A metà del XX secolo la chimica farmaceutica aveva ricevuto due impulsi colossali: la scoperta della penicillina, negli anni venti, all'incirca coeva alla scoperta del cortisone. Merck aveva reso possibile la produzione industriale di cortisone alla fine degli anni 40 (il processo da acido colico) e fin da subito l'esplosione dell'uso del cortisone aveva reso anche chiari i suoi limiti (effetti collaterali) per il trattamento di pazienti cronici (artrite reumatoide in primis). Ed era partito il lavoro per cercare alternative. In Inghilterra, alla Boot, Stewart Adams all'inizio degli anni 50 aveva cominciato a lavorare su fenossiacidi (quindi probabilmente era partito avendo in mente variazioni strutturali sull'acido salicilico), ma era velocemente approdato su acidi fenilpropanoici, assai più promettenti. Tra gli elementi di questa serie di composti l'ibuprofene fu da lui sintetizzato per la prima volta nel 1961. Ma ben tre altri composti iniziarono la sperimentazione clinica, fallendola, prima che venisse giocata la carta ibuprofene: nei modelli animali era tre volte più potente dell'aspirina (lo stesso Adams, prima che fosse approvato, iniziò a prenderlo per alleviare i propri mal di testa). Tra fine anni 60 e primi 70 l'ibuprofene fu approvato prima in UK, poi in USA.
Gli sforzi di Adams non erano certo passati inosservati. Syntex era un'azienda chimico farmaceutica fondata in Messico da degli americani per metter su una produzione di cortisone con un processo che partiva da diosgenina, quindi la faccenda acidi arilpropanoici rientrava nell'area terapeutica di cui si occupavano. Ed ebbero fortuna nell'individuare "spazio di manovra" sulla zona ovest dell'ibuprofene. Quindi "chiusero" l'isopropile dell'ibuprofene, sostituendo l'alchilfenile con un metossinaftile. E' una delle tecniche più consolidate della chimica medicinale: prendere una parte "mobile" (soggetta a più conformazioni) della molecola e renderla "rigida", sostituendola con un ciclo chiuso (può andare molto bene, o può andare molto male: in questo caso andò bene, e molto - i naftili non sono simpatici ai chimici medicinali, a causa dei metaboliti che possono dare).
In più isolarono l'enantiomero migliore, il naproxen. Già, perché l'ibuprofene è un racemo, cioè una miscela di due molecole che sono una l'immagine speculare dell'altra (due enantiomeri). Questo perché gi acidi arilpropanoici di questo tipo hanno quel che si dice un carbonio asimmetrico, quello a cui sono attaccati 4 gruppi diversi: l'arile, un metile, un carbossilato, un idrogeno. L'ordine con cui sono legati al carbonio asimmetrico non è ininfluente: se adagiate la molecola su un piano noterete che il metile, per esempio, cambiando l'ordine dei sostituenti del carbonio asimmetrico, può stare al di sopra o al di sotto del piano, e questo porta a due molecole "uguali" (stessa formula, stessa struttura) i cui atomi però sono disposti diversamente nello spazio tridimensionale - una è l'immagine speculare dell'altra.
E fin qui la chimica. Ma il naproxen è legato anche ad una vicenda legale. Syntex fu condannata per "scientific misconduct", perché sul naproxen aveva presentato dati tossicologic falsati ad FDA. Chi aveva materialmente eseguito i test tossicologici? IBT, Industrial Bio.Test Laboratories, azienda che per lungo tempo aveva e avrebbe fornito questo tipo di servizi alle industrie più diverse, con una certa qual propensione ad aggiustare i dati secondo i desideri del cliente. Nel 1981 i suoi dirigenti vennero indagati per aver falsato i dati tossicologici di una serie di pesticidi per conto di Monsanto, Olin e FMC. Da questo episodio nacquero negli USA le GLP, le norme che regolano la buona pratica per le analisi.
La storia del naproxen ha un capitolo italiano per quel che riguarda la chimica di processo. Durante i miei studi universitari capitai più di una volta sul processo Zambon per il naproxen. In uno dei brevetti Zambon c'era un riarrangiamento della molecola che i libri spiegavano alla perfezione, ma io mi sono sempre chiesto come diavolo qualcuno avesse potuto immaginarsi una cosa del genere, con un metile che migrava (vado a memoria, ma mi pare fosse proprio così). Sembrava una cosa al limite del sovrumano, progettata da un genio assoluto.
Poi, sul lavoro, mi imbattei in un riarrangiamento del tutto simile, e parlando con chi lo aveva individuato (lavorando per un'altra grande farmaceutica italiana) mi raccontò com'era successo: se ne era andato dal laboratorio, la sera, scordandosi di spengere il riscaldamento sotto un pallone. Il mattino dopo un perito che si occupava delle analisi prima che lui arrivasse come niente fosse aveva spento il riscaldamento, campionato, e portato via il campione per l'analisi. Quando lui era tornato, il perito era arrivato con la stampa dell'analisi in mano "Dottore, dottore, guardi qua che roba! Ma come ha fatto a ottenere il prodotto così pulito?". Gli chiesi se per caso sapeva qualcosa del famoso riarrangiamento Zambon e lui mi disse "Secondo me è andata esattamente allo stesso modo...".
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