Sono mesi che si parla di ivermectina e COVID-19, ma di recente mi hanno girato un "miracolo! NIH autorizza l'uso di ivermectina per COVID-19".
A parte che NIH non "autorizza", al limite può raccomandare, il punto è che non ha raccomandato niente, anzi: "dati insufficienti per raccomandare o sconsigliare l'uso di ivermectina per COVID-19" (https://www.covid19treatmentguidelines.nih.gov/statement.../).
Ma qua il punto non è cosa fa o non fa NIH al riguardo. Il punto è che siamo alle solite. Ivermectina, che è un vecchio e noto antielmintico, è stata definita "attiva" contro SARS-CoV-2 (https://www.sciencedirect.com/.../pii/S0166354219307211...). E qui casca l'asino, al solito: con un EC50 di decine di micromoli nessuno nel ramo drug development direbbe "attivo". Ma al dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare dell'università di Monash (Australia) no, non si fanno problemi e parlano di "effetto antivirale a largo spettro". Una "attività" che non verrebbe presa in considerazione da nessuno sviluppatore (né da FDA o EMA) viene invece presa per buona da vari medici che iniziano ad usare ivermectina su pazienti COVID. Un triste classico. Un triste salto da "buono per un articolo" a "buono per i pazienti" che nessun altro si sognerebbe di fare tranne gli idioti che ritengono che "i farmaci si approvano dopo pubblicazione peer reviewed".
Abbiamo visto roba del genere fin dall'inizio di questa vicenda pandemica. Lopinavir, stando ai dati in vitro, non c'era verso che funzionasse: è stato usato a fiumi finché verso giugno 2020 ci si è rassegnati a quel che si sarebbe dovuto sapere fin dall'inizio, cioè che non avrebbe funzionato. Idem per l'idrossiclorochina in funzione antivirale.
Perché? Perché i medici non studiano farmacologia sul Foye's (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../il-foyes-e-i...).
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