Nonostante qualcuno abbia focalizzato in passato l'attenzione sulla glicoproteina E2, i recenti passi da gigante nel campo della terapia dell'epatite C sono stati fatti con inibitori di NS5B (il famoso sofosbuvir, per esempio), di NS5A (ledipasvir, per esempio, che assieme a sofosbuvir è contenuto in Harvoni), inibitori di NS3/4A (come il glecaprevir, contenuto nel Mavyret di AbbVie, la cui struttura vedete nell'immagine, altro esempio di chimica medicinale estremamente sofisticata).
Gli inibitori di NS3/4A di prima generazione, aciclici, come il boceprevir (Merck) erano stati spazzati via da Sovaldi e Harvoni, nettamente superiori.
Ma il germe della nuova generazione era stato seminato con ciluprevir (Boehringer Ingelheim), il cui sviluppo fu interrotto da problemi di tossicità. Però era stato il primo inibitore macrociclico di NS3/4A: sono seguiti grazoprevir (Merck), paritaprevir (AbbVie), simeprevir (Jansenn), vaniprevir (Merck) voxilaprevir (Gilead). E ovviamente glecaprevir, che in combinazione con pibrentasvir costituisce quel Mavyret di AbbVie che ha ha tolto a Gilead il monopolio tecnologico sull'area terapeutica.
Tutto l'onorevole lavoro svolto su HCV/E2 si è quindi verificato ben lontano dai target su cui si stava costruendo la rivoluzione nel trattamento dell'epatite C. E in questo non c'è niente di strano.
Basta non fare intendere altrimenti o quasi...
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.