Che esista uno spionaggio industriale cinese è storia vecchia (https://www.reuters.com/article/us-china-cyber-usa/u-s-allies-slam-china-for-economic-espionage-spies-indicted-idUSKCN1OJ1VN), e che gli USA siano gli unici a preoccuparsene è, o dovrebbe essere, un altro fatto noto.
Questo perché, anche se in modo niente affatto lineare, gli USA continuano a ritenere la ricerca pubblica (e privata) come una risorsa strategica.
Oggi si parla molto dell'attività di FBI e commissioni senatoriali riguardo una sistematica infiltrazione cinese nella ricerca pubblica USA, per quanto, come sottolineano gli articoli, si tratti dei risultati di programmi nascosti in bella vista.
Qua non si tratta di baubau politici (gli hacker russi), queste sono vicende assai più concrete: il frutto di ricerche finanziate da NIH veniva trasferito a laboratori cinesi.
Notare che invece in Italia (ma verrebbe da dire in Europa) la ricerca, e specialmente quella biomedica, non viene considerata un asset strategico. Si potrebbe dire che nonostante le sostanziose dotazioni di Horizon 2030 si è comunque convinti della sua irrilevanza, e quindi che importa.
In Italia poi non esiste niente che sia strategico: industria o banche, esattamente la stessa cosa. Siano di proprietà nazionale o estera è del tutto indifferente, ed è giusto che così sia. Tranne poi ritrovarsi con tre crisi industriali parallele (Ilva, Alitalia, Whirpool) che, stando a quanto ne parlano, preccupano molto più la stampa economica anglofona che quella nazionale. Specialmente per le loro implicazioni politiche.
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