domenica 14 aprile 2024

LAUREE STEM E DONNE, ANCORA

 

La storia raccontata da Sabine Hossenfelder, che vi invito a vedere per intero (ci sono i sottotitoli in italiano), è degna di nota soprattutto perché, come lei stessa dice, è emblematica. Avendo avuto parenti e amiche che hanno preso la strada della ricerca accademica non mi è suonata nuova. Farei notare che conferma un'espressione che ho usato più volte (non a caso) quando ho detto che lo scopo della ricerca accademica è produrre carta (perlopiù).

Dopo di che vorrei aggiungere una considerazione del tutto personale, sulla base della mia lunga  esperienza lavorativa. Appena laureato scelsi il privato, anche se mi era stato offerto il dottorato, e per il motivo più banale possibile: i soldi (ai tempi le borse di dottorato erano molto esigue). Nel privato ho costruito la mia professionalità. 

"Professionalità" può essere un concetto interpretato in vari modi. Come lo intendo io è svolgere il proprio lavoro in modo qualificato coordinandosi produttivamente con tutte le funzioni aziendali coinvolte, in primis riconoscendo a mia volta la loro professionalità. Potrei definire la cosa come "lealtà professionale". 

Piccolo particolare: nei contesti privati non tutti aderiscono a questa visione, nei fatti. Negli anni ho visto conflitti apparentemente insanabili tra funzioni e tra gruppi, individui che mettevano il proprio ego (e la propria carriera) al di sopra di ogni cosa, interesse aziendale compreso. E spesso ho visto competizione tra chimici, del tipo "io ne so più di te" "No, io so fare meglio di te". E devo dire che negli anni ho avuto più lealtà professionale da colleghi donne che da colleghi uomini. Ma ho anche visto in gruppi tutti femminili dinamiche da gineceo, in cui l'ultima arrivata o quella "divergente" era sottoposta a pratiche vessatorie più o meno sottili.

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