martedì 23 febbraio 2021

COVID E FARMACI: INIBITORI DI PROTEASI E "TESTATE"

 

Nell'immagine vedete un segmento di molecola identificato come warhead (testata). Cosa si intende per warhead? Un gruppo chimicamente reattivo in grado di creare legami covalenti con un aminoacido del sito catalitico (cioè il sito attivo) di una proteina, di solito una cisteina (sono i casi in cui si parla di inibizione irreversibile).
Non così succede con buona parte dei farmaci, che di solito giocano sulla capacità di "incastrarsi" nel sito catalitico, giocando su legami più deboli (tipicamente legami a idrogeno, ma si gioca anche su interazioni tra residui apolari).
Mediamente avere gruppi reattivi in un candidato farmaco non è gran che bello, perché a regola prima di interagire con la proteina bersaglio possono attaccarsi a molte altre cose: un classico esempio di farmaci con gruppi reattivi sono i cosiddetti alchilanti del DNA (https://it.wikipedia.org/wiki/Alchilanti), la prima classe di antitumorali ad essere individuata: in breve i chemioterapici più vecchi e più tossici. Ma nel nuovo millennio sono venute fuori classi di farmaci più precisi e sofisticati che fanno uso di warhead; in primis, per impatto, gli inibitori covalenti di EGFR e VEGFR, un bel passo avanti negli antitumorali targeted: si gioca sulla struttura del farmaco in modo da far sì che la testata arrivi solo dove deve arrivare (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../oncologia...).
Ma torniamo a SARS-CoV-2.
Durante la primavera del 2020 alcuni sforzi accademici per individuare inibitori di proteasi virale contro SARS-CoV-2 avevano fatto un buco nell'acqua (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../covid-19-la...), avevano usato una warhead ma anche con quella erano arrivati a un punto morto nell'ottimizzazione dell'attività dei loro composti.
Quasi un anno dopo arriva, ancora una volta su Science, il lavoro di un gruppo di accademici cinesi (https://science.sciencemag.org/.../02/17/science.abf1611...). Nel loro caso la warhead non è l'estremo tentativo per ottenere un'attività in vitro ottimale, ma è ab initio inclusa nella struttura delle molecole indagate. L'attività è buona, il modello animale c'è, staremo a vedere se mai si arriverà alla sperimentazione clinica.
Ma nel frattempo sul fronte inibizione della proteasi virale ci sono stati fatti molto più rilevanti, negli ultimi cinque mesi. Anzi UN fatto, e il fatto è PF07304814 (https://www.biorxiv.org/.../2020.09.12.293498v1.full.pdf).
Non badate al dettaglio che si tratti di un preprint: PF07304814 dovrebbe finire la fase II a breve. Questo cosa significa? Che su PF07304814 non esistono ancora articoli peer reviewed, ma FDA ha in mano una Investigational New Drug Application con i dati dello sviluppo preclinico, il dettaglio del processo produttivo e dei metodi analitici usati per il controllo della produzione e del prodotto, e su questa base di informazioni ha dato l'ok all'inizio della sperimentazione clinica. E questo è esattamente quello che accade di solito.
Tra l'altro PF07304814 non ha bisogno di incorporare una warhead nella sua struttura per avere un'attività ottimale (cose che possono capitare, se hai un certo know how quanto a chimica medicinale).
Ne ho già parlato ma lo ripeto: quello sull'inibitore di proteasi Pfizer è un lavoro importante, al di là dell'esito che avrà, perché PF07304814 nasce da una banale modifica di quello che era stato un composto Pfizer tirato fuori ai tempi della SARS del 2003. La proteasi 3CL di SARS-CoV-2 è al 96% uguale a quella di SARS-CoV-1, e i loro siti catalitici sono identici. Questo è importante perché ci dice che queste proteasi nei coronavirus "cattivi" cambiano poco o niente tra l'uno e l'altro, e quindi esibiscono una bassissima tendenza alla mutazione. Se PF07304814 non uscirà bene dalla fase II avrà comunque mostrato la strada da percorrere.

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