venerdì 19 giugno 2020

REMDESIVIR E GLI ALTRI, LA QUESTIONE DELLA DISPONIBILITA'




Ai primi di aprile, mi pare, un portavoce di Gilead disse che l'azienda non si aspettava un uso di remdesivir in chiave antipandemica, per cui il farmaco disponibile era destinato in primo luogo ai trial.
Questo è un problema di cui si è parlato, ma solo negli USA ed è un problema tecnico.
All'incirca nello stesso periodo un medico mi aveva chiesto quanto tempo ci sarebbe voluto a mettere su in Italia una produzione capace di coprire il nostro fabbisogno massimo.Avevo risposto: tre mesi, con fulmini di guerra sull'impianto pilota e alla manifattura iniettabili e porte spalancate al ministero e ad AIFA. Era rimasto stupito: così tanto?
E col conto della serva a coprire il fabbisogno italiano sarebbe servita una decina di chili o due di principio attivo.
Pensate a metter su una produzione per quintali, destinata al fabbisogno mondiale. Un film completamente differente.
E questa è una faccenda di chimica di processo e produzione, con la sua logistica: due cose a cui di solito, parlando di farmaci, non pensa nessuno. E spesso non ci pensano neanche coloro che le sintesi chimiche le hanno fatte solo e soltanto in laboratorio.
Ad aprile si parlava del problema su CEN (https://cen.acs.org/biological-chemistry/infectious-disease/Scaling-remdesivir-amid-coronavirus-crisis/98/web/2020/04). Una nota: se ci fate caso gli intervistati da CEN sono chimici di processo attualmente collocati in università USA, ma provenienti da grandi farmaceutiche. Le ristrutturazioni degli ultimi 15 anni hanno pesantemente colpito la chimica di processo, anche perché la filosofia che ha preso piede è "allo scale up ci penserà la produzione conto terzi", ed essendo ormai il nocciolo della produzione conto terzi in Asia...
Comunque, in breve, Gilead con remdesivir non era pronta all'uso antipandemico, e il processo produttivo era stato ottimizzato "quanto basta" per le precedenti necessità (ovvero a naso non era andato oltre l'impianto pilota).
Né era stato messo a punto il network dei terzisti, che non è cosa che si risolve banalmente inviando i master batch record dicendo "fate così". Il trasferimento di tecnologia deve essere seguito e assistito in loco, per essere sicuri che la produzione dell'intermedio sia in grado di dare un prodotto costantemente conforme alla qualità richiesta.

Insomma, prepararsi a forniture antipandemiche è complicato, ed è più complicato oggi che venti anni fa, con le piccole molecole. Con i biologici è anche peggio, perché stando alla regolazione vigente di fatto non è possibile affidarsi a terzisti per parte della produzione. In questa ottica va esaminata la faccenda degli anticorpi monoclonali anti SARS-CoV-2. Che ce ne siano diversi in sviluppo è una buona cosa, ma i tempi dello sviluppo clinico dicono che è improbabile che un singolo anticorpo venga approvato entro il prossimo inverno (considerate che remdesivir, che già era in sviluppo clinico avanzato, ha collezionato due approvazioni in emergenza ma nessuna approvazione definitiva, e siamo a giugno). Al momento le migliori chance per una eventuale prossima ondata di COVID in inverno restano due: la combinazione remdesivir-baricitinib, e i risultati del trial NIAID dovrebbero essere annunciati a breve, e remdesivir-tocilizumab (trial Gliead-Roche, e se va bene ne sapremo qualcosa a settembre).

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