Anche quelli "contro la medicina ufficiale" amano i piccoli numeri, i campioni eterogenei per patologia e trattamento etc. "Sono stati curati in tanti!" è l'argomento. Ma ammesso che sia vero, c'è un fatto. La rappresentatività di un campione non è "teoria", non sono "solo numeri":
Per l'ennesima volta Derek Lowe ne parla a proposito del fallimento dell' Antibody Drug Conjugate Rova-T (Abbvie) (https://blogs.sciencemag.org/pipeline/archives/2018/12/06/worse-than-useless):
"E' una costante dello sviluppo farmaceutico che le cose sembrino molto migliori nei primi trial che in quelli successivi. Questo perché i primi trial coinvolgono pazienti scelti con estrema cura, ma sopratutto perché i primi trial sono davvero piccoli. A meno che tu non abbia a che fare con un effect size epocale, la biologia umana è abbastanza complessa da rendere i piccoli trial indicatori estremamente imprecisi. Sono solo segni di successo - segni. Devi lavorare su più pazienti, di tipo più vario e in condizioni più diverse, e più volte. Ogni volta. Non ci sono sostituti per per i trial grandi, ben controllati e ben disegnati. A nessuno piace sentirlo, perché tutti lo hanno già sentito, e perché non è né eccitante né nuovo e non promette consistenti avanzamenti accelerati che riducono i costi. Ma è vero."
Rova-T ( Rovalpituzumab-Tesirine): la parte della formula in azzurro rappresenta il backbone peptidico di Rovalpituzumab |
Ah, cosa sono gli ADC (Antibody Drug Conjugate)?
Gli ADC, coniugati farmaco anticorpo, secondo alcuni qualche anno fa erano la nuova frontiera della farmacologia oncologica: il primo farmaco di questa classe ad essere approvato da FDA (2011) è stato Trastuzumab emtansine, sviluppato da Seattle Genetics/Millennium Pharmaceuticals, il secondo è stato Brentuximab vedotin (Genentech/Roche, approvato nel 2013).
Il razionale è semplice: una piccola molecola antitumorale viene legata con un "ponticello" degradabile ad un anticorpo monoclonale diretto contro uno dei classici recettori sovraespressi in questo o in quel tumore (Her2, PD-L1, PD1, etc). L'anticorpo si lega al recettore della cellula tumorale, il bridge viene tagliato dagli enzimi e così la molecola antitumorale viene selettivamente rilasciata in prossimità della superficie della cellula da colpire, aggiungendo il suo effetto a quello dell'anticorpo. Quindi, sulla carta, farmaci targeted che più targeted non ce ne sono. Questa tecnologia stava rimettendo in pista molecole citotossiche scartate una ventina di anni fa per la loro eccessiva tossicità e finestre terapeutiche praticamente inesistenti. Poi c'è il lato strategico del business: qualsiasi molecola sviluppata per essere coniugata con un anticorpo perde la sua breve vita di copertura brevettuale per raggiungere lo status molto meno attaccabile dei biologici. Quindi, se approvata, il suo flusso di cassa non è destinato ad evaporare immediatamente alla scadenza del brevetto. Unico problema, i trabocchetti sulla strada dello sviluppo: può essere l'anticorpo a non funzionare (e lo sviluppo degli anticorpi anti PD-L1 non si è dimostrato un terreno agevole, per esempio) o la molecola a mostrarsi inefficace. Oppure i problemi possono derivare dalla loro combinazione: chi ci lavora (cosa che io non ho fatto) dice che la parte critica è bridge, il "ponte molecolare" con cui si lega l'anticorpo al citotossico
Queste ultime notizie da Abbvie non sono la prima doccia fredda su questa classe di farmaci, ed arrivano in un contesto dove gli entusiasmi sono estremamente calati da ormai qualche anno.
Ma su questo fronte è per ora rimasto in laboratorio l'approccio Bertozzi, in cui l'anticorpo non veicola un citotossico ma una sialidasi per "tosare" i sialili sovraespressi dalle cellule tumorali in modo da renderle vulnerabili al sistema immunitario (https://www.pnas.org/content/113/37/10304).
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