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https://www.politico.eu/article/fact-checkers-under-fire-meta-big-tech-censorship-mark-zuckerberg-donald-trump/ |
"L'Europa ha un crescente numero di leggi che istituzionalizzano la censura" ha detto Zuckerberg, folgorato sulla via di Damasco della rielezione di Trump. Ovviamente da Bruxelles la risposta non è tardata: "Noi non censuriamo i social media".
La questione della supposta fine del fact checking (o della censura) sta ormai prendendo tinte grottesche, ma una cosa è abbastanza chiara: se (e sottolineo se) oltreoceano c'è stato un tana libera tutti in Europa niente del genere. Su tutte le agende "pesanti" il vecchio continente va avanti come se a Washington ci fosse ancora l'amministrazione Biden. E questo riguarda anche la censura online: il contrasto alla diffusione della "disinformazione" era già l'oggetto principale dell' European Union’s Code of Practice on Disinformation adottato in tempi di Brexit dopo lo scandalo Facebook/Cambridge Analytics (2018). La tesi fu che i risultati del refendum per Brexit erano stati prodotti dalla disinformazione online - e dagli hacker russi. Eppure dieci anni prima il massiccio uso dei social media da parte di Barack Obama durante la sua campagna elettorale fu commentato con entusiasmo. Ma quelli erano i tempi in cui le relativamente nuove piattaforme erano acclamate come strumenti di democrazia (le proteste in Iran l'esempio più rilevante). Dalla metà del secondo decennio di questo secolo il quadro è stato piuttosto differente e gli "strumenti di democrazia" erano diventati pericoli per la "democrazia" (o meglio, per i gruppi di potere prevalenti in occidente). La cosa coincise con il "Momento Maria Antonietta delle elite" . Forse il primo episodio eclatante del nuovo corso venne da Cecilia Malmström, allora Commissario Europeo al Commercio, che riguardo al TTIP e al suo operato in materia si lascò sfuggire che lei non rispondeva di quel che faceva ai cittadini europei (poi spese molte energie per negare la cosa). Quattro anni dopo Brexit fu l'evento a cui non si poteva assistere senza reagire, quindi arrivò l'European Union’s Code of Practice on Disinformation e includeva i contenuti che
May cause public harm, intended as threats to democratic political and policymaking processes as well as public goods such as the protection of EU citizens' health, the environment or security.
Cioè i contenuti potenzialmente dannosi per il pubblico (tradurre "status quo"), intesi come minacce ai processi democratici e legislativi nonché all'interesse pubblico come la salvaguardia della salute dei cittadini europei, la loro sicurezza o il loro ambiente. Si aggiungeva che la norma escludeva pubblicità ingannevole, notizie errate, satira, parodia e contunuti chiaramente identificabili come di parte. Oggi è facile capire che l'Act fosse una misura "castrata" dalla sopravvivenza di un minimo di anticorpi autenteticamente democratici ancora in circolazione dalle parti di Bruxelles. Per ovviare a queste "mancanze" nel 2023 è arrivato il Digital Services Act, molto più rigido: le piattaforme dovevano garantire la lotta alla disinformazione e la non ottemperanza significava multe che potevano arrivare al 10% del loro fatturato (un'enormità). Il DSA riguarda le piattaforme dai 45 milioni di utenti in su e si è ben visto che chi è al di sotto di questa soglia non è perfettamente al sicuro - vedasi l'arresto a Parigi di Durov, fondatore di Telelegram e qualcuno commentava, non saprei dire se compiaciuto o no, che
In tempi di DSA in Europa una piattaforma sopra i 45 milioni di utenti è obbligata a mettere in opera un sistema di fact-checking. Quello che ad oggi Meta ha fatto è proporre un sistema di community notes affine a quello di X. Al momento la Commissione Europea sta valutando la proposta. Staremo a vedere come va a finire, in questi tempi in cui "libertà di parola" significa sempre più "libertà di dire qualsiasi cosa sia utile agli assetti del potere e non li infastidisca".
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