giovedì 10 maggio 2018

PRIMA O POI DARANNO UN NOBEL A QUESTA DONNA

Non sono riuscito a trovare una versione sottotitolata in italiano di questo video, purtroppo. Ma anche senza sottotitoli in molti troveranno la Bertozzi perfettamente comprensibile.
Allora, per anni avete sentito dire "il gene X della malattia Y". Questo implica che gene=proteina. Il gene X codifica la proteina Y e quindi parlare di gene o proteina è la stessa cosa.
Il punto è che le proteine non sono semplicemente concatenazioni di amminoacidi. Subiscono modifiche posttraslazionali, e sono modifiche di rilievo: basti pensare alla fosfatazione, processo appena appena rilevante, visto che ci pensano le chinasi (e gli inibitori di chinasi, da sutent e imatinib in poi, sono stati uno dei major advancements nelle terapie oncologiche degli ultimi 20 anni).
Tra le altre varie modifiche posttraslazionali c'è la glicosidazione. Ovvero molecole di uno zucchero (tipicamento glucosio ma non solo) vengono legate agli OH di alcune serine o treonine della catena proteica.
L'importanza della glicosidazione è stata sminuita dalla corrente culturale genomicista per ovvi motivi (gene=proteina ), dicendo che trattasi di processo casuale. Beh, Carolyn J Bertozzi, chimico che si occupa di glicobiologia, da anni dice che no, il processo non è casuale.
Nel video mostra come le cellule tumorali "usano" la glicosidazione per eludere il sistema immunitario: hanno una alta densità di acido sialico sulla superficie della membrana cellulare che dice al linfocita "Tutto ok!".
L'acido sialico per eccellenza (ce ne sono diversi) è l'acido N-acetineuraminico (NANA, per gli amici) ed è uno zucchero. Uno zucchero di importanza biologica incredibile: per esempio i virus influenzali usano la neuraminidasi per "staccare" le molecole di NANA dalla superficie della cellula per garantire l'uscita dei nuovi virioni appena replicati. La neuroaminidasi virale rimuove NANA anche dal capside dei nuovi virioni al fine di garantirne la mobilità nel muco dell'apparato respiratorio (per questo i principali antivirali antiinfluenzali sono inibitori di neuroaminidasi).

lunedì 7 maggio 2018

ANTIBIOTICI - 4 - GATES FOUNDATION, AFRICA, CHEMOPREVENZIONE

Per quale perverso senso dell'ironia o percorso logico il trial sia stato battezzato MORDOR lo sa Iddio. Perché l'acronimo è stato evidentemente cercato, dato che il nome completo sarebbe "Macrolides Oraux pour Réduire les Décès avec un Oeil sur la Résistance".
(Un lettore ha trovato questo, e la faccenda resta creepy)

L'articolo espone con estrema chiarezza i limiti del programma e dello studio, fatti "come si poteva" - ovvero non granché bene. Il "non granché bene" è ormai diventato una costante, quando si parla di programmi sanitari in Africa o ricerca di questa o quell'altra fondazione (e spesso pure di WHO) (l'ultima vicenda significativa questa).
Comunque nei limiti dello studio è stata osservata una riduzione della mortalità - in media non impressionante, ma più alta nelle fasce di età più basse - e non è stato osservato l'insorgere di resistenze (per il poco che è stato osservato nel poco tempo, ovvero che il trattamento non ha perso efficacia - più che un occhio alla resistenza un'occhiatina di sguincio).
E' stata usata azitromicina, ovvero un macrolide. I macrolidi (forse il più noto l'eritromicina) sono antibiotici importanti. Da noi costituiscono la principale arma efficace, per esempio, per una infezione pediatrica non molto frequente ma decisamente insidiosa: la broncopolmonite da micoplasmi (non auscultabile, spesso). I macrolidi costituiscono l'arma più sicura che abbiamo, al momento, contro micoplasmi e micobatteri (l'altra sarebbero i fluorochinoloni, di cui abbiamo già parlato).

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5849140/

domenica 6 maggio 2018

ANTIBIOTICI - 3 - CHINOLONICI, PARTE II



"Per decenni le agenzie regolatorie e la professione medica sono stati scettici sul fatto che un breve ciclo di antibiotici potesse avere un impatto così devastante e di lungo termine. Ma dopo insistenti campagne da parte di gruppi di pazienti l'atteggiamento cominciò a cambiare nel 2008, quando FDA annunciò il primo di quella che sarebbe stata una lunga serie di alert riguardo gli effetti collaterali dei fluorochinolonici., inclusi rottura dei tendini e danno neurologico irreversibile. Nel 2016 l'agenzia accettò l'esistenza di un sindrome potenzialmente permanente che chiamò disabilità asociata a fluorochinoloni (FQAD), e raccomandò che questi farmaci fossero riservati a infezioni gravi."

"Un altro fattore è la riluttanza degli scienziati a pubblicare risultati che le aziende farmaceutiche possono trovare sfavorevoli. "C'è una lunga storia di reazioni contro chi metteva in evidenza i danni da farmaci o sostanze chimiche" dice Golomb. Cita una lista stilata da Merck di medici che criticavano il farmaco antiinfiammatorio Vioxx (rofecoxib), ritirato dal mercato per aumentato rischio di infarto. Secondo email interne di cui è stata data lettura in tribunale nel 2009, nel quadro di una class action in Australia, la lista distribuita via mail tra i dipendenti Merck conteneva nomi di medici con accanto le diciture "da neutralizzare", "neutralizzare", "screditare" (Merck non ha risposto alla richiesta di commenti da parte di Nature). Le tattiche aggressive sono "un problema enorme", dice Bennet, che aggiunge di essere stato minacciato da aziende farmaceutiche, in passato."

Se leggete l'articolo di Nature, danno mitocondriale e chelazione del ferro ad ora rimangono ipotesi da validare.  Notate che, al di là dei casi con problemi evidentissimi e noti, qua si tratta di effetti misurabili su farmaci che sono stati usati in maniera massiccia negli anni (decine di miliardi di dosi?). Probabilmente la ristretta popolazione che ne è rimasta danneggiata è caratterizzata da un qualche tratto genetico comune. Occorrerebbe che prima o poi qualcuno indagasse in questo senso.

https://www.nature.com/articles/d41586-018-03267-5

FATTO COI PIEDI, MANDATO NELL'UOMO A CALCI

Non è che sia richiesto un modello animale "più rigoroso", è richiesto un qualcosa che rispetti i minimi livelli della decenza.

"In uno studio su guinea pigs, il vaccino MVA85A ha dato esito favorevole, ma il suo effetto è stato rinforzato anche dalla somministrazione di un pox virus ricombinante  (FP9Ag85a). In un altro studio sia il BCG che MVA85A sono stati somministrati nel ratto per via intranasale anziché per via intradermica come accade nell’uomo. Pertanto i risultati dei 2 soli studi positivi sull’animale, non sono trasferibili nell’uomo perché in un caso è stato associato ad un altro vaccino e nell’altro è stata seguita una differente via di somministrazione.5,6 In uno studio su 16 scimmie macacus rhesus, iniziato nel novembre 2006 nei laboratori governativi di Porton Down in collaborazione con il gruppo di McShane, gli animali furono divisi in 3 gruppi prima di esporli alla TB. Ad uno fu somministrato BCG da solo, ad un altro BCG più MVA85A per via intradermica e all’ultimo nessun vaccino. Mentre 4 dei 6 macachi ai quali fu somministrato BCG da solo erano ancora vivi al termine dello studio, nessuno lo era fra i 4 non vaccinati e, con grande  sorpresa, solo 1 delle 6 scimmie che hanno ricevuto sia MVA85A che BGC è sopravvissuta alla TB. Sebbene le differenze non fossero statisticamente significative, questo dato, in apparenza del tutto trascurato, avrebbe potuto far sorgere il sospetto che MVA85A potrebbe compromettere anziché rinforzare l’efficacia del BCG."

Allora, si mettono insieme un po' di cavie trattate così, un po' di ratti trattati cosà, si omettono i risultati sui 16 macachi (che dovevano tradursi in un "ferma tutto!", altro che sospetti, nella migliore delle ipotesi rethink, recheck, repeat) e si parte con la fase IIa pediatrica? Con la Wellcome Foundation che informata delle irregolarità fa finta di niente (c'è di mezzo l'eradicamento della TBC - scusate, mi scappa da ridere - hai visto mai funzioni?) e via, a iniettarlo, in Sudafrica. Qualcuno a Oxford aveva DAVVERO bisogno dei fondi per la fase II, evidentemente, no matter what.

ADDENDUM: questo è quel che può succedere se programmaticamente ci si vuole collocare al di fuori del modello regolatorio occidentale (FDA, EMA) evidentemente vissuto come "ostacolo" da SAGE, vedere pag 11 di questo pdf http://www.who.int/immunization/sage/SAGE_November_2011_Brennan.pdf . Considerata la storia recente delle prequalifiche WHO forse questo fastidio non è limitato all'area vaccini.

http://www.research4life.it/la-parola-a/il-fallimento-del-vaccino-mva85a-per-potenziare-il-bcg-esige-una-ricerca-preclinica-sugli-animali-piu-etica-e-rigorosa/

venerdì 4 maggio 2018

IL PILOTA



"Scalare chimica dai palloni del laboratorio a reattori più grandi non è in alcun modo un processo lineare. Una quantità di cose che non sono immediatamente evidenti ad un chimico senza esperienza sono assai differenti, su grande scala, e molte di queste hanno un tremendo impatto sulla performance del processo." (Francis X. McConville)
L'impianto pilota può essere inteso in molti modi. Ma per quel che riguarda la chimica farmaceutica e la reazione (lasciando perdere isolamento e finissaggio del prodotto) di solito vuol dire reattori, piccoli, 100 o 200 litri (o 50 galloni), fino a volumi massimi di 500 o 1000l, in acciaio smaltato (o inox), con sviluppo (tubo sviluppo vapori, condensatore dei vapori, serbatoi per il colaggio) classicamente in vetro o in acciaio smaltato - o teflonato, con condensatore dei vapori in grafite, "moderno", costoso (il concetto di piccolo è relativo, ho visto piloti in cui il reattore più piccolo era un 500 l, altri che partivano da 1000 l).
Il pilota è il primo orizzonte del chimico di processo, se si include nella tipologia il più piccolo kilolab, tipicamente attrezzato con palloni e reattori in vetro fino ai 50l: quel che è stato tirato fuori in laboratorio deve passare da lì, prima di arrivare alla produzione su scala commerciale. Ovviamente dagli impianti pilota possono anche uscire produzioni di piccolo volume (la dimensione tipica del batch - "pentolata" - di prodotto va dai chili alle due decine di chili).
Ricordo un direttore tecnico che davanti a un reattorino Pfaudler da 200 litri, con uno sguardo nostalgico, diceva "Quanti giovani chimici sono arrivati su questo portandosi la propria sintesi dal laboratorio pieni di belle speranze, e quanti sono tornati indietro al laboratorio con la coda tra le gambe".
Una delle cose a cui il rookie di solito non pensa, quando arriva davanti a macchine come quella dell'immagine, è che i tempi si allungano, rispetto alle scale di laboratorio. Più tempo per caricare solventi e reagenti, più tempo per scaldare, più tempo per raffreddare, più tempo per distillare.
E se non hai studiato bene la sintesi giusta, mettendo a fuoco tutto quello che mai avresti messo a fuoco lavorando con un pallone da mezzo litro, questo si può tradurre in più tempo per le reazioni indesiderate, più tempo per la decomposizione del prodotto. E quindi alla fine invece dei dieci chili di cristalli candidi ti puoi ritrovare con centocinquanta chili di catrame da smaltire.

mercoledì 2 maggio 2018

REAZIONI CHE RISCHI DI PRENDERTI IN FACCIA : SINTESI DEGLI INDOLI DI FISCHER


(Reloaded - per mesi  si è parlato tanto e a sproposito di Scienza ma poco di scienze, quindi  un minimale assaggio di sintesi organica, tra meccanismi di reazione, termodinamica spicciola, mestiere e incidenti industriali)

Da 20 anni se sento "sintesi degli indoli di Fischer" mi viene in mente Yellow 96. E' un'associazione tutta mia: Hermann Emil Fischer è uno dei grandi padri tedeschi della chimica organica, e stiamo parlando di XIX secolo. Quindi, di base, non ha direttamente a che fare con un produttore di coloranti americano di fine XX secolo, se non che...
Nei miei anni professionalmente più verdi in effetti una Fischer rischiai di prendermela in faccia. Era una di quelle cose che venivano dalle cappe  delle sintesi in piccolo, e si aveva fretta (come al solito) di scalarla, cioè metter su la reazione in modo e su quantità tali che invece di 5 o 10 grammi ne producesse 50, 100 o più, fino a portarla sull'impianto pilota.
Allora ero giovane e poco esperto, perdipiù non avevo a portata di mano alcuni attrezzi che in seguito ho sempre usato, quando c'è stato da prender le misure a reazioni "umorali". Quindi seguii la procedura che mi era stata passata su quella che mi sembrava una ragionevole scala x3: un pallone da un litro.
Un litro: scala grande per chi è abituato a lavorare con volumi di 50 o 100 ml, massimo 250. Che sono mediamente le scale ormai più diffuse nei laboratori universitari; una scala piccola per chi abitualmente lavora nello sviluppo chimico, dove sono frequenti i 10l, 22l (palloni), 25, 35, 50 litri (reattori, in vetro il più delle volte) e l'orizzonte sono i reattori di una produzione. Chiunque sia fuori dal giro tende ad ignorare il fatto che all'aumentare della scala le cose cambiano, e diventano spesso più difficili, alle volte MOLTO più difficili...
Comunque, come dicevo, pallone da un litro. Seguendo la procedura caricai i reagenti e riscaldai (con cautela) con un bagno ad olio. Il solvente era acido acetico, che bolle a 118 °C. In più non si riscalda molto velocemente. Il pallone aveva un refrigerante a ricadere, per la condensa dei vapori in modo che il liquido condensato ritornasse nella miscela di reazione.
Andò tutto bene fin verso i 70°. A 70° notai un'aumentata velocità di incremento della temperatura, che pensai di gestire in scioltezza rimuovendo il bagno d'olio caldo. La mia tranquillità non durò più di 30 secondi. Senza riscaldamento la temperatura continuava ad aumentare, e con una certa accelerazione. Mi precipitai a riempire di acqua un bagno di plastica e a metterlo sotto il pallone, in modo da immergerlo nell'acqua e raffreddarlo.  L'acqua a temperatura ambiente non gli fece un baffo. La temperatura interna era 105°C. Presi mezzo chilo di ghiaccio e lo aggiunsi al bagno. La temperatura raggiunse i 110°C. La miscela, blu, diventò gialla in un batter d'occhio, e poi rossa in due batter d'occhio. Trovai la cosa MOLTO inquietante. E la temperatura continuava a salire.
In breve, mi ritrovai davanti ad un pallone da un litro con il contenuto che bolliva energicamente, a 120°C, immerso in un bagno di acqua e ghiaccio. Una di quelle cose che, se le vedi, non le scordi più.

(inizio sezione molto tecnica)
E' una reazione a catalisi acida, il solvente classico è acido acetico, e vari possono essere gli acidi aggiunti per velocizzare le cose, tipicamente acido cloridrico concentrato. Primo step, formazione di un idrazone, strettamente imparentato con le immine e infatti avrà generalmente carattere endotermico (richiesta di calore, necessità di scaldare), nonchè una temperatura di soglia o di ignizione che dir si voglia, al di sotto della quale la velocità di reazione è prossima allo zero e l'equilibrio fondamentalmente spostato verso i reagenti. Ma alla formazione dell'idrazone segue l'alchilazione dell'anello benzenico con un doppio legame (tendenzialmente esotermica e veloce) e poi, attenzione, la chiusura dell'anello, che il più delle volte è esotermica pure lei.
Apriamo un testo classico (Organic Syntheses Based On Name Reactions, Hassner e Stumer, 2nda edizione, Pergamon) e leggiamo: in acido formico a 130°C, oppure in acido acetico, 2 ore a riflusso (quindi sui 118°C). Il che generalmente viene tradotto in "carica il pallone, metti un refrigerante a bolle e scalda". E finchè siete in un vial, in un palloncino da 25, 50, 100, e pure 250 cc va tutto bene,
Ma la capacità del vostro sistema di reazione di scambiare calore cambia con la sua superficie, mentre il calore prodotto con il suo volume.
Un pallone di vetro ha il fondo sferico e riempito a metà possiamo approssimarlo con una semisfera. La superficie della semisfera in funzione del raggio è 2π r^2, il suo volume 2/3πr^3...  e capite dove si va a parare: col crescere del raggio del pallone la superficie disponibile per lo scambio termico cresce con il suo quadrato, mentre l'eventuale produzione totale di calore cresce come una cubica, cioè più velocemente di un quadratica...
(fine sezione molto tecnica)

Gente che faceva questa reazione per produrre un colorante aveva sempre lavorato con un reattore da 1000 galloni. Per soddisfare una maggior richiesta passarono ad un reattore da 2000 gal. E spianarono un reparto. Il vero eroe dell'incidente del Giallo 96, 1998, fu il capoturno che, quando vide la temperatura del reattore che saliva velocemente accompagnata dal relativo aumento di pressione, suonò l'allarme e ordinò l'immediata evacuazione . (http://www.csb.gov/morton-international-inc-runaway-chemical-reaction/)

martedì 1 maggio 2018

QUANDO VENNE SPERIMENTATO L'ANTICANNABINOLO...

Non si trattava di lotta alle dipendenze, tutt'altro. Tra gli episodi notevoli del regno di Peter Kim alle ricerche Merck ci furono gli antagonisti di CB1 contro l'obesità.  CB1 è il Recettore dei Cannabinoidi 1 (https://en.wikipedia.org/wiki/Cannabinoid_receptor_type_1). E un recettore accopiato a proteina G, classe di bersagli farmacologici che sono stati croce e delizia della ricerca per decenni. Brutalizzando la cosa, immaginate un recettore come un interruttore: un agonista lo accende, un antagonista lo spenge.
CB1 viene attivato da varie molecole endogene, tra cui l'anandamide, un endocannabinoide. Fu battezzata così da "ananda", termine sanscrito che significa beatitudine, gioia (il che già dovrebbe dirvi qualcosa).
Forse l'anandamide non l'avevate mai sentita nominare, ma magari qualcuno avrà familiarità col più popolare degli agonisti di CB1, il THC, e con gli effetti che provoca. Tra questi c'è la cosiddetta "fame chimica".
All'inizio del millennio tra le aree terapeutiche che promettevano sviluppo (cioè introiti ragguardevoli su eventuali prodotti) c'era la cura dell'obesità. E a qualcuno delle ricerche Sanofi venne questa idea geniale: se quando agonizzo CB1 ottengo la fame chimica, se lo antagonizzo avrò la soppressione della fame.
L'idea piacque anche a Merck, tirarono fuori le molecole, buona risposta nel preclinico, e così fu taranabant. Che si fece le cliniche fino a un pezzo di fase III. Ma poi l'annuncio di Merck: interrompiamo lo sviluppo. Il rimonabant di Sanofi già aveva ricevuto una sonora bocciatura da FDA.
Che era successo? "Too many psychiatric side effects".
Ma dai. Guarda caso, col pacchetto "agonista CB1" non hai solo la fame chimica, hai rilassatezza buon umore etc. Col pacchetto "antagonista CB1" a Merck avevano sì ottenuto la soppressione dell'appetito, ma anche pazienti ansiosi, depressi, ringhiosi.

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...