Se vi ricordate di topi, luciferasi e luciferina vi ricorderete che c'è una certa differenza tra le varie vie di sommistrazione.
Non è una cosa llimitata ai vaccini mRNA: il principio vale per qualsiasi farmaco di qualsiasi tipo.
L'endovena è il dosaggio più "pulito": quel che viene iniettato finisce nel flusso sanguigno e la sua concentrazione nel plasma è determinata dall'assorbimento nei tessuti da una parte e dalla velocità di escrezione dall'altra. Il massimo di concentrazione (Cmax) nel plasma lo si ha al momento dell'iniezione, e detta concentrazione cala nel tempo all'incirca come un'esponenziale negativa. Il tempo di dimezzamento (t1/2) è quello in cui la concentrazione è la metà della concentrazione massima . Per infusione poi l'endovena permette il dosaggio di quantità relativamente grandi di farmaco o di volumi di soluzione (pensate alle flebo di soluzione fisiologica). Quindi mettere a punto qualcosa di somministrabile per endovena è relativamente semplice. Relativamente, però: si pensi ai tassani, che negli anni 90 costituirono un notevole passo avanti nelle terapie antitumorali. Il loro problema era la scarsa solubilità, e quindi la necessità di aggiungere agenti disperdenti per renderli dosabili.
In breve l'endovena da un lato è semplice, ma dall'altro più complicata (la somministrazione richiede ambiente ospedaliero o assimilabile). Non è affatto strano che alcuni dei farmaci messi a punto e approvati o autorizzati in emergenza a distanza di mesi- mesi, non anni- dalla comparsa di SARS-CoV-2 prevedano la somministrazione endovena.
Il dosaggio sottocutaneo è in teoria assimilabile a quello IV. Ma per ovvi motivi per via sottocutanea non possono essere somministrati volumi relativamente grandi di iniettabile. Piccole quantità, piccoli volumi. E se volete vedere un effetto il vostro farmaco deve essere potente, ovvero in grado di funzionare a dosaggi relativamente bassi di soluzione o sospensione iniettabile.
E finora abbiamo parlato di due metodi in cui quanto dosato non passa dal fegato (e quindi dal tritacarne del metabolismo di primo passaggio).
Con l'iniezione intramuscolo una frazione variabile del dosato finisce nel fegato. Quindi in generale o il tuo farmaco è stabile al metabolismo di primo passaggio, o i metaboliti non creano problemi e sono anch'essi attivi, oppure è una specie di terno al lotto: devi sperare di avere per le mani qualcosa che sia minimamente sottoposto al metabolismo del fegato oppure potente a sufficienza da far sì che la frazione che non viene distrutta sia in grado di dare comunque concentrazioni efficaci di farmaco nel plasma e nei tessuti.
E a proposito di concentrazioni anche qua non ci sono regole fisse: per certi farmaci la concentrazione massima si raggiunge dopo minuti (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/3691617/). Sono abbastanza vecchio da ricordarmi le iniezioni di penicillina sospensione intramuscolo: un male boia, e la chiappa che restava dolorante per un bel po': nel caso delle penicilline il picco di concentrazione plasmatica si raggiunge piuttosto rapidamente e i tempi di dimezzamento variano da una trentina di minuti a giorni, e per fortuna, altrimenti sai quanti continuavano a restarci per broncopolmoniti batteriche tra anni 50 e anni 70 (un esempio qua https://www.accessdata.fda.gov/.../2012/050141s231lbl.pdf).
Per fare esempi d'attualità questo è il caso dei mAb Astrazeneca attualmente in sperimentazione clinica. I mAb GSK-Vir sono un caso simile e ora sono soggetti a ulteriore sperimentazione clinica con dosaggio sottocutaneo, come quelli BMS: forse questi farmaci con questa modalità di somministrazione si riveleranno efficaci, forse no. Il concetto è: passare dall'endovena a sottocutaneo e intramuscolo (che possono essere usate senza problemi nei pazienti a casa) non è precisamente una banalità.
E questo è un discorso strettamente collegato agli estenuanti dibattiti che per un anno si sono protratti sui farmaci "nuovi", quelli ancora coperti da brevetto.
Mi pare che per quanto riguarda i farmaci il senso di un'autorizzazione all'uso in emergenza sfugga completamente (mentre per quel che riguarda i vaccini una EUA viene automaticamente equiparata ad una approvazione definitiva). Un farmaco autorizzato in via emergenziale è uno strumento potenzialmente utile da rendere disponibile immediatamente per ridurre i danni di una patologia senza opzioni terapeutiche risolutive. Si ragiona con quello che c'è, non su quello che ci sarà tra quattro mesi o un anno, perché l'emergenza è attuale e presente.
Quindi il punto non è "ah, vabbè, funziona poco, aspettiamo qualcosa di più efficace e di più facile uso": quello è il punto di vista perlopiù sacrosanto nel quadro di una situazione non emergenziale, in cui guarda caso le autorizzazioni di emergenza non hanno senso (poi ci sarebbe il discorso degli unmet medical needs, fin troppo lungo). Tra ottobre e gennaio (come tra marzo e aprile 2020) si poteva usare ogni mezzo disponibile per la potenziale riduzione del danno. E' stato fatto? Più no che sì. Doveva essere fatto? Mi ripeto, questa è la domanda dirimente: ci si divide tra sì e no. E il governo della politica farmaceutica in Italia è ancora schierato prevalentemente per il no, assieme a tutti coloro che lo difendono.
Rif: Edward H. Kerns and Li Di, "Drug-like Properties: Concepts, Structure Design and Methods
from ADME to Toxicity Optimization"
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