Long story short:
nel settembre 2020 il gruppo di Lin pubblicava un preprint, lavoro tutto in vitro. Un anno e qualcosa dopo sono a pubblicare di nuovo. Altri invece hanno finito il preclinico, presentato l'INDA, svolto i trial, ottenuto l'autorizzazione. Il professor Lin di Stanford oggi parla di inefficienza dell'industria. E ora i dettagli...
"Ironic that Pfizer would prefer to claim they had to make and test 800 compounds because they didn't read the literature. In academics that kind of approach would earn you a grant denial. But the public ends up paying for industry inefficiency anyway in the form of drug prices"
twittava Michael Lin, professore associato di neurobiologia e bioingegneria a Stanford. Perché il suo gruppo nel settembre 2020 aveva pubblicato un preprint (https://www.biorxiv.org/.../2020.09.15.275891v2.full.pdf) in cui descriveva in funzione anti SARS-COV-2 analoghi di boceprevir (inibitore di proteasi di HCV non più in commercio). Ovviamente tutto lavoro in vitro, largamente svolto su cellule di epitelio intestinale infettate con il virus (CACO-2 https://en.wikipedia.org/wiki/Caco-2). Come dire, due piccioni con una fava: attività antivirale e un indice indiretto di capacità di passare dall'intestino al flusso sanguigno.
(Spiegazione rapida: l'uptake è la quantità di composto assorbito dalla cellula. Se hai uptake in CACO-2 hai un'indice della capacità del tuo composto di attraversare la barriera intestinale. Se vedi attività antivirale in CACO-2 infettate, hai uptake - perché le proteasi virali lavorano dentro le cellule infettate.)
Per quasi due anni la compressa anti-COVID è stata il sacro graal della ricerca, e il problema era appunto trasformare composti attivi per somministrazione endovenosa in altri attivi se assunti per os. A Pfizer avevano un inibitore di 3CL venuto fuori ai tempi di SARS 2003, da somministrare per endovena. Dafydd Owen, chimico medicinale, una vita in Pfizer, viene designato Project Leader per questa ricerca, e ha raccontato la storia (https://cen.acs.org/.../How-Pfizer-scientists.../100/i3...): una faccenda di legami a idrogeno: eliminare quelli che in PF-07321332 inibivano l'assorbimento nell'intestino.
"Ma rimuovere i legami a idrogeno comportava un costo - la squadra perse il contatto con una glutamina nel sito attivo della proteasi. Cercando di ripristinare l'interazione con quell'amminoacido, i chimici provarono molti diversi gruppi al posto dell'indolo di PF-00835231 - provando una metansolfonamide, un'acetamide e una trifluoroacetamide. Le tre molecole sembravano simili e ci si aspettava che si comportassero in modo simile. Ma non era affatto così. La trifluoroacetamide era molto migliore per la sua capacità di permeare la barriera intestinale."
Owen e la sua squadra sono incappati nel preprint del gruppo di Lin, durante il lavoro? Forse sì forse no. Se leggete l'articolo l'acido 6,6-dimetil-3-azabiciclo[3.1.0]-2-esanoico (la prolina modificata che nirmatrelvir ha in comune con boceprevir e con i composti del gruppo di Lin) non conta più di quanto conti aver una trifluoroacetamide invece che un'urea come in borceprivir. Mi dispiace per il prof. Lin, ma le discussioni sui me-too in questi casi non hanno senso. Ricorderei la vicenda degli inibitori ciclici di NS3/4A (HCV https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../epatite-c-lo...): i primi che ne hanno concepito uno sono rimasti al palo. Glecaprevir (Mavyret) può essere definito un me-too di ciluprevir, ed è stato uno dei farmaci che hanno rivoluzionato il trattamento dell'epatite C, ciluprevir non ha mai visto l'approvazione.
Capisco lo stato d'animo del professore (e magari la sua voglia di trovare qualcuno che si compri il suo lavoro per svilupparlo), ma mentre il suo gruppo era alla ricerca di nuovi grant qualcun altro produceva i batch clinici di nirmatrelvir e conduceva i trial, e oggi abbiamo paxlovid. Niente male, dal punto di vista dell'inefficienza. How ironic.
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