Oggi abbiamo una serie di strumenti analitici inimmaginabili nell'age d'or della chimica dei composti naturali (anni 50-60): con la microscopia elettronica abbinata a diffrazione di elettroni, per esempio, possiamo determinare la struttura di una molecola anche complessa in modo univoco e veloce (le molecole grandi possono essere addirittura "viste"). Ma ai tempi di Woodward (https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2136542836564592&id=1971621999723344), quando il massimo che si poteva avere erano uno spettro infrarosso, uno ultravioletto e una diffrazione RX, la chimica dei composti naturali conosceva pochi concorrenti nelle discipline scientifiche quanto ad intensità intellettuale . Le ipotesi sulla struttura di un composto naturale erano confermate ricostruendolo per sintesi totale, ed i passaggi sintetici dovevano dare risultati univoci costruendo la struttura molecolare in modo esatto non solo come ordine di concatenazione degli atomi ma anche come loro disposizione nello spazio. Se il risultato della sintesi si dimostrava uguale al composto naturale, estratto e purificato dalla pianta, dal batterio o che altro, la struttura era confermata. Per questo Woodward e Corey furono guardati come giganti (Woodward di più).
Tra i composti naturali oggetto di particolare studio e interesse ci furono, specialmente negli anni 80, gli enediini, antibiotici antitumorali caratterizzati da una struttura con triplo legame, doppio legame, triplo legame coniugati.
Isolati da vari ceppi batterici (da cui l'inserimento tra gli antibiotici), il loro gruppo funzionale caratteristico, perlopiù arrangiato in un anello tensionato (e quindi instabile) costituisce la lama di coltello con cui tagliano a pezzi il DNA con cui vengono a contatto. E' la loro "warhead", analoga a una testata con esplosivo e spoletta: si coordina al minor groove di una spirale di DNA, la spoletta viene così attivata e boom...
Il più noto di questi composti è la calicheamicina γ1, l, la cui storia cominciò agli inizi degli anni 80, quando un biologo in gita in Texas raccolse alcune rocce gessose vicino ad un'autostrada. Queste rocce avevano in superficie un batterio, Micromonospora echinospora, che fu coltivato in laboratorio. All'epoca ancora si cercavano attivamente nuovi batteri da cui ottenere nuovi antibiotici, e così fu fatto: si scoprì che Micromonospora echinospora produceva una miscela di composti incredibilmente potente contro varie cellule tumorali, in vitro. Il più potente fu isolato e caratterizzato: era la calicheamicina γ1. Una sua sintesi totale venne pubblicata dal gruppo di K. Nicolau nei primi 90 (https://pubs.acs.org/doi/pdf/10.1021/ja00051a063).
calicheamicina γ1 - il cerchio rosso evidenzia la warhead |
Ma sul finire degli anni 80 eravamo anche all'alba della ricerca sugli antitumorali targeted: venivano isolati EGFR e VEGFR, per parlare dei due target divenuti poi più popolari. Ed era anche l'alba del biotech: si iniziavano a studiare e costruire anticorpi monoclonali mirati contro un primo set di interessanti bersagli extracellulari: EGFR e VEGFR, appunto, ma anche TNFalfa e non solo.Vennero per esempio individuati target specifici della leucemia mieloide acuta, CD22 e CD33. E una collaborazione tra Wyeth e Celltech si focalizzò sull'idea di coniugati farmaco-anticorpo: ho composti molto potenti ma molto tossici perché poco selettivi, e anticorpi che vanno ad "attaccarsi" a proteine caratteristiche perlopiù di certe cellule tumorali: "leghiamoli" assieme in modo che
l'anticorpo "consegni" il famaco alle cellule giuste. Il "piccolo" problema è che il ponticello che collega l'anticorpo al farmaco deve essere generalmente stabile, ma in grado di rompersi solo una volta che l'anticorpo si sia attaccato alla cellula tumorale. Facile a dirsi, a farsi molto meno, specialmente se ti devi inventare tutto da zero e nessuno ha mai fatto niente del genere prima di te.
Gemtuzumab Ozogamicina |
Gli Antibody Drug Conjugates (ADC) non furono la "next big thing" in campo oncologico negli anni 90, che furono perlopiù gli anni dei tassani, degli stabilizzatori/destabilizzatori di microtubulo e dei veleni delle topoisomerasi I e II. E non furono neanche la next big thing degli anni 2000, decennio di anticorpi monoclonali e inibitori di chinasi (di TK, per la precisione https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/12/i-passi-avanti-della-farmacologia.html). Ma questa classe non venne abbandonata, e altri farmaci furono approvati, negli anni: ma l'avanzamento del know how sui MAB (Monoclonal AntiBodies) non ha impattato in modo evidentissimo sugli ADC. Il problema cardine resta la progettazione del ponticello (bridge), come dice chi ci lavora, e per quanto le cose siano molto migliorate siamo ancora lontani dal bridge perfetto.
C'è un capitolo molto particolare, nella chimica dei composti naturali, che è quello dei composti di origine marina. Molti di questi composti sono stati indagati, prevalentemente in oncologia, tanto per cambiare. In Giappone questo campo viene indagato più che altrove - lunga storia quella Giappone con le tossine marine, basti pensare al pesce palla e alla tetrodotossina. A Eisai nel nuovo millennio è stato svolto un lavoro monumentale sull'halicondrina B, estratta dalla spugna Halichondria okadai. Il risultato è stato l'eribulina (https://en.wikipedia.org/wiki/Eribulin).
Invece in occidente il discodermolide, un polichetide ottenuto dalla spugna abissale Discodermia dissoluta, segnò di fatto la fine dei grandi sforzi nel campo dei composti naturali. Era uno stabilizzatore di microtubulo estremamente potente, e si pose lo stesso problema che si era presentato con il tassolo più di una decina di anni prima: non si poteva estrarre dalla fonte naturale, troppo scarsa, non venne trovato alcun modo per ottenerlo per via fermentativa, e con un colossale sforzo a Novartis il materiale per i trial clinici venne prodotto per sintesi totale (qualcuno che era passato di là, all'epoca, mi raccontò di colonne cromatografiche stile Cannoni di Navarone). E i trial fallirono (tossicità eccessiva).
Shishijimicina A |
Questi due temi mi sono tornati in mente grazie a un recente articolo su JACS (https://pubs.acs.org/doi/10.1021/jacs.0c06554):"Synthesis and Biological Evaluation of Shishijimicin A‑Type Linker-Drugs and Antibody–Drug Conjugates". Perché?
Chiaramente c'è la faccenda ADC. La Shishijimicina A è un antibiotico enediinico, ma è anche un composto di origine marina, estratto da Didemnum proliferum, un tunicato. E fa piacere vedere segni di vita in questa area disciplinare.
Colonia di Didemnum |
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