martedì 16 maggio 2023

LA NARRATIVA DEI NUMERI E DUE COSE SULLA CLASSICITA'

La  nota cosmologa Prof Bignumska, facendo una lezione sul futuro dell'universo, aveva appena dichiarato che in circa un miliardo di anni, secondo i suoi calcoli, la Terra sarebbe caduta dentro il Sole, con una morte spettacolare. Dalle ultime file dell'auditorium venne fuori una voce tremante : "Mi scusi, Professoressa, m-m-ma q-quando ha detto che succederà?"
La Prof. Bignumska rispose con calma, "Circa un miliardo di anni" Fu udito un sospiro di sollievo.
"Ah! Per un solo momento, ho capito un milione di anni." ...

Uno dei miei argomenti preferiti: la narrativa dei grandi numeri (e di quelli piccoli).
Ho sempre sospettato che relativamente in pochi conoscano davvero la differenza tra un milione e un miliardo . Per essere sicuri, la gente ha in genere abbastanza senso dell'humour per capire la barzelletta sulla Terra che cadrà dentro il Sole, ma riguardo a quanto sappiano precisamente la differenza è un altro discorso. Una volta ho sentito uno speaker radiofonico annunciare "La siccità è costata alla California tra novecentomila dollari e un miliardo"
(Douglas Hoftstadter, Metamagical Themes, Scientific American, 1981)

Se non avete capito la barzelletta iniziale (che è appunto una barzelletta) non ci posso fare niente: probabilmente fate parte di chi si produce in barzellette involontarie. Ma leggendo questo testo di 42 anni fa le mie riflessioni sono state:

1) Più le cose cambiano, più rimangono le stesse.

2) Tutto il mondo è paese

3) Ve li ricordate quei mirabili modelli dell'Imperial College, 2020, in cui le previsioni a tre settimane andavano tipo da 1 a mezzo milione di casi? E soprattutto ricordate quanto siano state prese sul serio, in primis a livello istituzionale, in secondo luogo da divulgava 'sto par di sfere, in terzo luogo dalla moltitudine dei foot soldiers dell'ascienza (non è un typo)?

Vabbè, se Hofstadter fosse giovane e attivo oggi e si proponesse come collaboratore a Le Scienze (Ed. italiana) sarebbe liquidato come poco competente e incapace di comunicare (quel che è giusto comunicare). 

Di recente una sera sono finito in un gruppo eclettico di persone di diverse nazionalità, e mi sono ritrovato a parlare con un tedesco, ricercatore  di Filosofia in un'università della Germania del nord. "La nostra cultura, e non solo quella trasmessa dai nostri grandi media, ha rigettato la classicità", diceva, parlando del suo paese. "Ma non solo la classicità di quella letteratura universale di cui parlava Herman Hesse, anche la nostra, quella che più nostra non ce ne è: Hölderlin , Goethe, Novalis e pure Thomas Mann. Troppo inattuali? No, troppo difficili". E mi è venuto in mente quando in più di un'occasione, sui social, ho detto in faccia a nullità piene di "analfabetismo funzionale", "comprensione del testo " e via dicendo che loro, propro loro, non sarebbero riusciti a leggere i Promessi Sposi senza una parafrasi facile a fronte. Triste ma fin troppo vero.

Troppo difficili, troppo ingombranti, troppo permanenti, i classici. La coerenza è un valore della cultura europea, un valore a lungo fondante e a lungo difficile da gestire. L'effimero ha trovato la quadra. Quel che ho scritto due anni fa non esiste più oggi e lo posso contraddire senza alcun problema. La permanenza dei concetti, delle parole, dei testi, è un'immensa seccatura. 

E' l'intera società occidentale che ha un evidente rapporto difficilissimo con la classicità, specie quando i classici li vuole espungere o riscrivere alla luce dell'ultima ideologia vuota appena arrivata. Che diavolo, certi libri hanno saputo resistere all'inquisizione e all'indice, ma non resisteranno alla demenzialità politicamente corretta dell'ultimo decennio.

E la sedicente sinistra maggioritaria odierna soprattutto in Italia esiste solo in quanto si è accortamente scordata le sue radici culturali e politiche, con cui ora è completamente incompatibile. Magliette di Che Guevara indossate da gente a cui il Comandante avrebbe potuto solo sputare in faccia.

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