martedì 9 febbraio 2021

COVID E FARMACI: LA SCARSITA' AL LAVORO



Ormai di remdesivir non si parla più (OMS lo ha sconsigliato in autunno, ricordate?).
Ma in realtà si usa.
Visto che di questi tempi va di moda citare IDSA (Infectious Disease Society of America) cosa dice IDSA di remdesivir?
"The guideline panel suggests remdesivir rather than no remdesivir for treatment of severe COVID-19 in hospitalized patients with SpO2 <94% on room air, including patients on supplemental oxygen, on mechanical ventilation and ECMO"(si allargano pure troppo).
In Italia per usarlo si deve fare domanda al registro Veklury AIFA per ogni singolo paziente. I dati "grezzi" (quante domande, quante accettate) del registro sono riservati. Perché? Forse perché farebbero un pessimo effetto.
Qualcuno mesi fa arrivò qua sopra dicendo: lascia che ti spieghi come funziona una terapia intensiva. Bene, oggi lasciate che vi esponga quello che intensivisti e infermieri mi hanno raccontato nel tempo. Le fonti? Mi sono impegnato a non fare nomi.
Sono passati mesi da quando un infermiere di intensiva, ringraziandomi per le informazioni che davo in materia di COVID e farmaci, mi raccontava di una conversazione tra pneumologi in reparto che si concludeva in: Per questo qua chiediamo "il farmaco". Solo per uno di enne, in breve.
E di recente mi hanno girato altre testimonianze: nel caso di x candidabili alla richiesta del farmaco ad AIFA si fa domanda solo per quelli con maggiori probabilità di venirne fuori (per esempio i più giovani o quelli con meno comorbidità).
Ve le ricordate le "decisioni cliniche eticamente impegnative" del nuovo piano pandemico? Pare che di fatto siano già in essere (e non è una novità).
Le premesse della loro necessità non sono state create da chi le deve prendere, cioè i clinici: sono state create da chi ha di fatto scelto per la scarsità di risorse, e chi è sul campo si ritrova a fare i conti con la situazione creata da altri.
Se per remdesivir in settembre c'era una oggettiva scarsa disponibilità di prodotto che riguardava noi come il Regno Unito (https://www.theguardian.com/.../global-shortage-of-key...) poi il network di produzione di Gilead ha cominciato a marciare a pieno regime. Mentre Arcuri acquistava 25.000+ (forse)25.000 dosi, la Germania ne acquistava 150.000 e il programma di acquisto della Comunità Europea, ESI ampliava il suo ordinativo a tre milioni di dosi (https://www.reuters.com/.../us-health-coronavirus-germany...). Quante siano arrivate in Italia non c'è modo di saperlo.
Remdesivir non è "la cura", ma fa parte di un ormai nutrito set di utili strumenti per trattare i pazienti ospedalizzati. Ormai tutti dovrebbero aver orecchiato che quanto a COVID non esiste un trattamento omnibus che va bene per tutti i pazienti in qualsiasi fase della malattia. Per esempio desametasone e inibitori IL-6/JAK sono utili quando si sta per verificare o è iniziata la tempesta citochinica, prima rischiano di essere controproducenti, con la loro azione immunosoppressiva. Al momento remdesivir continua ad essere il miglior strumento disponibile per pazienti ospedalizzati che richiedono un basso flusso di ossigeno. E i benefici del suo uso sono già stati stimati (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../remdesivir...), ma ormai avrete capito che tra l'esistenza delle soluzioni più avanzate e il loro uso c'è di mezzo il mare, specialmente da noi.
(chiaramente chi parla di antivirali fasulli o difficoltà di somministrazione non ha nessun problema con questa situazione, anzi, con la sua "comunicazione" di fatto la appoggia, con gran correttezza politica)

 

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