocalizzazione dell'elettrone spaiato sull'anello aromatico e sul sostituente p-acilico, e anche all'ingombro sterico dei vicini ossidrili. Uno studio clinico di fase due ha studiato la modulazione da parte di queste sostanze dell'escrezione urinaria di 8-idrossideossiguanosina (8-OHdG), un biomarker del danno ossidativo del DNA. I risultati ottenuti suggeriscono che la chemoprevenzione con polifenoli del tè verde sia efficace nel diminuire il danno ossidativo al DNA."


DIETA E TUMORI - LE CRUCIFERE, SENAPE INCLUSA


(Dove, a scanso di equivoci, si continua a parlare di chemoprotezione, ovvero di prevenzione)

Quando si parla di crucifere di solito si parla di glucosinolati e mirosinasi, che vengono in contatto quando la pianta è danneggiata, producendo sulforafano.
Ma le crucifere contengono anche 1,2-ditiolo-3-tioni. L'attività chemoprotettiva di questi composti sarebbe correlata allo stimolo del metabolismo di fase due, il principale pathway di eliminazione degli xenobiotici (o se vogliamo usare la parola che crea così tanto scandalo di questi tempi, la detossificazione). Studi su un'analogo sintetico, l'Oltipraz, un agente sviluppato come antielmintico, hanno verificato che questa classe di composti stimola la produzione di GST (glutatione-S-trasferasi), che è l'enzima che si occupa di "attaccare" una molecola di glutatione agli xenobiotici elettrofilici, tra cui ci sono per esempio i prodotti ossidativi del metabolismo di fase I delle aflatossine (epossidi) e altri metaboliti cancerogeni. Una volta che l'"estraneo" è stato coniugato al glutatione, è inattivato e "taggato" per l'eleminazione via escrezione.
Considerata la stabilità media della classe di composti, questi dovrebbero resistere quanto basta a trattamenti termici prolungati (cottura)
Torniamo ai glucosinolati. Principalmente si parla di glucorafanina, trasformata dalla mirosinasi (sempre presente nella pianta, ma in cellule diverse, che la rilasciano in seguito a stress meccanico) in sulforafano. E quindi stiamo parlando di quella frazione solforata che viene distrutta/ossidata durante la cottura. Quindi, se parliamo di alimenti, i benifici esistono solo in caso di insalata di cavolo crauto (detto anche cappuccio) e probabilmente anche nei crauti propriamente detti. E nella senape (il che forse spiegherebbe qualcosa sul fatto che le abitudini alimentari dei tedeschi non conducano a un numero incredibile di esiti nefasti sulla loro salute). E questo alla faccia di chi ha fatto questioni di principio sulle manie crudiste dicendo "meglio cotto comunque".
La glucorafanina ha senso come integratore alimentare puro? A regola no, visto che manca l'attivazione della mirosinasi. Il sulforafano invece? Forse. Anche lui come i 1,2-ditiolo-3-tioni, eserciterebbe la sua azione potenziando l'attività del metabolismo di fase due, ma non esistono ad oggi evidenze cliniche di precisi benefici. Quindi, meglio insalata di cavolo. Saltando di ortaggio in ortaggio, il sulforafano è parente strettissimo della rafanina, contenuta in broccoli, cavolo rosso ma soprattutto nei ravanelli. La rafanina esula dal discorso chemoprotettivi: ha proprietà antivirali ed antibatteriche. Isolata manifesta una tossicità troppo alta per l'uso terapeutico, ma le proprietà antiinfettive e antimicotiche dei ravanelli erano ben note alla medicina tradizionale cinese.

Effetti collaterali delle crucifere sono noti da tempo e messi nero su bianco nel XIX secolo da Pellegrino Artusi (L'arte del mangiar bene), che parlando del cavolfiore lo definisce "il re dei venti".

Fonte prevalente anche stavolta "The medicinal chemistry of Anticancer Drugs" (C.Avendano, J.C. Menendez, Elsevier, 2008)

IL SERPENTE E LA TETRODOTOSSINA

(Visto che l'argomento "naturali" interessa, rielaborazione e restyling di uno dei primi post della pagina)

Mi ricordo di un direttore scientifico con due lauree che si era messo a cercare antibatterici tra le piante di uso tradizionale cinese e ne era venuto fuori con un estratto di cui solo avverse vicende industriali hanno impedito lo sviluppo.
Questo per dire che le medicine tradizionali (e l'etnomedicina) sono state un serbatoio importante a cui attingere, per la farmacologia moderna. Sono state, passato prossimo.
La popolarità dell'etnobotanica e dell'etnomedicina ha avuto varie fasi.
Senz'altro si interseca con la cultura del boom psichedelico dei 60, l'esplorazione degli enteogeni tradizionali: mescalina, atropina e scopolamina (mescal e erba del diavolo, Castaneda) psilocibina (funghi, Maria Sabina), ibogaina (Naranjo, "The Healing Journey"). E vi garantisco che fino a una decina di anni fa, in ambito Sistema Nervoso Centrale, si continuava a lavorare su fenetilammine e triptamine.
Ma la popolarità di queste discipline ha forse avuto il suo apice negli anni 80. "Stati di Allucinazione" (1980) di Ken Russel riprendeva il filo dell' "espansione della coscienza" della psichedelia di 15 anni prima, e lo faceva raccontando le vicende di un gruppo di ricercatori universitari che partono da una vecchia vasca di isolamento e poi iniziano un viaggio a caccia di enteogeni sciamanici. Si continua ad esplorare il tema con il best seller "The serpent and the rainbow", di Wade Davis (1985) (https://en.wikipedia.org/wiki/Wade_Davis_(anthropologist) ). Dal libro Wes Craven tirò fuori l'omonimo film, dove il protagonista va a caccia della ricetta della pozione che ad Haiti viene usata per creare gli zombi e viene fuori la tetrodotossina, una neurotossina che poi sarebbe il famoso veleno del pesce palla, quello che ha mantenuto costante nel tempo fino a qualche decennio fa il numero dei decessi dei giapponesi che consumano fugu. La tetrodotossina (come altre svariate tossine di origine marina) non scherza: LD50 intraperitoneale nel topo 8 microgrammi/Kg (25 nanomoli!), a quanto dice il Merck Index.
La storia del film che ne include un possibile sviluppo farmaceutico non è pura fantasia, in quanto ne è stato investigato l'uso per la teriapia del dolore in oncologia. Ma strada facendo si è scoperto che la pozione degli zombi di tetrodotossina non ne contiene. Conclusione di questa ideale carrellata, in "Medicine Man" (Mato Grosso, 1992), Sean Connery è un medico avanti negli anni che si è isolato nella giungla amazzonica, dove ha trovato un'antitumorale che lui pensa sia contenuto in un fiore.

Questo per dire che l'intreccio tra etnomedicina e ricerca farmaceutica aveva un suo fascino, che includeva l'isolamento, la caratterizzazione e la sintesi totale dei composti naturali, forse il ramo storicamente più avvincente della sintesi organica. Avvincente e difficile.
Dagli antimalarici agli antitumorali, questa frontiera ha dato molto.
Poi ha cessato di essere attraente. Difficoltà significa risorse, e costi. E come forse avrete orecchiato, se siete approdati su questa pagina da un po', il costi della ricerca farmaceutica sono da anni un problema che è stato affrontato con tagli, consistenti e costanti.
L'ultimo gruppo di ricerca (serio) sui naturali sopravvissuto nell'industria credo sia quello di Eisai, che si è vista approvare nel 2010 da FDA l'eribulina (antitumorale), ricavata da studi sulla struttura dell'alicondrina B. L'alicondrina B fu isolata per la prima volta nel 1986 dalla spugna Halichondria Okadai ad opera di Hirata e Uemura (composti di origine marina e Giappone, una lunga storia, come avrete capito).


CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...