sabato 21 gennaio 2023

SMALTO E QUALCHE ALTRA COSA

 

Tra i "tools of the trade" ce ne sono da sempre diversi che ho apprezzato anche esteticamente, nel senso più completo, compreso il piacere di usarli. Tra tutti più degli altri direi i palloni a tre colli "heavy duty" da 12 litri di una certa vetreria americana e l'acciaio smaltato.

Il reattore di glass lined steel è smaltato tradizionalmente di blu (anche se da molti anni lo smalto bianco è ormai piuttosto frequente). Lo smalto lo rende inattaccabile dagli acidi, ma presenta una certa sensibilità ai reagenti alcalini concentrati a caldo e ovviamente all'acido fluoridrico (come il vetro borosilicato). L'agitatore di cui il reattore è dotato può essere di diversi tipi, ma l'agitatore per eccellenza ai tempi era l' "impeller" (Retreat Curve Impeller). Per capire come funziona potete dare un'occhiata qua https://www.bakker.org/cfm/rci.htm La curvatura delle pale aveva anche il fine di ridurre l'attrito sullo smalto dove la velocità lineare è più alta (alle estremità) perché se lo smalto ha una buona resistenza chimica con quella meccanica è tutto un altro paio di maniche (sempre di vetro si tratta). Ed eccolo qui, l'impeller di acciaio smaltato, del suo caratteristico blu. Se non trovate un minimo affascinanti il suo colore, la sua lucidità e la sua geometria beh, non posso farci niente. Nota strettamente tecnica: da un certo punto di vista l'impeller (come i successivi CBT- Curve Blade Turbine - e PBT - Pitched Blade Turbine) sono degli omnibus: roba più o meno buona per tutte le stagioni. Ma in 20 anni e passa talvolta sono stati gli agitatori a ancora a risolvermi il problema: basso sforzo di taglio, eccellenti performance con slurry (miscele solido-liquido) molto dense. Ai tempi dei tempi un'ancora (https://tinyurl.com/22b887sj) fece la differenza tra il 97% e il 99% di grado HPLC (grossolanamente: purezza) del prodotto finito.

E questa è una parte dello straniamento quando si comincia ad avere a che fare con un nuovo impianto pilota. Ovviamente ogni singolo reattore è minuziosamente descritto dagli ingegneri, disegni, potenza massima di raffreddamento e di riscaldamento e tutto il resto. Ma tutto ciò non sostituisce "la mano", che non vuol dire il tocco sulle valvole. No, vuol dire conoscere i gradienti tipici di ogni reattore tra temperatura interna e temperatura della camicia. Vuol dire sapere cosa la differente agitazione significherà rispetto alle prove di laboratorio e di Kilolab. 

Tempo fa  mentre ero arrivato a controllare quel che succedeva durante un primo scale up su scala 2000 litri il giovane ingegnere di processo che si occupava delle operazioni mi disse: "La temperatura è a 23° C in salita. Siamo nei limiti". Il limite era 25°C."Chi ti dice che la crescita di temperatura si fermerà prima di 25°C?". Il giovane si mise a ridere. L'operatore più anziano della squadra si era già piazzato al quadro controlli "A che temperatura la vuole, la camicia?" mi chiese."16°C", risposi. E inchiodammo la blanda esoterma a 24,5 °C (cosa importante, considerata l'instabilità di quell'intermedio, crescente con la temperatura anche per T basse).

Mi ricordo un mio vecchio professore che disse "La chimica è tutta questione di gradienti". Difficile dargli torto: gradienti di concentrazioni, gradienti di potenziale chimico, cioè di energia libera e quindi di entalpia e entropia (in realtà la cosa va un po' oltre quel che comunemente si intende per "chimica" https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/11/loin-de-lequilibre.html). Ma nella chimica su scala il gradiente di temperatura è tutto, e ogni macchina tende ad averne uno diverso.

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