L'Evoluzione della Disinformazione Pseudoscientifica
Gira sul web un articolo palesemente falso su "Il gigante dal collo lungo dell'Amazzonia", esempio contemporaneo di disinformazione pseudoscientifica. Questo tipo di contenuti rappresenta l'evoluzione di un fenomeno che persiste da almeno cinquant'anni, con le "tombe dei giganti" e simili leggende urbane che si perpetuano attraverso le generazioni, con tecnologie sempre più sofisticate.
L'elemento distintivo dell'era contemporanea è la democratizzazione della falsificazione: se negli anni '70-'90 servivano competenze tecniche per creare fotomontaggi credibili, oggi l'intelligenza artificiale generativa permette a chiunque di produrre "prove" fotografiche convincenti in pochi secondi. Questa evoluzione ha amplificato esponenzialmente il fenomeno, trasformando la produzione di disinformazione da artigianale a industria diffusa, parte dell' "economia digitale".
Il ciclo si perpetua attraverso il riciclaggio costante delle stesse narrazioni di base: giganti, civiltà perdute, interventi alieni, misteri archeologici. Gli stessi temi vengono semplicemente "rinfrescati" con nuove immagini generate dall'AI, sfruttando il fatto che il pubblico dimentica le precedenti confutazioni e ricasca nelle medesime trappole cognitive.
Peter Kolosimo e la Fantarcheologia degli Anni '70
Il nome di Peter Kolosimo emerge come esempio paradigmatico di questo fenomeno. I suoi libri - "Non è terrestre" (1968), "Terra senza tempo", "Astronavi sulla preistoria" - hanno definito il template della cosiddetta "fantarcheologia": prendere scoperte archeologiche reali, aggiungere speculazioni selvagge e concludere sistematicamente con spiegazioni extraterrestri.
La formula di Kolosimo era semplice ma efficace: ogni anomalia archeologica diventava prova di intervento alieno. Le linee di Nazca erano piste di atterraggio, i megaliti risultato di tecnologia extraterrestre, qualsiasi capacità tecnica antica era automaticamente "impossibile" per gli esseri umani del tempo. Zero metodologia scientifica, ma grande capacità narrativa che vendeva milioni di copie.
Tuttavia, la discussione ha evidenziato un punto cruciale: il successo di Kolosimo e della fantarcheologia in generale beneficiava di una rigidità e chiusura della comunità scientifica dell'epoca. L'accademia tendeva a ignorare o espungere "fatti" che non rientravano nei paradigmi dominanti, creando vuoti interpretativi che i pseudoscienziati sapevano sfruttare con abilità.
Il Paradosso Accademico: Strumenti Esistenti, Applicazione Limitata
Un aspetto particolarmente interessante emerso dalla conversazione riguarda la disponibilità, già negli anni '60-'70, di strumenti metodologici adeguati per affrontare seriamente fenomeni come le conoscenze tradizionali dei popoli non-europei. Figure come Mircea Eliade, con il suo "Trattato di storia delle religioni" (divenuto testo di studio in molte facoltà), Claude Lévi-Strauss nell'antropologia strutturale, e prima ancora Sir James George Frazer con "The Golden Bough", avevano fornito framework teorici sofisticati per studiare sistemi di credenze "altri" senza riduzionismi occidentali.
L'approccio fenomenologico di Eliade permetteva di comprendere la logica interna delle credenze senza liquidarle come "primitive" o "contaminate". Lévi-Strauss aveva sviluppato l'analisi strutturale per decifrare i sistemi simbolici. Frazer, nonostante i limiti dell'evoluzionismo lineare, aveva raccolto una massa comparativa enorme su pratiche religiose e magiche mondiali.
Il paradosso era che questi strumenti esistevano, ma l'antropologia "sul campo" rimaneva spesso ancorata a vecchi pregiudizi evoluzionistici ed eurocentici. Questo ha creato il terreno fertile per l'opportunismo pseudoscientifico: i vari Kolosimo potevano dire "Vedete? Gli scienziati nascondono/ignorano la verità!" e costruire narrazioni alternative che, pur essendo fantasiose, almeno consideravano quei fatti anomali che l'accademia ignorava.
Il Contrasto tra Libertà Speculativa e Rigore Contemporaneo
La discussione ha toccato un punto nostalgico importante: gli anni '60-'70 rappresentavano un'epoca di incredibile libertà speculativa rispetto ai vincoli contemporanei. Paradossalmente, nonostante i limiti istituzionali descritti, esisteva uno spazio per il pensiero audace molto maggiore di oggi.
Quegli anni permettevano confini disciplinari fluidi, editori disposti a pubblicare opere ambiziose e interdisciplinari, un pubblico intellettuale più vasto e curioso, meno pressione della peer-review asfissiante, e soprattutto la possibilità di costruire "grandi narrazioni" senza essere immediatamente demoliti dalla critica specialistica.
Il panorama contemporaneo presenta caratteristiche opposte: iperspecializzazione che scoraggia i collegamenti interdisciplinari, logiche di "publish or perish" che premiano la quantità sulla originalità, paura del ridicolo accademico che paralizza l'innovazione, social media che amplificano ogni critica, e sempre meno editori disposti a rischiare su opere "difficili".
Il risultato paradossale è che personalità come Eliade, Lévi-Strauss o Fraser, che potevano spaziare liberamente tra discipline, oggi sarebbero probabilmente considerati "non rigorosi" o "troppo generalisti". Il prezzo della maggiore "serietà" metodologica è stata una certa sterilizzazione del pensiero speculativo.
Il Caso Dogon: Anatomia di una Controversia
Il fulcro centrale della discussione si è concentrato sui Dogon del Mali e la controversia sulla loro presunta conoscenza di Sirio B, la stella compagna invisibile di Sirio. Questo caso rappresenta un esempio perfetto di come questioni etnografiche legittime possano essere distorte tanto dalla pseudoscienza quanto dai pregiudizi accademici.
La vicenda inizia con Marcel Griaule, antropologo francese che studiò i Dogon dal 1931 al 1956. Nel 1946, Griaule trascorse 33 giorni consecutivi in conversazioni con il saggio Dogon Ogotemmeli, che divenne la fonte primaria delle sue successive pubblicazioni con Germaine Dieterlen. Da questi colloqui emergerebbe la straordinaria affermazione: i sacerdoti Dogon sapevano che Sirio aveva una stella compagna invisibile all'occhio umano, che si muoveva in un'orbita ellittica di 50 anni, piccola e incredibilmente pesante.
Il problema cronologico è evidente: Sirio B era stata scoperta dagli astronomi occidentali nel 1862 e confermata fotograficamente nel 1925, ben prima delle interviste di Griaule. Inoltre, tutto il materiale utilizzato da Griaule si basa esclusivamente su quelle interviste del 1946 in poi - non esistono fonti precedenti che documentino questa conoscenza.
La Critica di van Beek e la Mancanza di Risoluzione
Nel 1991, l'antropologo Walter van Beek pubblicò una critica devastante del lavoro di Griaule. Van Beek, che aveva studiato i Dogon dopo Griaule, non trovò evidenza che i Dogon considerassero Sirio una stella doppia o che l'astronomia fosse particolarmente importante nel loro sistema di credenze. Van Beek identificò tre gruppi di errori nella ricerca di Griaule: la scarsità di dati, la non verificabilità degli stessi, e l'inappropriatezza delle analisi.
Tuttavia, la famiglia Griaule contrattaccò, con Geneviève Calame-Griaule che ribaltò le accuse contro van Beek, questionando i suoi metodi etnografici e i suoi informatori, sostenendo che van Beek, e non suo padre, era forse il raggirato.
Il punto cruciale emerso dalla discussione è che nel 2025 il problema Sirio B non è risolto. È rimasta una battaglia di interpretazioni etnografiche senza una risoluzione definitiva, un esempio perfetto di come controversie metodologiche possano rimanere aperte per decenni.
La Distinzione Cruciale: Sirio vs Sirio B
Un elemento fondamentale emerso dall'analisi è la necessità di distinguere tra due questioni separate:
-
L'importanza di Sirio nella religione Dogon: Questo sembra documentato indipendentemente da Griaule, attraverso cerimonie come la sigui, che si tiene ogni 60 anni quando Sirio appare tra due picchi montani.
-
La conoscenza specifica di Sirio B e delle sue proprietà: Questa compare esclusivamente nelle testimonianze raccolte da Griaule dopo il 1946.
La distinzione è fondamentale perché spesso viene confusa nel dibattito. I Dogon avevano chiaramente Sirio nel loro sistema religioso/astronomico - fatto che di per sé non ha nulla di misterioso, considerando che Sirio è la stella più brillante del cielo notturno e visibilissima dall'Africa subsahariana.
La Lacuna negli Studi Etnografici
La ricerca ha evidenziato una significativa lacuna documentale: mentre esistono studi sull'astronomia culturale africana più ampia, manca una letteratura specifica sul ruolo di Sirio nei sistemi tradizionali Dogon che sia indipendente dalla controversia Griaule/Sirio B.
Quello che manca è uno studio etnografico che esamini Sirio nel sistema Dogon come si farebbe con qualsiasi altra cultura - analizzando il suo ruolo nei cicli agricoli, nelle cerimonie, nella navigazione temporale, senza il bias della "conoscenza impossibile". È una lacuna metodologica significativa: il ruolo di Sirio merita studio antropologico serio, indipendentemente dalla questione Sirio B.
L'Astronomia Neolitica Europea: Un Confronto Illuminante
La discussione ha preso una svolta decisiva con il confronto tra l'astronomia Dogon e quella neolitica europea. Il neolitico europeo abbonda di monumenti strettamente collegati all'astronomia: Stonehenge, naturalmente, ma anche i 3000+ menhir di Carnac (Bretagna, 4500-3300 a.C.) con orientamenti precisi verso solstizi ed equinozi, Newgrange (Irlanda, 3200 a.C.) con la camera illuminata dal sole al solstizio d'inverno, Goseck (Germania, 4900 a.C.) e molti altri.
Questi monumenti sono studiati seriamente e le competenze astronomiche dei loro costruttori sono celebrate: "geniali astronomi preistorici", "antichi scienziati", "computer di pietra". Nessuno dubita delle capacità intellettuali di pastori bretoni di 6000 anni fa nell'osservare sistematicamente i cicli celesti.
L'Identificazione del Topos Razzista
Il confronto ha permesso di identificare con precisione chirurgica un pattern razzista strutturale nell'etnologia. Il doppio standard è cristallino:
Per gli europei neolitici:
- Competenze astronomiche = "straordinaria intelligenza ancestrale"
- Nessuno dubita delle loro capacità di osservazione sistematica
- Ogni scoperta archeologica conferma il "genio" europeo
Per gli africani:
- Conoscenze astronomiche = "impossibile", "contaminazione", "alieni"
- Default: incapacità presunta di osservazione del cielo
- Devono averlo sentito da qualcun altro
Il pregiudizio strutturale è evidente: l'etnologia ha sistematicamente negato agency intellettuale ai popoli africani. Quello che per un europeo è "genio ancestrale", per un africano diventa "mistero inspiegabile".
Un Pattern Più Ampio di Negazione
Il caso Dogon si inserisce in un pattern più ampio di negazione sistematica di molte competenze non-occidentali:
- Matematica yoruba = sospetta
- Navigazione polinesiana = prima negata, poi attribuita alla "fortuna", infine riluttantemente riconosciuta
- Metallurgia africana = "deve essere arrivata dal Medio Oriente"
- Architettura zimbabwana = attribuita agli arabi
Il meccanismo perverso è sempre lo stesso: più sofisticata è la conoscenza non-europea, più deve essere negata attraverso contaminazione, diffusione, intervento esterno. Mai capacità autonoma, mai intelligenza indigena.
La Spiegazione Ovvia Ignorata
La soluzione al "mistero" Dogon (per la parte relativa a Sirio, non a Sirio B) è banalmente semplice: Sirio è la stella più brillante del cielo notturno, perfettamente visibile dall'Africa subsahariana. È naturale che diventi centrale in sistemi religiosi e agricoli, esattamente come il sole lo era per i costruttori di Stonehenge.
Non serve contaminazione, non servono alieni, non serve nemmeno una spiegazione particolare. Serve solo riconoscere che l'osservazione astronomica è universalmente umana e che l'intelligenza non è monopolio europeo.
Conclusioni: Scienza, Pregiudizio e Metodo
Il caso Dogon rappresenta un microcosmo perfetto delle patologie che possono affliggere la ricerca etnografica quando si interseca con pregiudizi razziali inconsci. La vicenda dimostra come:
-
La pseudoscienza prospera sui vuoti lasciati dall'accademia: Quando la ricerca seria ignora fenomeni legittimi per pregiudizio, lascia spazio ai ciarlatani.
-
I bias razziali distorcono la percezione scientifica: Lo stesso fenomeno (osservazione astronomica) è valutato diversamente a seconda dell'origine etnica di chi lo pratica.
-
La metodologia può essere usata sia per illuminare che per oscurare: Gli stessi strumenti critici che dovrebbero rivelare la verità possono essere usati per perpetuare pregiudizi.
-
La mancanza di risoluzione definitiva non è sempre un fallimento: Alcune controversie restano aperte perché riflettono problemi metodologici più profondi.
Il caso Dogon, quindi, trascende la questione specifica di Sirio B per diventare una finestra sui meccanismi attraverso cui la scienza può perpetuare o sfidare i pregiudizi culturali. La lezione più importante è forse che la vera rigorosità scientifica richiede non solo metodi corretti, ma anche la consapevolezza critica dei propri bias culturali.
In definitiva, il "mistero" Dogon dice più sui limiti dell'etnologia occidentale che sui presunti misteri dell'astronomia africana. E questa, paradossalmente, potrebbe essere la scoperta più importante di tutta la vicenda.
Fonti Citate
- "A Field Evaluation of the Work of Marcel Griaule"
- "Cosmology of the Dogon People – Stars, Spirits & Creation"
- "African cultural astronomy : current archaeoastronomy and ethnoastronomy research in Africa" r
- "Sigui- Religious cerimony"
- "Trattato di storia delle religioni" - Mircea Eliade
- "The Golden Bough" - Sir James George Frazer
- "Tristi Tropici" - Claude Lévy Strauss
- "The mistery of France's Stonehenge" - BBC
- "The Grat Zimbawe National Monument" - Unesco
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.