domenica 22 giugno 2025

LA CONFRATERNITA DIALETTICA -2- LE BESTIACCE - FAVOLA CON ANIMALI

 

Tasso del miele

 

Il porcospino arrivò trafelato, dopo una lunga corsa, sotto il vecchio castagno dove il topo, il coniglio e lo scoiattolo stavano discutendo della Condizione postmoderna di Lyotard.

"La frammentazione dei saperi," stava dicendo lo scoiattolo, aggiustando gli occhiali da lettura, "non è necessariamente una perdita, ma una liberazione dai totalitarismi epistemologici..."

"See, magari..." aveva detto il topo. "Lyotard pensava alla liberazione, ma Baudrillard..."

"Ragazzi, ragazzi!" li interruppe il porcospino ansimando. "È un'ora che vi cerco!"

"Basta!" esclamarono i tre all'unisono. "Siamo stanchi delle tue assurdità!"

"No, dovete ascoltarmi!" Il porcospino si fermò a riprendere fiato, le spine ritte per l'agitazione. "Hanno assalito la Confraternita Dialettica!"

Il silenzio calò improvviso.

"Cosa?" chiese il topo.

"Quando?" chiese il coniglio, drizzando le orecchie.

"Chi?" chiese lo scoiattolo, togliendosi gli occhiali.

Il porcospino prese un respiro profondo. "Le bestiacce. Sono state le bestiacce."

Una bestiaccia era arrivata davanti all'istrice, al corvo e alla faina porgendo una pila di fogli di corteccia.

"Fare quel che fate non solo non è inclusivo, ma è un'offesa alla morale pubblica prevalente," aveva detto. "Abbiamo presentato un esposto alla Magistratura e all'Ordine dei Bovini, all'Ordine degli Equini e a quello degli Avvocati. Lo consegniamo a voi in copia per notifica. È firmato da millemila Granduomini, Personalità Istituzionali, Eminenti Professionisti e Onoratissimi Cittadini."

Il corvo aveva obiettato che lui non era né un bovino né un equino e neanche un avvocato, quindi non era iscritto ad alcun ordine. L'istrice e la faina l'avevano imitato.

"Che c'entra?" aveva sbottato la bestiaccia. "Avete finito di fare quello che fate!" E se ne era andata lanciando per terra la pila di fogli di corteccia con un'espressione sprezzante e indignata.

"E poi che è successo?" chiese il coniglio.

"Alla fine non molto, però ha lasciato il segno," disse il porcospino.

L'istrice, la faina e il corvo erano stati condannati per occupazione abusiva di suolo pubblico e pesantemente multati.

"Il daino, quello giovane, che fine ha fatto?" chiese il topo.

"Lo hanno precettato, costringendolo a combattere per le femmine," disse il porcospino.

Era finito palchi contro palchi con un maschio più vecchio di lui, che lo sorpassava di almeno venti chili e che gli aveva spezzato il collo.

"E il tasso del miele?" chiese lo scoiattolo.

"Ah, contro di lui hanno spiccato un mandato di cattura." disse il porcospino.

Una bestiaccia era scomparsa e avevano dato la colpa al tasso del miele. Lui stava pensando di rispondere all'accusa a modo suo quando era incappato in due bestiacce che avevano appena scritto sul tronco di un albero: "Godiamo come ricci! Finalmente qualcuno si è occupato di quegli arroganti della Confraternita Dialettica! Ma si meritavano di peggio!"

Il tasso del miele le aveva sgozzate, le aveva appese a due rami a testa in giù a dissanguarsi, aveva cancellato sfregiandolo con gli artigli il messaggio delle bestiacce e sotto aveva scritto: "Non so che fine abbia fatto la bestiaccia scomparsa, ma vorrei averla fatta fuori io. Comunque mi sono rimesso in pari e affanculo Darwin!". 

Poi era scomparso nel nulla.

Lo scoiattolo si rimise gli occhiali. "Sapete cosa significa tutto questo?" chiese.

"Che Lyotard aveva ragione, maledizione!" mormorò il topo. "Quando i grandi racconti collassano, il rischio non è solo la frammentazione, ma anche il ritorno di nuovi totalitarismi travestiti da consenso popolare. Aggiungerei: travestiti da un consenso che magari non c'è."

NB: la morale della favola è che le bestiacce sono gran brutte bestie

giovedì 19 giugno 2025

LA CONFRATERNITA DIALETTICA -1- LA RADURA - FAVOLA CON ANIMALI

Non lontano dai confini del bosco, circondato da querce secolari, un giovane daino brucava pensieroso.

Pensava a quando, tra una settimana, tutti i daini maschi del bosco si sarebbero scontrati per le femmine e rifletteva che gli mancavano almeno 10 chili e che i suoi palchi erano ancora troppo piccoli per dargli una chance in combattimento. "Se devi giocare con le regole di Darwin, gioca quando almeno una possibilità di vincere ce l'hai", pensava. Per questo era un giovane daino isolato. Gli altri giovani daini se ne fregavano, di tutto questo, e qualcuno di loro ci lasciava pure la pelle a combattere con avversari più grossi. Ma a nessun daino la cosa interessava, era l'ordine delle cose. 

Questo pensava il daino brucando, quando sopra di lui passò volando una cornacchia che ripeteva:

"Chi cerca la verità segua il sentiero verso Radura della Confraternita Dialettica."

"Perché no?" disse tra sé e sé il daino. E quindi se andò in cerca della Radura della Confraternita Dialettica. Dopo un lungo cammino tra felci e muschi, giunse a un crocevia dove tre animali sostavano su tronchi diversi, come se aspettassero qualcuno.

Il primo era un  istrice dalle penne striate di bianco e di nero. I suoi occhi brillavano di certezza assoluta.

Il secondo era una faina eretta sulle zampe posteriori. Con quelle anteriori girava tra le zampe una ghianda vuota, scuotendola di tanto in tanto con aria dubbiosa.

Il terzo era un corvo dal piumaggio lucido, che faceva saltellare una monetina dorata tra gli artigli. Il corvo sorrideva con gli occhi in modo enigmatico.

Il daino si fermò e domandò: "Dove posso trovare la Radura della Confraternita Dialettica?"

L'istrice rispose con voce solenne: "Solo chi accetta i principi fondamentali della Confraternita può accedere alla Confraternita."

"Ok," disse il daino "e la prima regola è non parlare della Confraternita. Sono un daino maschio, maledizione, vuoi parlare a me di fight club?" 

La faina ghignò scuotendo la ghianda: "Ma come fai a sapere se esiste davvero, in astratto, la coazione a combattere di un daino maschio?"

"E' scritta nel mio DNA!" esclamò il giovane daino.

"Dove? Come?" disse il corvo. "Come fai a sapere che quel che esperisci sia scritto nel tuo DNA e non un costrutto sociale, un'illusione? Darwin è un gran bastardo, che esista o no"

Al che il giovane daino era molto confuso, ma si diresse comunque verso la Radura.

Arrivato nella Radura della Confraternita Dialettica trovò appollaiati su basso ramo un gufo, un barbagianni e un nibbio.

C'era lì, seduto sul manto erboso, anche un tasso del miele che bofonchiava. 

Il giovane daino si fece avanti e disse "Salve. Per favore, non cominciate con la storia che la prima regola del fight club è che non si parla del fight club. Essendo io quello che sono la trovo ironia di basso livello"

Il tasso del miele sbottò.

"Tu, un daino qualsiasi, parli di fight club davanti a me? Come osi?" disse "Darwin maledetto, spero che sia morto male, sputando sangue" 

Il barbagianni stridette."Silenzio! Sentiamo come risponde il daino."

"Se un ramo si spezza nella foresta e nessun animale lo sente, fa rumore?" domandò il gufo al daino.

"Sì. Anche un pezzo della banchisa antartica che crolla in mare fa rumore, pure se non c'è nessuno a sentirlo". Rispose il daino.

"E' esattamente quel che ho detto io del fottuto ramo che si spezza, però..." commentò il tasso del miele.

"Ma se nessuno lo sente o lo vede come facciamo a sapere che si è spezzato?" chiese il nibbio.

"Non possiamo saperlo. Ma se passo di lì e vedo il ramo spezzato deduco che quando si è spezzato ha fatto rumore" disse il daino.

"Quindi sei sicuro che tutti i rami che si spezzano fanno rumore? E quanto rumore fanno? Nel caso in cui il rumore fosse molto poco potresti da lontano, ascoltando, concludere che si è spezzato un ramo?" Chiese il barbagianni al daino.

"E' la maledetta storia dell'albero nella foresta" commentò il tasso del miele "Stessa dannata cosa." 

Il daino era confuso. Il tasso del miele lo guardò. "Dannazione, sveglia! Stanno parlando dell'impossibilità di una generale verità ontologica!".

"Lui ha capito." disse il gufo. 

"Ma la verità, quindi?" chiese il daino.

"Quando hai fame mangi?" chiese il nibbio.

"Sì." rispose il daino

"Quando hai sete bevi?" 

"Sì."

"E questa mi sembra una verità piuttosto fondamentale." concluse il nibbio. 

Il daino e il tasso del miele se ne andarono insieme. Il daino aveva salutato i tre rapaci, il tasso de miele no.

"Giusto perché tu lo sappia,"disse il tasso del miele "l'ultimo che mi ha contraddetto l'ho sgozzato e l'ho appeso a testa in giù a dissanguarsi" 

"Ah, ok" disse il daino.

NB: La morale della favola è che gli animali a Darwin gli vogliono tanto bene, oppure no.  

martedì 17 giugno 2025

VITA DA EXPAT: SPAGHETTI (E ARINGA)

Da quando ho lasciato l'Italia tra mense aziendali  e canteen ho visto la più spettacolare varietà di pasta scotta che si possa immaginare. Nel senso che la pasta era una scelta popolare, per il lunch, e appariva immancabilmente scotta e immangiabile per i miei standard. La faccenda del lancio dello spaghetto contro il muro al di fuori dei confini italiani NON è una leggenda metropolitana.

Come diceva ai suoi colleghi un mio amico che lavora prevalentemente all'estero, "se lanci lo spaghetto contro il muro e si attcca è pronto, sì, per la pattumiera".

L'ingegnere spagnolo del gruppo della macchinetta del caffé diceva che ero "half gone native": lei si faceva spedire da casa gli ingredienti, io continuo ad adattare gli ingredienti locali al mio stile di cucina. Qualcosa mi porto dietro ogni volta che torno dall'Italia (pane toscano ogni volta che posso), qualcosa compro online ogni tanto. Ma il 90% di quel che mangio è fatto con ingredienti acquistati qua - beninteso tra questi ingredienti ce ne sono di made in Italy: pasta, olio EVO, parmigiano, pecorino romano.

Lo spaghetto tonno e funghi secchi era qualcosa che sul tavolo della mia famiglia appariva regolarmente da quando mi posso ricordare. In un opuscolo sulla cucina locale, riedizione di qualcosa pubblicato all'inizio del XX secolo, veniva chiamato "spaghetti alla carrettiera", nome che oggi viene usato perlopiù riferendosi alla ricetta siciliana. La ricetta è semplicissima: uno spicchio d'aglio, polpa di pomodoro o pelati, porcini secchi e tonno in scatola. Come tutte le ricette semplici è facile sbagliarla: troppo pomodoro l'errore più comune, funghi secchi troppo strizzati dopo l'ammollo l'altro. Non che da queste parti non ci siano marchi locali di tonno in scatola, ma ieri ho sperimentato una variante sostituendo al tonno in scatola l'aringa affumicata.

L'aringa affumicata che trovo al supermercato è kipper (di solito confezioni da due) e ormai metà la tratto come la buonanima di mia nonna faceva con i salacchini, dopo averli dissalati, cioè mettendola a pezzi sottolio con l'aggiunta di aglio a fette (io aggiungo anche peperoncino rosso). L'altra metà la uso in cucina, come in questa ricetta di spaghetti. Ingredienti per due: un kipper (o due filetti di aringa affumicata), spellato e tagliato a pezzi larghi circa un centimetro, uno spicchio d'aglio, olio EVO, 200 g di polpa di pomodoro, 15 g di porcini secchi. Fare imbiondire appena lo spicchio d'aglio nell'olio e aggiungere l'aringa, facendo soffriggere per un paio di minuti. Aggiungere la polpa di pomodoro e appena riprende il bollore abbassare il fuoco, coprire e cuocere per circa mezz'ora. Aggiungere i funghi ammollati, strizzati ma non troppo e cuocere a fuoco medio per 10-15 minuti. Cuocere gli spaghetti al dente, saltarli brevemente nel condimento e servire.





giovedì 12 giugno 2025

LA FILOSOFIA DELLA NATURA

Così Longanesi traduceva nel 1965 il titolo di The Discovery of Nature di Albert Bettex (1906-1996), filologo e umanista svizzero di cui resta poca traccia nel mondo dell'informazione online. Bettex nella sua lunga attività accademica insegnò a Basilea, a Cambridge, negli USA. Oggi ogni sua traccia biografica è sparita dal web (è il decadimento digitale). Ma le sue opere sono ancora disponibili, in alcuni casi nel commercio di libri rari o "antichi".

Ho già accennato alla perdita (non obsolescenza) di certi formati middlebrow come gli Atlanti Scientifici Giunti. I libri di Bettex erano una cosa completamente diversa, plasmata da un fortissimo senso estetico per le testimonianze iconografiche della storia delle scienze e dell'esplorazione, Credo che l'ultima iniziativa editoriale con un'impostazione del genere sia stata Kos di Franco Maria Ricci, a metà anni '80. Nessuna voce Wikipedia anche in questo caso, ma stessa presenza nel mercato dei libri usati o rari.

 


Perché nella storia delle scienze e della medicina l'arte è presente, da dipinti dei teatri anatomici del seicento, con cartigli che recitavano Homo Bulla, a quel che c'è nel seminterrato della Cappella Sansevero o alle sculture anatomiche del Susini.

Ma torniamo a Bettex. La filosofia della natura è un raffinato testo divulgativo illustrato che racconta la storia delle scienze dall'antichità classica e preclassica fino ai grandi avanzamenti del XIX secolo, e lo fa in un'ottica umanistica, ovvero raccontando il cambiamento nella cultura della visione del mondo naturale. Racconta la chimica partendo dall'alchimia, la zoologia partendo dai bestiari antichi (Il Fisiologo) e medievali. Nella medesima narrazione figurano Empedocle, Alberto Magno, Paracelso, Newton, Dalton, Faraday, Darwin, componendo nel testo una discreta mole di iconografia coeva agli eventi. Il tutto con la semplicità e la profondità di sguardo di un grande umanista.

Le ultime parole di questo vecchio testo, bello (e demodé), sono quelle della didascalia ad un dipinto di Ma Yuan Kung:



"A chi ama contemplare ed osservare la natura sarebbe anche oggi di grande utilità soffermarsi meditando dinanzi alle illustrazioni di antichi paesaggi cinesi, prima di prestare la propria attenzione al microscopio, all'erbario, alle provette... Ciò che queste immagini comunicano non è scienza, sibbene il sentimento intimo, reverente sodalizio dell'uomo con la natura. L'Occidente, che spesso ha sminuito la natura fino a farne oggetto di avido sfruttamento, ha con ciò stesso contribuito a che quel sentimento vitale si atrofizzasse, mentre nell'Oriente esso si è conservato più a lungo intatto. Alberi e montagne e acque ci appaiono sotto il pennello di Yuan Kung come entità misteriosamente animate e l'uomo è inserito sensatamente nella natura come essa stessa a sua volta è coordinata all'uomo. L'uno senza l'altra non sarebbero un tutto, poiché ambedue riposano nello stesso Tao, ossia nelle stessa profondità dell'essere. Come dice il taoista Ciuang Dsi: "Riconosco la gioia dei pesci dal sentimento di allegrezza che provo quando passeggio lungo il fiume" ".

L'Oriente contemplativo a cui faceva riferimento Bettex era, ahimè, un costrutto culturale occidentale, specialmente all'epoca in cui pubblicava (senza nulla togliere per questo al valore di quello che scriveva o citava). La Cina era in piena rivoluzione culturale e il Giappone viveva il boom industriale. Ma, per esempio, all'inizio del XX secolo in Giappone il legame con la storia (o la tradizione, se vogliamo) era tale da permettere ad Eugen Herrigel, negli anni '20, di venire istruito nel kyudo e poi scrivere Lo Zen e il tiro con l'arco.

In ogni caso non è senza significato che figure come Bettex, che rappresentavano una sintesi raffinata tra cultura umanistica e scientifica, vengano gradualmente cancellate dall'orizzonte culturale contemporaneo. Questo "decadimento digitale" non riguarda solo l'obsolescenza tecnologica, ma la perdita di una forma mentis, di un approccio alla conoscenza. Un approccio sostituito con uno più specialistico e deumanizzato da una parte, e dall'altra con uno grottescamente fideistico, triviale, di una miseria intellettuale devastante. Per questo il decadimento digitale non viene vissuto come un problema nel dibattito pubblico prevalente. In fin dei conti si confà alla cifra di questo momento storico in cui l'occidente vive un problema esistenziale confrontandosi con il proprio passato e preferisce riscriverlo o cancellarlo.

NB: Una prima versione di questo post era stata pubblicata nel 2018 e allora quelle brevi note biografiche su Bettex erano reperibili. Ad oggi questo post è l'unico documento a contenerne una traccia. 

mercoledì 11 giugno 2025

LA LEZIONE DIMENTICATA DELLA "VITA SINTETICA"

 


Il genoma minimo di Craig Venter ovvero :quando il riduzionismo genetico incontrò la realtà sperimentale che, come succede molte volte, non aveva alcuna intenzione di collaborare.

Negli anni Novanta, quando il Progetto Genoma Umano prometteva di decifrare il "libro della vita", ho perso il conto dei biologi che credevano che bastasse leggere la sequenza del DNA per comprendere i meccanismi fondamentali della vita e delle patologie. All'inizio di questo millennio mi capitò di parlare con alcuni giovani biologi che mi dissero "Small Molecus? Condoglianze, ora silenzieremo i geni responsabili della malattia e il problema sarà risolto". Craig Venter, pioniere del sequenziamento genomico e figura controversa nel panorama scientifico internazionale, ha sempre incarnato questa visione stolidamente ottimistica della biologia molecolare. E quando si è iniziato a parlare di biologia sintetica figuratevi se non era in prima linea. Piccolo particolare: dopo aver annunciato di aver cominciato a lavorare sulla vita artificiale basata sul più piccolo genoma funzionante, dovette fare i conti con la realtà sperimentale di cui sopra: il più piccolo genoma funzionante (in teoria) non funzionava affatto. Per farlo funzionare servivano più geni, tipo il 30% in più, e nessuno sapeva perché. Ovviamente quallo che era a tutti gli effetti un passo falso fu venduto al pubblico come una grande vittoria. Il J. Craig Venter Institute annunciò nel 2016 la creazione di JCVI-syn3.0, un batterio sintetico con soli 473 geni: la forma di vita autonoma con il genoma più piccolo mai realizzata dall'uomo. Ed il più piccolo effetimante lo era. Per dare un'idea il comune batterio Escherichia coli, presente nel nostro intestino, possiede circa 4.000 geni. L'essere umano ne ha circa 20.000. Se l'obiettivo era ambizioso, cioè identificare i geni minimi indispensabili per la vita, syn 3.0 era la storia del fallimento di un paradigma. Circa il 30% dei geni di Syn3.0 – parliamo di circa 150 sequenze – non aveva una funzione nota ma si era dimostrato essenziale per la sopravvivenza del batterio. La cosa venne riflessa nelle  dichiarazioni di Venter: "È umiliante, Abbiamo creato l'organismo più semplice possibile, eppure non capiamo ancora come funziona un terzo del suo genoma."

Le conclusioni riguardo alla sbornia genomica che persisteva sin dagli anni '90 furono immediate e poco consolatorie: se non riuscivamo a decifrare completamente il genoma di un batterio artificiale, progettato per essere il più semplice possibile, come si può sperare di dominare sistemi complessi come il corpo umano?

Inoltre Syn3.0 era un artefatto nell'esatto senso del termine. Estremamente fragile. Sopravvive solo in condizioni di laboratorio perfettamente controllate, nutrito con un brodo di coltura ricco di nutrienti. Nella natura selvaggia, morirebbe in pochi secondi. Ma questo è vero anche per molti batteri usati industrialmente

Ricordatevi che negli anni Novanta, molti ricercatori credevano nell'esistenza di geni specifici per malattie specifiche: il "gene dell'Alzheimer", il "gene del cancro", il "gene dell'obesità". Poi abbiamo avuto qualcosa come 20 anni di fallimenti clinici dell'ipotesi amiloide, ma la lezione non è stata imparata. Poi è arrivato Syn3.0 e ancora una volta si è fatto finta di niente, business as usual. Esattamente come se la comunicazione delle life sciences fosse rimasta al 1995.

Per giornalisti e divulgatori scientifici, il caso Syn3.0 avrebbe dovuto costituire un immenso caveat: diffidare dei titoli che annunciano la "scoperta del gene di..." o la "soluzione definitiva a...". E invece abbiamo visto (di nuovo) annunciare la nascita di un vaccino antiAlzheimer basato su... l'ipotesi amiloide.

Ah, e se vi chiedete cosa è successo riguardo a Syn3.0 negli ultimi dieci anni: si è arivati alla versione 3A, ma ancora non si capisce quale sia la funzione di quel 30% di geni "in più" indispensabili a farlo funzionare.

Ora provate a far quadrare questo con la narrazione delle magnifiche sorti e progressive della scienza che trovate in giro, se ci riuscite. Ma tranquilli, la scienza/segno, la scienza comunicata, è immune a qualsiasi reality check. 

PS: Posso immaginare che un'obiezione standard a quanto ho scritto possa essere "Ma non siamo rimasti fermi, oggi abbiamo CRISPR!". Piccolo particolare: CRISPR è uno strumento: taglia e ricuce DNA. Non ti dice niente sulla funzione di quel che tagli e cuci, e nonostante il suo sviluppo la funzione di quel 30% di geni necessari alla vita minima continua ad essere ignota. Le applicazioni cliniche di CRISPR sono in salita, perché sono una riedizione di gene X= patologia Y e, se si considerano gli ultimi quaranta anni l'approccio funziona, sì, ma solo in casi particolari.

Fonti:

https://www.jcvi.org/media-center/first-minimal-synthetic-bacterial-cell-designed-and-constructed-scientists-venter

https://www.nature.com/articles/s41586-023-06288-x

https://www.science.org/content/blog-post/smallest-viable-genome-very-weird 

https://www.nature.com/articles/s41392-023-01309-7 

domenica 8 giugno 2025

DIVULGAZIONE SCIENTIFICA O SPETTACOLO?

Sono abbastanza vecchio da ricordarmi piuttosto bene dei primi '90, quando "scienze della comunicazione" era roba abbastanza nuova e Fininvest assumeva e formava "scienziati della comunicazione". Se qualcuno si ricorda cosa erano i canali Fininvest nei primi novanta ha anche presente a cosa servivano quelle scienze della comunicazione.

Andando a memoria mi ricordo qualcuno che ebbe a dire che la comunicazione della scienza era essa stessa una scienza. Il che immediatamente mi ricordò questo:

Al di là della battuta, non cogliete il parallelo tra queste due diverse "scienze" della comunicazione? Quello dei primi anni '90 era un mercato della formazione, che prometteva sbocchi lavorativi in un determinato contesto, Ed esiste oggi un altro mercato della formazione ancora con la parola "comunicazione" dentro, e l'advertising, mutatis mutandis, è scintillante come lo era nei primi '90 riguardo la scienza delle comunicazioni. 

Aggiungerei che le radici degli attuali format "comunicazione della scienza" nacquero in RAI. Quark (1981) fu rivoluzionario con il suo approccio:  linguaggio semplice, grafiche intuitive, un tono coinvolgente. Un arrangiamento modernizzato dell'Aria sulla Quarta Corda di J.S.Bach (dalla Suite n.3 BWV 1068), usato come sigla assieme a una grafica 3D che all'epoca era di per sé stupefacente completava il quadro.

Direi che quell'arrangiamento bachiano era una buona metafora della natura del format: piuttosto ruffianeggiante, buono per il grande pubblico, abbastanza distante dall'originale. E dall'introduzione si capiva bene che per il programma era stato scelto un nome strano ma "sexy", il nome di qualcosa su cui lo stesso ideatore del programma aveva idee decisamente nebulose, se non errate (il più piccolo dei mattoni della materia in genere? Cioè, anche gli elettroni sono fatti di quark? Non proprio). E questa è stata la "firma" del programma, fin dall'inizio. Per esigenze di intrattenimento quel format privilegiava narrazioni accattivanti a scapito di approfondimenti rigorosi. Ciò poteva limitare la capacità di stimolare un pensiero critico attivo negli spettatori, relegandoli a un ruolo passivo di consumatori di informazione facilitata, cioè ridotta, espunta, parziale. 

Fu quello che si dice un cambiamento di paradigma rispetto agli standard precedenti. Ai tempi, per esempio, in libreria si trovava ancora abbastanza in evidenza la collana Atlanti Scientifici, edita da Giunti. Per fare un esempio Tavole di Chimica, prima edizione 1968. Quel format era costituito da testo sulle pagina a sinistra e illustrazioni a colori sulla pagina a destra, quindi molto più accattivante rispetto al classico testo e equazioni con qualche schema o grafico in bianco e nero. Però era rigoroso. Risultato finale: se avevi una curiosità per quella materia ti rendevi conto che non era facile. Nel cambiamento di paradigma tutto questo fu archiviato: la popolarizzazione richiedeva estrema facilitazione e come risultato finale l'illusione della facilità.

Gli Atlanti Scientifici, come altre collane simili, non erano best sellers, ma non restavano in libreria a prendere polvere. Me li ricordo ben presenti, addirittura con espositori dedicati. Non erano infotainment, ma non erano nemmeno libri accademici.    Rispetto a un manuale universitario, gli Atlanti erano più leggibili. Erano un prodotto della middlebrow culture (come all'epoca lo erano Le Scienze e in una certa misura New Scientist), quindi un prodotto culturale "di massa", ma appartenente a quel gradino intermedio oggi quasi scomparso, schiacciato tra la divulgazione-spettacolo inaugurata da Quark e l’iper-specialismo.

Ho notato su youtube e in tv alcuni pierangelisti: Polidoro e Gallavotti lo sono a tutto tondo, prodotti puri dell’ecosistema della divulgazione scientifica televisiva italiana, nati e cresciuti all’ombra di Piero Angela e del suo modello di comunicazione. 

Cioè gente che parla di scienza ma che, come lo storico decano, ha una formazione quasi esclusivamente televisiva.

Quindi se si parla di "comunicazione di.."  stiamo parlando di intrattenimento, di spettacolo. Un intrattenimento e uno spettacolo che oggi come 35 anni fa ha un senso politico. Lo scopo politico dei primi '90 era "Vota Biscione!", il senso attuale è la "verità scientifica", che continua ad essere merce di scambio politico. 

I pierangelisti potrebbero essere i "padri nobili" di gente che mi ricordo dai tempi della presenza social: autoproclamatisi giornalisti, scienziati e professionisti di altro genere che esistevano solo su quelle piattaforme - per il resto nessuna traccia professionale, niente pubblicazioni, curriculum, affiliazioni, posizioni in una qualche azienda: le professionalità fantasma con nome e cognome, che però spargevano a piene mani opinioni qualificate (qualificate da chi?).

(Se non si coglie la differenza la cosa è l'esatto opposto dell'anonimato, perché se questo testo uscisse firmato con nome e cognome a chiunque in pochi secondi sarebbe chiaro chi sono, dove sono, cosa faccio e cosa ho fatto). 

Può darsi che questo sia quello il pubblico vuole: infotainment, conferma dei propri pregiudizi, risposte semplici. Che è esattamente la stessa cosa che succede con i media "complottisti". 

E' così che si fa share, è così che si fanno visualizzazioni, è così che si sterilizza il dibattito. Ed è così che tutto è ridotto ad un puro bene di consumo nel mercato dei segni.

Cosa ha prodotto la trasformazione dallo "scrivere di scienza" alla comunicazione della scienza come bene di consumo di massa? Posso produrre solamente due ipotesi di lavoro.

Prima ipotesi: la supposta "fine delle ideologie" ha prodotto un vuoto che è stato riempito da ideologie altre e nuove.

Seconda ipotesi: in questo nuovo contesto il web 2.0 con le sue piattaforme e i suoi social media è stato determinante, finendo per dar vita a bolle informative, un panorama in cui si configurano le superbolle conformiste e complottiste.

E tutto questo dovrebbe essere materia di ricerca sociologica. Di questi tempi qua sopra sempre più spesso si comincia parlando di "scienza" per trovare risposte attuali o possibili al di fuori del classico territorio scientifico (filosofia, sociologia).

E mentre si cercano risposte sia la "scienza comunicata" che il complottismo rimangono merci sugli scaffali del supermarket delle identità. 

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...