Cammino in un grande parco industriale, oggi ribattezzato Science Park (come alcuni altri). Non so come è cominciato,
forse con Imperial Chemical Industries, forse con Merck, non saprei. In
ogni caso loro e i loro discendenti non sono più qui (The nymphs are departed, verrebbe da citare con un amaro sarcasmo). Ma non è deserto,
anzi. Altri sono arrivati, rilevando gli edifici e a volte tutto il
resto ("Big pharma labs, great stuff" mi ha detto qualcuno). C'è chi sta
facendo lavori in uno degli edifici, per riadattarlo. Mi chiedo se sia
il segno di una vera ripartenza o solo uno strascico, una coda,
contratti firmati più di un anno fa da cui non si poteva scappare, che
andavano onorati in ogni modo. Da un certo punto di vista è il medioevo di questa industria, qui e in altri posti del genere.
Si stanno usando i pezzi dell'età classica come ai tempi si usavano i
marmi dei monumenti antichi per costruire chiese o palazzi. Eppure
nonostante tutto in uno solo di questi edifici continua ad esserci quanto a
chimica e farmaci più know how scientifico di quello che potete trovare
nell'intero sistema mediatico italiano social inclusi. Qua di carta se ne produce tanta perché chi ha tradotto GMP come Gimme More Paper non aveva tutti i torti e di solito i deliverables comprendono altrettanta carta. Ma se oltre alla carta non ottieni il prodotto, che sia il batch clinico di una Investigational New Drug o il composto con una buona attività e un buon profilo, sei nei guai, guai seri, anche se in giro ci sono i maghi dello scope management (in poche parole quelli capaci di trasformare rospi duri da buttar giù in scatole di cioccolatini - alle volte i loro giochi di prestigio funzionano, altre volte no).
Mi chiedo se tutto questo reggerà nel nuovo mondo multipolare, se reggerà quando gli USA non potranno più essere il mercato di riferimento (nell'Europa, quanto a mercato per farmaci innovativi, non c'è da sperare). Resta la constatazione che in questi edifici si è fatto un pezzo della storia del settore, una storia ignorata dai più e ormai anche da chi ci lavora: acqua passata. Io invece la ricordo perché ho avuto la fortuna di lavorare con chi un po' di quella storia l'ha fatta.
Di cosa ho nostalgia della not-so-big-awesome-drug-factory? Del gruppo alla macchinetta del caffé.
Le nostre strade si sono separate da un po', ormai, ma sono stati i
momenti migliori, assieme a quelli "all hands on deck", quando
le cose vanno di traverso e tutti guardano a te aspettando
la tua decisione. Per il resto la solita vita dura ,
quella di chi lavora in un certo ramo di industria che va a cicli, in
mano a un capitale che ragiona nei termini in cui da sempre ragiona il
capitale (puro profitto). Nel senso che questa industria ha saputo
bruciare know how come poche, anche se non molti si ricordano le grandi
ristrutturazioni (licenziamenti) che ci furono attorno al 2010 (e in effetti rispetto ad allora la presente crisi per ora è abbastanza poco). Ne ho
parlato di recente con un Direttore Drug Product, scambiandoci i
racconti di quel che era successo all'epoca sul mio fronte e sul suo.
Eh, già, i tempi in cui si scriveva in occidente di sovracapacità di
produzione GMP (le norme di buona fabbricazione per i principi attivi
farmaceutici). Perché c'era la Cina, perché c'era l'India. Posti dove
non c'era precisamente quella cultura industriale nata per la
salvaguardia dei pazienti, ma in fondo chi se ne fregava: il tutto si
risolveva con tagli di costi e aumento dei profitti - nel breve termine.
il comparto finanziario ha sempre preso nel verso sbagliato quel detto
di Keynes, "nel lungo periodo saremo tutti morti". Per tacere di Europa e specialmente Italia, dove si magnificava la riduzione della spesa per farmaci a brevetto scaduto. Qua sopra si è parlato spesso di generici e se il tema vi interessa potete scorrere quei post. Ci troverete qualcosa di leggermente diverso da quanto si dice di solito.
L'illusione
dell'higher management standard è sempre la stessa: che il know how sia
nel sistema e non nelle persone che ci lavorano. Sono 50 anni e più che le
dimostrazioni del contrario arrivano puntualmente ma niente cambia.
Scriveva un ingegnere che i vertici non vogliono problemi e se
si manifestano provano a schivarli in ogni modo pur di non affrontarli o lavorare a risolverli. E
poi, per quanto molti si pubblicizzino come attrattori di talenti e molti
parlino di talent management o abbiano sostituito talent management a HR nel nome dell'ufficio, alla fine più le cose cambiano più
rimangono le stesse: il sistema resiste al cambiamento e la maggioranza degli individui in un'azienda è abituata ad una ben precisa tensione superficiale dell'ambiente, per così dire. I talenti tendono a romperla, la tensione superficiale, e questo ai più non va bene. Avendo al mio attivo una quantità sufficiente di anni in aziende con
alcune migliaia di dipendenti in giro per il mondo ho una qualche
cognizione di causa riguardo le dinamiche sociali non sempre limpide in
contesti del genere, tipo le guerre di pettegolezzi e voci che seguono
il passaggio a un ruolo più alto o la decisione per una nomina. Possono
essere abbastanza schifose, ma sono parte del gioco. E sopratutto in
ballo ci sono poste estremamente concrete, tipo l'entità della tua busta
paga, e io mi sono sempre ritenuto un individuo pragmatico. Essere
pragmatici in questo contesto significa anche avere interiorizzato il fatto
che risultati e KPI (Key Performance Index) allo stesso tempo possono
contare e non contare, a seconda del vento che tira e di svariati altri
fattori. Un caso di scuola in questi contesti è la mela avvelenata:
la missione impossibile, quello che altri hanno provato a realizzare
senza successo. Perché nel senso comune sei destinato a fallire e se
fallisci, beh, sei solo uno come tutti gli altri. Quindi tutti pensano
che fallirai. Ma, guarda caso, c'è chi ha esperienza, numeri e lealtà
della squadra sufficienti per non fallire. E allora è molto peggio, perché
il successo non era previsto e con il successo alcune persone hanno
fatto la figura di quelli che non ce l'hanno fatta quando era possibile farcela. Per quanto il contesto sia completamente diverso (settore e epoca) e Leo Beebe sia un personaggio di pura invenzione in un film che vuole essere in qualche modo storico, Ford vs. Ferrari racconta di dinamiche aziendali che sono largamente attuali.
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