mercoledì 12 marzo 2025

L'ALBA DI UN GIORNO NUOVO E IL PENSIERO LINEARE

 

Mi ricordo una due diligence in cui assistetti al colloquio tra chi la conduceva (un analista finanziario) e i vertici dell'azienda per cui lavoravo. L'analisi presentata riteneva improprie, cioè eccessive, le spese per ricerca e sviluppo: "Avete tre prodotti le cui vendite sono in crescita lineare da 4 anni, dovreste investire nell'espansione del mercato e della capacità produttiva per questi tre prodotti invece che spendere in ricerca". Dell'acquisizione/fusione non si fece nulla perché pochi mesi dopo, col nuovo anno, le vendite di due su tre di quei prodotti crollarono mentre quelle del terzo iniziarono a stagnare. E al tempo sono sicuro che la busta paga di quell'analista finanziario fosse almeno il 150% della mia, probabilmente di più.

In generale sia individuo che società cercano e desiderano la stabilità: un impiego pubblico con un contratto a tempo indeterminato, per esempio, che rappresenta un'isola di stabilità in un mondo che è  tutto meno che stabile. Stabilità e linearità diventano le lenti con cui guardare il mondo, lenti linearizzanti che linearizzano anche quel che lineare non è.

In fin dei conti un andamento lineare rappresenta una certezza: quella cosa continuerà a crescere (o a decrescere o a rimanere costante), all'infinito. Ed è bene ricordare che un'esponenziale, in scala logaritmica, è una retta e al riguardo negli ultimi anni ne abbiamo viste di tutte le specie.

No, non viviamo in un "Assurdo universo" come quello di Fredrick Brown (What a mad universe, 1949) o come quello di Sclavi e Micheluzzi (Roy Mann)

Il  problema è che ben poco di quello che ci circonda e percepiamo è assolutamente lineare o esponenziale. Spiacente. Il che non significa che sia prevalentemente casuale.  Questa è una cosa che non verrà mai capita, mai. Perché molto spesso due più due non fa quattro e tanti che si piccano di parlare di scienza per (mancanza di) formazione e cultura non hanno la minima possibilità di comprenderlo, anche se magari dicono pubblicamente il contrario. 

Mi è impossibile non tracciare un parallelismo al di fuori dei temi "scientifici" con il discorso mediatico italiano (e in genere occidentale) degli ultimi quattro anni: la pandemia sarebbe stata per sempre, la guerra in Ucraina sarebbe continuata fino alla vittoria. Narrazioni che fissavano il presente in una nuova costante, in un nuovo stato definitivo, eterno - a loro modo pensiero lineare anche queste. E che dire del credito che fu dato a Francis Fukuyama quando, nel 1989, ipotizzò la fine della storia (The End of History?, The National Interest, 1989)?. L'idea (piuttosto assurda) che la storia si fosse conclusa, aprendo un periodo di infinita stabilità (e di supremazia globale USA) è stato un leit motiv degli anni 90. Ma anche se l'idea era piuttosto assurda di fatto è stata istituzionalizzata. Quando studiai storia alle elementari, negli anni '70, il programma si fermava agli eventi del primissimo dopoguerra (Piano Marshall), che erano eventi di circa 30 anni prima. Oggi mi dicono che si fa fatica ad arrivarci, alla seconda guerra mondiale. Quindi quelli che si ricordano qualcosa di quel che hanno fatto a scuola ne escono oggi con gli ultimi 80 anni che mancano all'appello, quasi un secolo. In molte teste la storia è davvero finita, per quanto gli eventi che occupano i media dicano esattamente il contrario proprio da 80 anni.

Nello stesso 1989 in cui si iniziò a decretare la fine della storia invece Lord Robert May concludeva un suo articolo su The New Scientist a titolo "The chaotic rythms of life" (n° 1691, 18 nov 1989)  scrivendo:

Il messaggio che mi parve urgente più di dieci anni fa è ancor più vero oggi: non solo nella ricerca biologica ma anche nel quotidiano di politica ed economia le cose sarebbero molto migliori se si comprendesse che semplici sistemi nonlineari non possiedono necessariamente proprietà dinamiche semplici

Ed il messaggio continua ad essere urgente oggi esattamente come lo era 35 anni fa.

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