giovedì 25 aprile 2024

ALLA FINE DI UN 25 APRILE VISTO DA LONTANO

Non so, se fossero ancora vivi, come Sergio Solmi, nome di battaglia Mario Rossetti, e Beppe Fenoglio giudicherebbero questo 25 aprile. Non so se gioirebbero dell'ennesima liturgia saltata o semplicemente volgerebbero altrove lo sguardo disgustati. Per loro la resistenza era stata freddo, fame, proiettili che ti fischiavano troppo vicini, carcere. Ebbero modo di provare a scriverne una testimonianza in tempi più civili, in cui Mario Rossetti traduceva Ezra Pound e Montale traduceva Emily Dickinson. Perché la guerra e il fascismo, quello totalitario che si era fatto istituzione, erano alle spalle, e nel loro presente avevano lasciato solo cicatrici residuali. I nemici veri, non quelli di comodo, avevano finito per stringersi la mano, per ricordarsi con rispetto (vedere la fine del film).

 

E non posso scordare il memoriale di Paolo Caccia Dominioni (https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Caccia_Dominioni), militare, partigiano e scrittore, sempre ricordando che nel deserto lui e il suo vecchio amico Peniakoff, quello della Popsky's Army, si erano trovati su fronti opposti. Gli irregolari di Peniakoff li ritrovate in Paisà di Rossellini, nell'ultimo episodio, quello su servizi segreti americani e inglesi che lavorano fianco a fianco con i partigiani veneti alla foce del Po.

La seconda guerra mondiale era alle spalle, con un sospiro. Mi ricordo ancora nei primi '70 mia nonna che cominciava a raccontare un ricordo diecendo "In tempo di guerra...".

Beninteso, nel mondo all'epoca non c'era pace: Corea, Guerra Fredda, Vietnam, Angola, guerre in Medio Oriente. Però tutto questo non lo sentivi sulla tua pelle, Non sentivi la fame, non toccavi con mano la morte con una frequenza mai sperimentata.

Il presente 25 aprile non poteva andare liscio con la solita vuota liturgia: troppe guerre in corso, troppo vicine. Si può dire che chi ha gridato "Fuori i sionisti dal 25 Aprile" al di là del metodo ha quanto meno posto un problema?

 

Il problema sarebbe quello della distinzione tra oppressi e oppressori, ieri come oggi. E tra ieri e oggi qualche ex oppresso ha fatto il salto della quaglia passando dall'altro lato, ma fa finta di niente.

In questa contraddizione i coup de théâtre come quelli relativi a Scurati e al suo monologo, si rivelano tragicamente inadeguati, ancorati a un gioco politico logoro in cui chi governa non si vuole definire antifascista per non rinunciare a una piccola fascia di elettorato e chi non governa ci marcia sopra per consolidare quel che resta del suo. E lo fa pur avendo l'altro ieri appoggiato misure senza pari e senza precedenti in occidente quanto a limitazione dei diritti individuali, perché "tanto tutti gli altri lo fanno" - un falso clamoroso, stando al Guardian: in Italia Unjabbed people face ban from range of activities, as countries in Europe scramble to impose stricter rules, questo dicevano. Ma immagino che ci siano ideali per cui è giusto coercere gli altri e altri da avversare per la loro natura coercitiva...

Ma soprattutto la tragedia odierna è che il momento in cui la fine dei conflitti, con il tempo in cui gli ex nemici si rispettano e si stringono la mano, non solo non è immaginabile ma neanche deve essere pensata. Ma forse il tempo in cui un Solmi traduce un Ezra Pound non può ritornare in primo luogo perché non ci sono né Solmi né Ezra Pound.

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