domenica 8 ottobre 2023

BIRRA E RICORDI

Ricordo pub inglesi che non esistono più, i manifesti della seconda guerra mondiale alle pareti, la spillatura a pompa, un bull terrier legato di lato al bancone, posti dove si poteva scegliere tra 5 bitter e niente altro, la birra senza schiuma servita a temperatura ambiente.

Ricordo bar messicani sul mare in cui affiancavi un paio di Dos Equis (o tre) a un ceviche,

Ricordo le latte da una pinta di McEwans, l'inconfondibile amaro delle bionde tedesche alla spina e una Greenmantle in un pub di Edimburgo

Ricordo birre croate dal perlage finissimo, che accompagnavano capretto allo spiedo con contorno di cipolla tritata.

Non mi ricordo quando ho visto la prima bottiglia di birra con un tappo di sughero fermato da fil di ferro come quelli degli spumanti, ma mi ricordo che birra era: Abbaye de Bonne Espérance, da 75 cl.

Ricordo molte eccellenti birre artigianali italiane ma tra tutte una garfagnina, di farro, traditrice come poche (una media e non sei più in grado di guidare). 

Mi ricordo la mia prima APA, che accompagnò una cena veloce in un bar fiorentino. E la mia prima IPA, artigianale, molto agrumata e fruttata.

Ricordo la più antica birreria belga nel capoluogo del Limburgo, ma non mi ricordo quante erano le birre alla spina (12? 18?).

Ricordo una birreria artigianale in una città costiera nel nord della Norvegia.

Ricordo una pinta di Brewdog Punk IPA in un pub di Zurigo, nell'attesa tra un treno e l'altro.

Ricordo pub irlandesi affollatissimi che quando riuscivi ad avvicinarti al bancone ti chiedevano "Quante?" (sottinteso: pinte di Guinnes).

Ricordo la prima pinta di Maltsmiths presa nel pub dell'aeroporto di Stansted.

Ricordo un trasferimento non stop in treno da Killarney ad Arles, e ricordo che avendo pochi franchi in tasca alla Gare du Nord a Parigi cenai con una Stella Artois - e ricordo che sul treno notturno diretto a  Marsiglia ci eravamo stesi sui sedili per lungo, occupando un'intero scompartimento in due; ricordo i due giovani balcanici che obiettarono aggressivamente al proposito e ricordo come furono ridotti a miglior consiglio.

Poi gli posero davanti del pane, gli offrirono della birra,
ma Enkidu non assaggiò il pane né bevve la birra,
perché non sapeva di che si trattava.
La prostituta prese la parola e disse a Enkidu:
«Mangia il pane, Enkidu! Esso è adatto alla divinità.
Bevi la birra! Essa si addice alla regalità».

Enkidu allora mangiò il pane fino a sazietà,
e della birra bevve sette boccali finché il suo animo
si rallegrò, il cuore gioì e il volto gli si illuminò.
Cominciò a spargere d’acqua il corpo peloso,
l’unse con olio e divenne simile a un uomo.
Indossò un vestito e fu simile a uno sposo.

(Epopea di Gilgamesh)

Il pasto sacro a base di pane e vino ha qui evidenti radici, e in questo passo la prostituta è una prostituta/ierodula, Šamḫat , probabilmente una sacerdotessa di Inanna; Enkidu, spesso identificato con il mitico "uomo selvaggio", potrebbe anche essere l'immagine dell'uomo preneolitico, che "vive con gli animali" e non conosce pane e birra. Il nome di Enkidu significa "Creazione di Enki". Enki è il dio di tutte le acque e protettore di chiunque cerchi il suo aiuto. Enkidu sarà l'inseparabile compagno di Gilgamesh in tante delle sue avventure.

Pare che nella storia dell'umanità la birra arrivi assieme al pane, cioè quasi sicuramente prima del vino. I Sumeri avevano una matematica basata sul calcolo numerico in base 60 e conoscevano il teorema di Pitagora ben prima che gli fosse dato tale nome (http://progettomatematica.dm.unibo.it/NumeriAdditivi/sumeri.html). I Sumeri chiamarono la birra sikaru, che significava "pane liquido", e la prima testimonianza archeologica al riguardo risale al 3.100-2.700 A.C (https://en.wikipedia.org/wiki/Blau_Monuments ), il momumento Blau, che attesta un'offerta di birra alla dea Nin-Harra. Forse la prima testimonianza di una fermentazione preindustriale . I Sumeri avevano un altro nome per la birra di farro e calcolavano in birra il salario degli operai. Anche gli antichi Egizi birrificavano, facevano la birra con orzo e frumento e la aromatizzavano variamente, tipo con datteri e miele (pratica diffusa anche tra i Sumeri). In breve il passaggio neolitico-Età Antica produce tutto assieme: agricoltura, cereali, pane e birra.

Per quanto il luppolo fosse pianta nota e variamente usata nell'antichità occorre attendere l'alto medioevo per la sua introduzione nella produzione della birra. San Corbiniano di Frisinga, un altro monaco e vescovo franco (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2023/07/i-beati-e-la-belladonna.html), fondò un monastero a Freising e lo dotò di una birreria; nei pressi del monastero è stato attestato un orto di luppolo (https://www.giornaledellabirra.it/luppolo/archeologia-del-luppolo-una-storia-umana-lunga-oltre-3000-anni/). Questo farebbe datare l'introduzione del luppolo nella birrificazione all' VIII secolo dopo Cristo (nello stesso periodo nascono le birrerie dei monaci trappisti).

Dopo di che passiamo alla chimica

La maggior parte dei composti che forniscono l'aroma alle birre moderne provengono dal luppolo, o meglio dai suoi olii essenziali. In particolare gli alfa acidi (umulone, coumulone, adumulone, postumulone e preumulone i principali) durante il processo di birrificazione vengono isomerizzati, diventando più solubili nella soluzione idroalcolica e dando il maggior contributo all'amaro della birra. I beta acidi invece essendo poco solubili forniscono uno scarso contributo all'aroma della bevanda Gli alfa acidi hanno anche un'azione batteriostatica e contribuiscono alla conservazione della bevanda.

Umolone

Poi ci sono i terpeni. Il mircene, largamente diffuso nel mondo vegetale, oltre che nell'olio essenziale di luppolo è presente per esempio nel timo e nel cardamomo (e nella Cannabis Sativa).

Il carofillene lo troviamo invece anche nel mirto, nel rosmarino (e ancora nella Cannabis). E' un agonista del recettore dei cannabinoidi di tipo 2 (e ricordo che questo tipo di attività ha tra i suoi risultati rilassatezza e buon umore). Viene usato nell'industria alimentare come aroma.

Last but not least, gli esteri, primi responsabili del grado e del tipo di fruttatura della birra. La loro formazione avviene da alcoli e acidi presenti nel malto fermentato ancora grazie a composto presente nel luppolo, l'acetil coenzima A, che rende possibile al lievito la produzione di esteri nelle condizioni del processo. La quantità di esteri è bassa nelle bionde chiare e alta nelle rosse, nelle bitter, nelle ale, in generale nelle birre trappiste.

Ah, poi ovviamente c'è l'etanolo. La sua concentrazione finale dipende dalla quantità di zuccheri nel malto. Come i più sapranno si va dai circa 4° fino a molto più su: il record riguarda una birra di 67.5° (praticamente alcolica quanto un whisky cask strenght). A partire dal 2008 ci fu una gara alla birra più alcolica tra Schorschbock e Brewdog (produttore che rispetto moltissimo per la sua Punk IPA). Cominciò Schorschbock con una birra a 30°, Brewdog ribatté arrivando fino a 55° e la storia finì con Brewmasters che si inserì in testa con due birre, Armageddon (65°) e Snake Venom (67.5° https://www.hopt.it/magazine/beer-style/3/le-birre-piu-alcoliche-e-forti-mai-prodotte-al-mondo/88) .  Personalmente trovo molto più interessante l'invecchiatura in botti, pratica piuttosto diffusa tra i grandi produttori belgi ma anche tra le produzioni artigianali italiane, per esempio, e le botti possono essere ex whisky, ex rum o ex cognac. Suggestivo ( la gradazione è di solito tra gli 11° e i 12°).

E concludo con versi di Umbero Saba che mettono assieme pane e birra

Questo pane ha il sapore d'un ricordo,
mangiato in questa povera osteria,
dov'è più abbandonato e ingombro il porto.

E della birra mi godo l'amaro,
seduto del ritorno a mezza via,
in faccia ai monti annuvolati e al faro.

PS: Considerazione a margine: per quanto le tecniche genetiche di questi tempi siano di grande importanza nella paleoantropologia e anche anche nell'archeologia non dobbiamo scordarci della paleografia che, a differenza delle indagini più moderne, ci restituisce qualcosa di insostuibile: il senso umano, non catturabile da nessun set di cromosomi.

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