In più d'uno ha commentato il post sull'incidente di Seveso del 1976 dicendo "già l'azienda di base emetteva inquinanti in piccole quantità". La cosa non dovrebbe stupire. Uno dei problemi più classici della chimica industriale, specialmente se si parla di chimica organica e chimica farmaceutica, è la gestione delle emissioni. E principalmente le emissioni sono vapori di solventi e simili, altresì noti come VOC (Volatile Organics Compunds) - come visto nel post di ieri sullo stabilimento Sanofi Chimie nei PIrenei. Le emissioni provengono in primis da operazioni di distillazione o riflusso, e in particolare dalle distillazioni sotto vuoto.
Il razionale è abbastanza semplice: quando distilli i vapori vengono condensati in scambiatori di calore e il liquido condensato viene raccolto a parte (o riconvogliato nel reattore, in caso di riflusso). Ma quale sarà la pressione parziale dei vapori in uscita dallo scambiatore? Al minimo sarà uguale alla tensione di vapore di quel componente (o di quella miscela di componenti) alla temperatura del liquido refrigerante che scorre dentro gli elementi dello scambiatore. E di solito il liquido refrigerante è acqua fredda (10°C, convenzionalmente). Ma un composto organico volatile è così chiamato perché già a temperatura ambiente la sua tensione di vapore è consistente. Quindi già distillando a pressione atmosferica una minima frazione del solvente se ne va all'aria (o meglio, ai sistemi di abbattimento o di ossidazione catatilica) ogniqualvolta si crei per un qualsiasi motivo una differenza positiva di pressione tra scambiatore e sfiato.
Quando si distilla a pressione ridotta (sotto vuoto) le cose peggiorano sensibilmente, perché c'è il flusso in uscita provocato dalla pompa da vuoto.
Dal post sull'incidente di Seveso avrete capito che l'industria chimica andava a vapore (tuttora, in buona parte). Con il vapore si scaldava, e con il vapore si faceva il vuoto, usando eiettori a vapore.
I tubi di venturi sono stati largamente usati nei laboratori per ottenere basso-medio vuoto (le cosiddette pompe da vuoto ad acqua, in vetro o plastica, che funzionano attaccate ad un rubinetto). Sono basati sull'effetto Venturi (https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Venturi). In teoria qualsiasi fluido può essere usato con un tubo di venturi per ottenere il vuoto. In pratica oltre l'acqua in laboratorio è stata proposta l'aria compressa (prodotti di scarsa fortuna, nei laboratori di chimica, perché di solito tra i servizi disponibili non c'è aria compressa a media pressione). E in impianti industriali è stato usato il vapore sovrasaturo (surriscaldato).
Se guardate l'illustrazione, che raffigura un eiettore Wiegand, A è l'ingresso del vapore, e B è collegato al sistema dove si vuole ottenere la pressione ridotta. Ora dovrebbe essere abbastanza evidente che assieme al vapore da C esce tutto quanto viene evacuato da B (cioè vapori non condensati provenienti da sistema di reazione).
Negli anni ruggenti i Wiegand venivano installati sul tetto dei reparti. E ovviamente tutto quello che usciva da C andava nell'aria.
La regolazione normativa delle emissioni a partire dagli anni 80 ha fatto gradualmente sparire gli eiettori Wiegand installati per questo uso.
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