venerdì 28 settembre 2018

TU VUO FA L'AMERICANO MERICANO MERICANO...

C'è un sapore gelminiano in queste parole (chissà perché). Ma pure rubertiano, volendo. Storie vecchie, anzi, vetuste. Ero all'università quando ho sentito per la prima volta contrapposte "scienza libera" vs "scienza più vicina alle necessità dell'industria".
Il tema richiederebbe un libro intero. Mi limiterò ad alcune considerazioni. "Industrializzare" i dottorati potrebbe aver senso oppure no, ovvero non è criterio generalizzabile, e quindi è da non generalizzare, anche se il senso è chiaro: cercare il finanziamento privato, quando l'unica soluzione decente al problema risorse della ricerca universitaria è ripristinare un livello adeguato di finanziamento pubblico (che significa sforzo finanziario non da poco, data l'abissale inadeguatezza a cui si è giunti).
E' chiaro che il ministro, come tanti altri prima di lui, guarda sognante al modello americano, dove le università brevettano e da brevetti ricavano risorse consistenti.
Ma l'università italiana, nonostante sia massacrata dalle riforme, conserva ancora il suo peculiare vantaggio competitivo, che è costituito dal non pensare all'americana, di non poter essere all'americana.
E di non poter funzionare all'americana. La stagione delle spin off universitarie in Italia è stata un fallimento e sarebbe ora di prenderne atto. Non starò a vivisezionare il fenomeno, ma non c'è stata neanche una frazione appena significativa di spin off che abbia "falto il salto", diventando aziende hi-tech che funzionano con le proprie gambe (come succedeva negli USA). Questo perché in molti fanno molto bene il loro, che è la ricerca di base. Tra la ricerca di base e l'applicazione c'è un gran salto. Quello che lo colmerebbe si chiama ricerca traslazionale, il grande assente di sempre, da noi. E pubblicare brevetti, invece che articoli, per poi lasciarli scadere (pratica comune) non ha senso alcuno (oltre che costituire un costo).
L'altro corno del problema è "la produttività della ricerca": tradurre come "quantità di carta prodotta", non come quantità dei risultati. Le metriche bibliometriche hanno finito per magnificare l'aspetto quantitativo, a livello mondiale. E il sistema italiano non si è sottratto alla tendenza.
Che fare? Forse provare a valorizzare il suddetto "vantaggio comparato" senza insistere ad inseguire modelli altrui che qui non hanno mai funzionato.

PS: Il discorso non vale per Ingegneria, che ovviamente è di suo applicata e applicabile.



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