giovedì 17 maggio 2018

ANTIBIOTICI - 6 - LO STATO DELLE COSE



L'ultima volta che ho sentito parlare di una nuova catena laterale per un betalattamico, sul lavoro, è stato 15 anni fa. Ed era coinvolta una piccola azienda. La prima volta che ho lavorato sul tema fu per lo scale up della catena laterale di un ketolide, ed era coinvolta una grande multinazionale: era la metà degli anni novanta, e gli investimenti in ricerca e sviluppo per antibiotici erano ancora rilevanti (lo scale up andò malissimo, ma quel ketolide non passò mai la fase II, a quel che ne so).
Per quale motivo il nuovo millennio ha visto di fatto evaporare gli investimenti in ricerca e sviluppo su nuovi antibiotici?
Prabhavathi Fernandes e Evan Martens su Biochemical Pharmacology, Volume 133, 1 June 2017, 152-163 hanno compilato un'eccellente review della situazione, che si merita almeno un paio di post.

Cominciamo dal punto principale: il crollo degli investimenti. Le ragioni del crollo risaltano nella loro tragica evidenza dall'immagine. Se riesce ad essere approvato un nuovo antibiotico non è redditizio. Uno dei motivi è costituito dalla stewardship. Se per i vaccini si fa advocacy, per gli antibiotici si fa stewardship, ovvero gestione mirata alla minimizzazione del consumo. Il che è un'ottima cosa, per via del problema delle resistenze e della tendenza alla sovraprescrizione che è durata per anni. Ma il fatto ha conseguenze. In più per le infezioni sempici (che sono quelle per cui c'è maggior uso di antibiotici) FDA richiede una manifesta superiorità del nuovo principio attivo rispetto agli standard esistenti. E questo potrebbe non essere un problema, se mettere insieme trial per le infezioni di bassa gravità non fosse cosa esageratamente complicata. In più è richiesto un largo spettro di azione (preferibilmente esteso ai batteri gram positivi), il che scoraggia lo sviluppo di farmaci destinati a specifiche specie batteriche responsabili di specifiche infezioni. Da ultimo c'è il problema dei costi. Un nuovo antibiotico non può costare molto, perché anche in presenza di provati vantaggi gli verrebbe preferito il più economico generico.
I risultati li vedete nell'Immagine. Se a due anni dal lancio Januvia, antidiabetico, arrivava a un miliardo e mezzo di vendite, Avycaz (ceftazidima-avibactam), approvato nel 2015, nel 2017 non arrivava ai 100 milioni. Ho già accennato ad avibactam, primo inibitore non betalattamico di betalattamasi. E come "premio" per il suo sostanziale passo in avanti 100 milioni scarsi di vendite è un po' poco (vuol dire pareggiare le spese di sviluppo in circa dieci anni, se si ha fortuna, e se va bene avere tra i cinque e i dieci anni per i profitti prima che scada il brevetto e arrivino i generici). Questo è il motivo per cui la poca ricerca e sviluppo nel campo viene fatta sopratutto da piccole aziende, che possono ancora sperare di tenere i costi di sviluppo ben al di sotto del miliardo di dollari. Comunque i quasi 100 milioni di fatturato annuo sono poca cosa  specie se guardando ad altri antiinfettivi, gli antivirali, li confrontate non dico con il fatturato di sofosbuvir ma con quello di glecaprevir. Possibili soluzioni? Estendere la durata della copertura brevettuale dei nuovi antibiotici? Un impegno massiccio del pubblico nello specifico campo?

sabato 12 maggio 2018

ANTIBIOTICI - 5 - LA GOLDEN AGE

Gli antibiotici sono stati la scoperta più incredibile della storia della farmacologia. Lo stesso termine "magic bullet", parlando di farmaci, è nato con loro.
Nell' "età dell'oro" degli antibiotici (all'incirca 1935-1985) abbiamo imparato in primo luogo a sfruttare l'arsenale chimico che batteri e funghi, in centìnaia di milioni di anni di evoluzione, hanno elaborato per farsi la guerra. Il primo passo è stato la pennicillina.
All'incirca contemporaneamente venivano prodotti i primi antibiotici sintetici. Ma rispetto alla pennicillina fu una storia meno lineare, e più oscura.
La sulfanilamide era stata sintetizzata per la prima volta nel 1908, ma la scoperta dei sulfamidici viene di solito attribuita ai convolti nello sviluppo del Prontosil, un profarmaco della sulfanilamide, nel 1935. E i problemi cominciarono quasi subito. Negli USA una formulazione di sulfanilamide in glicol etilenico venne immessa sul mercato, e l'Elixir Sulfanilamide uccise in pochi mesi più di 100 persone, gettando le basi della fondazione di FDA con il  Federal Food, Drug, and Cosmetic Act (1938).
La Ig Farben nella Germania hitleriana lavorò anche essa sui sulfamidici, La solfonamide venne testata come antiinfettivo contro Clostridium perfringens, Streptococco e Clostridium Tetani, dal luglio 1942 al settembre 43, nel campo di concentramento di Ravensbrück, sui prigionieri. Le ferite venivano provocate e infettate ad arte, e per simulare le ferite ricevute in battaglia vi venivano conficcate schegge di legno e frammenti di vetro.

Conteporaneamente, alla Rutgers University un programma finanziato da Merck isolava tra gli altri actinomicina, clavacina, neomicina e streptomicina (primo antibiotico rivelatosi efficace contro la TBC), Giuseppe Brotzu dell'Università di Cagliari scopriva la cefalosporina (1945).
La resistenza ai betalattamici (penicilline, cefalosporine etc) all'inizio degli anni 50 era diventata un fenomeno significativo e fu sintetizzata e approvava la meticillina (1959). La meticillina è la prima penicillina con catena laterale modificata in modo tale da non renderla "masticabile" dalla beta lattamasi batterica. Usata contro lo Stafilococco Aureo, provocò alla fine degli anni 60 l'emergere di MRSA, dove MR non sta per Multi Resistant ma per Methicillin Resistant.
Alla fine degli anni 60 venne fuori il capostipite dei chinolonici, di cui abbiamo ampiamente parlato, mentre durante gli anni 70 (oltre al continuo lavoro sulle catene laterali, ovvero cambiamenti di quella R che vedete nella formula) vennero individuati inibitori di beta lattamasi (per annullare il principale meccanismo di resistenza ai beta lattamici), carbapenemici (classe stabile alla beta lattamasi), macrolidi.

E questo per citare solo alcune delle maggiori classi di antibiotici. Il problema della lotta alle resistenze si è posto subito, e la guerra alle resistenze dura da settanta anni. Solo ora stiamo cominciando a perdere battaglie. Ma le perdiamo perché in primo luogo non c'è nessuno disposto a combatterle seriamente.

(Nel video di ieri l'altro  CR Bertozzi faceva vedere un titolo di giornale USA che, parlando di anticorpi anti PD-1, diceva che l'oncologia stava vivendo un "Momento pennicillina": la disponibilità di antibiotici fece immediatamente la differenza tra la vita e la morte, da subito)

giovedì 10 maggio 2018

PRIMA O POI DARANNO UN NOBEL A QUESTA DONNA

Non sono riuscito a trovare una versione sottotitolata in italiano di questo video, purtroppo. Ma anche senza sottotitoli in molti troveranno la Bertozzi perfettamente comprensibile.
Allora, per anni avete sentito dire "il gene X della malattia Y". Questo implica che gene=proteina. Il gene X codifica la proteina Y e quindi parlare di gene o proteina è la stessa cosa.
Il punto è che le proteine non sono semplicemente concatenazioni di amminoacidi. Subiscono modifiche posttraslazionali, e sono modifiche di rilievo: basti pensare alla fosfatazione, processo appena appena rilevante, visto che ci pensano le chinasi (e gli inibitori di chinasi, da sutent e imatinib in poi, sono stati uno dei major advancements nelle terapie oncologiche degli ultimi 20 anni).
Tra le altre varie modifiche posttraslazionali c'è la glicosidazione. Ovvero molecole di uno zucchero (tipicamento glucosio ma non solo) vengono legate agli OH di alcune serine o treonine della catena proteica.
L'importanza della glicosidazione è stata sminuita dalla corrente culturale genomicista per ovvi motivi (gene=proteina ), dicendo che trattasi di processo casuale. Beh, Carolyn J Bertozzi, chimico che si occupa di glicobiologia, da anni dice che no, il processo non è casuale.
Nel video mostra come le cellule tumorali "usano" la glicosidazione per eludere il sistema immunitario: hanno una alta densità di acido sialico sulla superficie della membrana cellulare che dice al linfocita "Tutto ok!".
L'acido sialico per eccellenza (ce ne sono diversi) è l'acido N-acetineuraminico (NANA, per gli amici) ed è uno zucchero. Uno zucchero di importanza biologica incredibile: per esempio i virus influenzali usano la neuraminidasi per "staccare" le molecole di NANA dalla superficie della cellula per garantire l'uscita dei nuovi virioni appena replicati. La neuroaminidasi virale rimuove NANA anche dal capside dei nuovi virioni al fine di garantirne la mobilità nel muco dell'apparato respiratorio (per questo i principali antivirali antiinfluenzali sono inibitori di neuroaminidasi).

lunedì 7 maggio 2018

ANTIBIOTICI - 4 - GATES FOUNDATION, AFRICA, CHEMOPREVENZIONE

Per quale perverso senso dell'ironia o percorso logico il trial sia stato battezzato MORDOR lo sa Iddio. Perché l'acronimo è stato evidentemente cercato, dato che il nome completo sarebbe "Macrolides Oraux pour Réduire les Décès avec un Oeil sur la Résistance".
(Un lettore ha trovato questo, e la faccenda resta creepy)

L'articolo espone con estrema chiarezza i limiti del programma e dello studio, fatti "come si poteva" - ovvero non granché bene. Il "non granché bene" è ormai diventato una costante, quando si parla di programmi sanitari in Africa o ricerca di questa o quell'altra fondazione (e spesso pure di WHO) (l'ultima vicenda significativa questa).
Comunque nei limiti dello studio è stata osservata una riduzione della mortalità - in media non impressionante, ma più alta nelle fasce di età più basse - e non è stato osservato l'insorgere di resistenze (per il poco che è stato osservato nel poco tempo, ovvero che il trattamento non ha perso efficacia - più che un occhio alla resistenza un'occhiatina di sguincio).
E' stata usata azitromicina, ovvero un macrolide. I macrolidi (forse il più noto l'eritromicina) sono antibiotici importanti. Da noi costituiscono la principale arma efficace, per esempio, per una infezione pediatrica non molto frequente ma decisamente insidiosa: la broncopolmonite da micoplasmi (non auscultabile, spesso). I macrolidi costituiscono l'arma più sicura che abbiamo, al momento, contro micoplasmi e micobatteri (l'altra sarebbero i fluorochinoloni, di cui abbiamo già parlato).

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5849140/

domenica 6 maggio 2018

ANTIBIOTICI - 3 - CHINOLONICI, PARTE II



"Per decenni le agenzie regolatorie e la professione medica sono stati scettici sul fatto che un breve ciclo di antibiotici potesse avere un impatto così devastante e di lungo termine. Ma dopo insistenti campagne da parte di gruppi di pazienti l'atteggiamento cominciò a cambiare nel 2008, quando FDA annunciò il primo di quella che sarebbe stata una lunga serie di alert riguardo gli effetti collaterali dei fluorochinolonici., inclusi rottura dei tendini e danno neurologico irreversibile. Nel 2016 l'agenzia accettò l'esistenza di un sindrome potenzialmente permanente che chiamò disabilità asociata a fluorochinoloni (FQAD), e raccomandò che questi farmaci fossero riservati a infezioni gravi."

"Un altro fattore è la riluttanza degli scienziati a pubblicare risultati che le aziende farmaceutiche possono trovare sfavorevoli. "C'è una lunga storia di reazioni contro chi metteva in evidenza i danni da farmaci o sostanze chimiche" dice Golomb. Cita una lista stilata da Merck di medici che criticavano il farmaco antiinfiammatorio Vioxx (rofecoxib), ritirato dal mercato per aumentato rischio di infarto. Secondo email interne di cui è stata data lettura in tribunale nel 2009, nel quadro di una class action in Australia, la lista distribuita via mail tra i dipendenti Merck conteneva nomi di medici con accanto le diciture "da neutralizzare", "neutralizzare", "screditare" (Merck non ha risposto alla richiesta di commenti da parte di Nature). Le tattiche aggressive sono "un problema enorme", dice Bennet, che aggiunge di essere stato minacciato da aziende farmaceutiche, in passato."

Se leggete l'articolo di Nature, danno mitocondriale e chelazione del ferro ad ora rimangono ipotesi da validare.  Notate che, al di là dei casi con problemi evidentissimi e noti, qua si tratta di effetti misurabili su farmaci che sono stati usati in maniera massiccia negli anni (decine di miliardi di dosi?). Probabilmente la ristretta popolazione che ne è rimasta danneggiata è caratterizzata da un qualche tratto genetico comune. Occorrerebbe che prima o poi qualcuno indagasse in questo senso.

https://www.nature.com/articles/d41586-018-03267-5

FATTO COI PIEDI, MANDATO NELL'UOMO A CALCI

Non è che sia richiesto un modello animale "più rigoroso", è richiesto un qualcosa che rispetti i minimi livelli della decenza.

"In uno studio su guinea pigs, il vaccino MVA85A ha dato esito favorevole, ma il suo effetto è stato rinforzato anche dalla somministrazione di un pox virus ricombinante  (FP9Ag85a). In un altro studio sia il BCG che MVA85A sono stati somministrati nel ratto per via intranasale anziché per via intradermica come accade nell’uomo. Pertanto i risultati dei 2 soli studi positivi sull’animale, non sono trasferibili nell’uomo perché in un caso è stato associato ad un altro vaccino e nell’altro è stata seguita una differente via di somministrazione.5,6 In uno studio su 16 scimmie macacus rhesus, iniziato nel novembre 2006 nei laboratori governativi di Porton Down in collaborazione con il gruppo di McShane, gli animali furono divisi in 3 gruppi prima di esporli alla TB. Ad uno fu somministrato BCG da solo, ad un altro BCG più MVA85A per via intradermica e all’ultimo nessun vaccino. Mentre 4 dei 6 macachi ai quali fu somministrato BCG da solo erano ancora vivi al termine dello studio, nessuno lo era fra i 4 non vaccinati e, con grande  sorpresa, solo 1 delle 6 scimmie che hanno ricevuto sia MVA85A che BGC è sopravvissuta alla TB. Sebbene le differenze non fossero statisticamente significative, questo dato, in apparenza del tutto trascurato, avrebbe potuto far sorgere il sospetto che MVA85A potrebbe compromettere anziché rinforzare l’efficacia del BCG."

Allora, si mettono insieme un po' di cavie trattate così, un po' di ratti trattati cosà, si omettono i risultati sui 16 macachi (che dovevano tradursi in un "ferma tutto!", altro che sospetti, nella migliore delle ipotesi rethink, recheck, repeat) e si parte con la fase IIa pediatrica? Con la Wellcome Foundation che informata delle irregolarità fa finta di niente (c'è di mezzo l'eradicamento della TBC - scusate, mi scappa da ridere - hai visto mai funzioni?) e via, a iniettarlo, in Sudafrica. Qualcuno a Oxford aveva DAVVERO bisogno dei fondi per la fase II, evidentemente, no matter what.

ADDENDUM: questo è quel che può succedere se programmaticamente ci si vuole collocare al di fuori del modello regolatorio occidentale (FDA, EMA) evidentemente vissuto come "ostacolo" da SAGE, vedere pag 11 di questo pdf http://www.who.int/immunization/sage/SAGE_November_2011_Brennan.pdf . Considerata la storia recente delle prequalifiche WHO forse questo fastidio non è limitato all'area vaccini.

http://www.research4life.it/la-parola-a/il-fallimento-del-vaccino-mva85a-per-potenziare-il-bcg-esige-una-ricerca-preclinica-sugli-animali-piu-etica-e-rigorosa/

venerdì 4 maggio 2018

IL PILOTA



"Scalare chimica dai palloni del laboratorio a reattori più grandi non è in alcun modo un processo lineare. Una quantità di cose che non sono immediatamente evidenti ad un chimico senza esperienza sono assai differenti, su grande scala, e molte di queste hanno un tremendo impatto sulla performance del processo." (Francis X. McConville)
L'impianto pilota può essere inteso in molti modi. Ma per quel che riguarda la chimica farmaceutica e la reazione (lasciando perdere isolamento e finissaggio del prodotto) di solito vuol dire reattori, piccoli, 100 o 200 litri (o 50 galloni), fino a volumi massimi di 500 o 1000l, in acciaio smaltato (o inox), con sviluppo (tubo sviluppo vapori, condensatore dei vapori, serbatoi per il colaggio) classicamente in vetro o in acciaio smaltato - o teflonato, con condensatore dei vapori in grafite, "moderno", costoso (il concetto di piccolo è relativo, ho visto piloti in cui il reattore più piccolo era un 500 l, altri che partivano da 1000 l).
Il pilota è il primo orizzonte del chimico di processo, se si include nella tipologia il più piccolo kilolab, tipicamente attrezzato con palloni e reattori in vetro fino ai 50l: quel che è stato tirato fuori in laboratorio deve passare da lì, prima di arrivare alla produzione su scala commerciale. Ovviamente dagli impianti pilota possono anche uscire produzioni di piccolo volume (la dimensione tipica del batch - "pentolata" - di prodotto va dai chili alle due decine di chili).
Ricordo un direttore tecnico che davanti a un reattorino Pfaudler da 200 litri, con uno sguardo nostalgico, diceva "Quanti giovani chimici sono arrivati su questo portandosi la propria sintesi dal laboratorio pieni di belle speranze, e quanti sono tornati indietro al laboratorio con la coda tra le gambe".
Una delle cose a cui il rookie di solito non pensa, quando arriva davanti a macchine come quella dell'immagine, è che i tempi si allungano, rispetto alle scale di laboratorio. Più tempo per caricare solventi e reagenti, più tempo per scaldare, più tempo per raffreddare, più tempo per distillare.
E se non hai studiato bene la sintesi giusta, mettendo a fuoco tutto quello che mai avresti messo a fuoco lavorando con un pallone da mezzo litro, questo si può tradurre in più tempo per le reazioni indesiderate, più tempo per la decomposizione del prodotto. E quindi alla fine invece dei dieci chili di cristalli candidi ti puoi ritrovare con centocinquanta chili di catrame da smaltire.

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...