giovedì 20 settembre 2018

ANILINA, LETTURE ESTIVE E CASI DI ORDINARIA CARCEROGENICITA’


(By Starbuck)

“Ma… l’Anilina?” qualcuno esordisce la domanda da sotto la calura agostana. “Ammina aromatica, tossica e carcerogena” rispondo d’istinto “la trovi nei coloranti per pellami, di solito. Perché t’interessa?”
Scopro che interessa perché nel “il Giornalino di Gian Burrasca” -libello del correva l’anno 1907 e rediviva  lettura estiva - qualcuno pensa bene di colorare di rosso la “minestra del  risciacquo”. E come lo fa? “Ci vorrebbe dell’anilina-ha detto del Ponte”. E dove se la prendono dei bimbetti delle elementari (Gian Burrasca ha 9 anni) dell’anilina? “Ci penso io a procurarla-ha aggiunto Carlo Pezzi- ne ho vista nel gabinetto di chimica”. Facile no? Da che si deduce che un secolo fa alle elementari si sapeva dell’esistenza della chimica, mentre oggi conosco liceali (di licei scientifici) che misurano il volume di soluzione in un cilindro in mm (miliimetri, avete letto bene, e no, non sono cubi, neanche per sbaglio). Di più, i bimbetti dell’inizio 900 sapevano anche che non era una cosa con cui scherzare, l’anilina. Infatti nel libro, dopo essere riusciti nell’intento di colorare di rosso la minestra, uno dei fautori del sabotaggio si mette a gridare “Ragazzi, nessuno mangi questa minestra rossa…essa è avvelenata! […]non son le barbe che tingono di rosso la minestra, ma l’anilina che c’ho messo io”.
Al che mi chiedo: ma scusa ma già nel 1907 sapevano che l’anilina era un “toccasana”? No, in realtà lo sapevano già da un po’, più precisamente dal 1895. Da quando un chirurgo (tale Rehn) individua la prima correlazione tra anilna e tumori  (https://www.bioscience.org/2012/v4e/af/375/fulltext.htm ) espressa come una “ incidence of bladder tumors in the manufacture of fucsine”. Dagli studi degli anni successivi (diciamo conclusivi a partire dal 1953) emergerà poi che non à tanto l’anilina quanto altri composti coinvolti nel processo di produzione della fucsina (e del magenta) ad essere carcerogeni, e che lo sono sicuramente Benzidina e beta-Naftilammina (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1037533/pdf/brjindmed00230-0003.pdf ). L’anilina, seppur classificata dallo IARC nel gruppo 3 delle sostanze carcerogene, rimane comunque altamente tossica (https://www.sigmaaldrich.com/catalog/product/sial/242284?lang=it&region=IT  ) soprattutto per come viene metabolizzata. Per chi si riesce a cimentare con la SDS, vedra’ che l’organo target e’ infatti il sangue mentre per la benzodiazina, ad esempio,  l’SDS e’ un po’ diversa (https://www.sigmaaldrich.com/catalog/product/sigma/b3503?lang=it&region=IT) e si parla espressamente di carcerogenicità e tumore alla vescica.
A me invece a sentir parlare di aniline ed ammine aromatiche torna sempre in mente il racconto di un amico che per qualche anno se l’à spassata all’ACNA di Cengio. Mi diceva che in laboratorio uno verificava la pulizia della vetreria passando un dito e poi assaggiando. Concludeva infine il racconto con “tumore all’esofago”.
L’ACNA (in cui si produceva anche beta-naftilammina) ed il Bormida ed altra letteratura. Stavolta degli anni sessanta “Hai mai visto Bormida?” scriveva nel suo “Un giorno di fuoco” Fenoglio, “ Ha l'acqua color del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle rive non cresce più un filo d'erba. Un'acqua più porca e avvelenata”. Già, avvelenata.
Per chi ha interesse può andare a leggersi le famigerate storie dell’ACNA ma anche dell’IPCA, Industria Piemontese di Colori dell’Anilina, fabbriche che chiusero ben dopo la legge Merli, ben dopo gli anni 70.  Anche se già nel 1956, la camera del lavoro di Torino sull’IPCA dichiarò che  “L´ambiente è altamente nocivo, i reparti di lavorazione sono in pessime condizioni e rendono estremamente gravose le condizione stesse del lavoro. I lavoratori vengono trasformati in autentiche maschere irriconoscibili. Sui loro volti si posa una pasta multicolore, vischiosa, con colori nauseabondi e, a lungo andare, la stessa epidermide assume disgustose colorazioni dove si aggiungono irritazioni esterne”, si dovrà arrivare all inchieste del 1975 e 1977, le sole in grado di portare alla fine ad una condanna da parte del tribunale Civile e Penale di Torino. Condannati proprietari, dirigenti e medico del lavoro quest’ultimo reo di non aver fatto valere le consocenze a sua disposizione sulla tossicità delle sostanze lavorate (e dimentico di quanto un suo stesso collega, il medico Rehn, aveva scoperto più di un secolo prima…ma questo può essere motivo di condanna solo morale).
Insomma …storie di ordinaria carcerogenicità, in cui mi stupisce forse il fatto che già in un libro del 1907, anche un bimbo delle elementari avrebbe preferito l’espulsione da scuola piuttosto che far mangiare ai compagni la minestra avvelenata dall’anilina, che in alcune nazioni le produzioni di bezodiazina e beta-Naftilammina venissero sospese già dagli anni 30 e 40  e che tutto fosse piuttosto chiaro già nel 1953.
Non aggiungo conte dei morti né retoriche: credo che ognuno sarà bravo a formularle da sé.
Nel frattempo che studiavo “storia delle aniline”, la lettura estiva à già cambiata. Ora siamo passati a “La Guerra dei bottoni” , 1912. Qualche giorno fa ho orecchiato un “ In medicina come in religione quel che conta è la fede”, e mi è quasi venuta voglia di approfondire anche questa frase qui…

venerdì 14 settembre 2018

L'EQUIVOCO CULTURALE "SCIENZA", CHIMICA, MEDICINA


Da anni si va dicendo che la chimica è una disciplina "matura", ovvero che gli è rimasto poco da dare.
Basta dare un'occhiata ai nobel per la chimica:
2006: a biologi
2007: un chimico
2008: un chimico e due biologi
2009: un chimico, due biologi
2010: tre chimici (e panico nelle redazioni scientifiche della grande stampa per capire cosa fosse questo "coupling C-C catalizzato da palladio")
2011: a un fisico
2012: un medico, un chimico, un biologo
2013: un fisico, un chimico, un biologo
2014: chimico, biologo, biologo
2015: biologo, biologo, chimico
2016: chimico, chimico, chimico (le nanomacchine, e qui la stampa mainstream a dire "La so!")
2017: biologo, biologo, biologo.

Questa lista dice qualcosa, anzi più di qualcosa, sulla percezione di "scienza" nella cultura mainstream: ci sono la fisica (il bosone di Higgs!) la matematica (quel matematico pazzo di quel film, quell'altro matematico napoletano di quell'altro film, quello di quella serie, "Numbers"), e una zona indistinta di "scienza" (della vita) che comprende tutto quel che va da medicina a chimica via biologia e farmacologia, una cosa indistinta. I "chimici chimici" fanno droga (breaking bad), o sono personaggi invisibili, incomprensibili, senza caratterizzazione propria. I chimici diventano rilevanti solo quando si occupano di life sciences, o nanotech (che non sono nanocose).
Fin dai tempi di Paracelso venivano individuate discipline di confine tra chimica (ai tempi di Paracelso alchimia) e medicina. Queste aree di confine sono cresciute nei secoli fino ad acquisire identità propria (farmacologia). Non le vedete nella lista dei nobel perché... perché vengono percepite come medicina! Il premio nobel per la medicina 2015 è stato assegnato tra l'altro a una farmacista, Tu Youyou (artemisinina contro la malaria), e a un chimico farmaceutico, Satoshi Omura (avermectina).
In una situazione in cui biologi e medici prendono il Nobel per la chimica, e chimici e farmacisti quello per la medicina "l'uomo comune" fa fatica ad orientarsi.
Eppure, e lo dice la "geografia" delle facoltà universitarie, non solo quella dei corsi di laurea, la chimica e la farmacologia esistono, hanno identità proprie, e non sono né province né frazioni della medicina (è allucinante che ci sia il bisogno di precisarlo!). E a differenza della medicina, la chimica è una scienza hard. E la chimica medicinale è un'area della chimica popolata ugualmente da chimici e farmacologi, strettamente interfacciata con i biologi (e in modo più labile con i medici della ricerca clinica). In tempi ormai lontani per i laboratori di chimica il centro ricerche GSK di Verona preferiva assumere chimici organici, e nel colloquio tecnico veniva proposta l'analisi retrosintetica di una molecola; una volta inseriti gli veniva dato da studiare un testo di chimica medicinale.

Questo significa che se un medico pensa che qua si sia parlato di medicina, non sa, non ha capito, non ha il senso dei limiti della propria disciplina e dell'estensione di quelle altrui. Mai scritto di chirurgia toracica o fisiologia clinica, e mai mi verrebbe in mente di farlo. Di modelli sì, perché i modelli sono il patrimonio comune delle scienze galileiane, e anche se per tirarne fuori uno buono è indispensabile una conoscenza del fenomeno che si vuol descrivere, per individuarne uno sballato non serve affatto.

Altri aspetti della cosa sono roba vecchia, avete presente il latinorum di manzoniana memoria? Io ho sempre trovato ridicolo chi si buttava in citazioni latine storpiate per darsi un tono, ma se uno il latino non lo conosceva magari restava ammirato. Quanti, quanti ce ne sono in giro, ormai, che usano "Scienza" sbilenca invece che latinorum sballato?
Sarebbe carino che un medico, prima di sparare la qualunque in materia di tossicologia, chimica, farmacologia, aprisse un libro, invece che cercare su google.

https://en.wikipedia.org/wiki/Medicinal_chemistry

giovedì 6 settembre 2018

CI SONO COSE CHE VANNO SPIEGATE... SUSCETTIBILI AL MORBILLO IN ITALIA (2)

Prima di tornare nel vivo del tema, una premessa: cosa hanno a che fare le dinamiche delle malattie esantematiche con la chimica? Apparentemente niente, se non ci si addentra nel comportamento di sistemi governati da bilancio di flussi o non si approfondisce il tema delle reazioni oscillanti...
Per esempio la reazione di Briggs-Rauscher è una reazione oscillante. Cos'è che alimenta questo pendolo chimico? L'acqua ossigenata. Anche morbillo e altre esantematiche hanno un andamento oscillante (periodico, ora semiperiodico o giù di lì) nella situazione "classica", pre immunizzazione. Cos'è che alimenta gli outbreak? I non immuni, ovviamente. Nella popolazione la sorgente principale di non immuni è la natalità (in condizioni di flussi migratorii normali). Classicamente erano i nuovi nati il "carburante" degli outbreak. 
Per esaurire le ondate epidemiche, a differenza che nella reazione oscillante, non è necessario esaurire il "carburante". "Basta" che si verifichino le condizioni per cui R°, basic reproduction number, sia minore di uno, ovvero che un singolo infetto non provochi nuovi casi di malattia (e sono le condizioni della pluricitata - spesso a sproposito - herd immunity). E la cosa è tanto più difficile quanto più R° iniziale è alto...

E ora torniamo ai suscettibili al morbillo in Italia., e riprendiamo il discorso dei suscettibili  ricavati  da modelli di dinamica dell'infezione (ovviamente ha poco senso continuare nella lettura se non si è letta la prima parte). Possiamo ragionevolmente estendere le condizioni premesse fino al 1999 e la sommatoria diventa questa:


dove, ricordo per i più frettolosi, ΔX è il numero dei suscettibili accumulatosi nell'intervallo di anni di riferimento. A questo punto è banale mettere dentro le cifre, e il risultato è riassunto in questa tabella




Ricordiamo di nuovo che si tratta di una stima dei suscettibili al morbillo tra i 18 e i 38 anni. Il monitoraggio centralizzato del morbillo in Italia pare sia stato avviato nel 2002 (primi dati dell'archivio ISS). Ammettiamo quindi per il periodo in oggetto un generoso underreporting dei casi di malattia: 50%. Ne risulta un numero corretto: 3.922.971. Ma d'altra parte si noti che, secondo prassi corrente, nell'attuale monitoraggio (i numeri dei bollettini ISS, per intenderci) vengono messi insieme casi possibili, probabili e confermati, e mediamente i confermati sono il 50% del totale.
Altra considerazione: ΔX fotografa la situazione al 1999. Può benissimo essere che il numero sia stato intaccato dagli outbreak di morbillo verificatisi tra il 2000 e il 2018, quindi c'è da considerare un ulteriore errore per eccesso dell'ordine massimo delle decine di migliaia (pochi punti percentuali).

Quindi con tutte le approssimazioni del caso, debitamente specificate, il modello (un modellino piccino picciò, in realtà, praticamente il conto della serva) non è affatto fuori dal mondo, anzi. ISS stimava nel 2014 2.989.000 suscettibili nella fascia di età tra 6 e 31 anni, documento citato da Antonio Clavenna (che fra l'altro faceva notare come non si sia fatto niente di niente del piano di catch up di ISS). Quindi questi conti sono già stati fatti e l'ordine di grandezza del risultato, per quanto riferito a un differente intervallo di età, è del tutto paragonabile.
Verissimo che un calo nelle immunizzazioni pediatriche porta ad un aumento del serbatoio dei suscettibili (un aumento lento, molto lento: un -5% su mezzo milione circa di nascite all'anno fa circa 25.000 unità di suscettibili in più, così come un +5% fa circa 25.000 unità in più... non sono grandi numeri - e ricordo che siamo nell'approssimazione di vaccino di efficacia perenne e del 100%).
Ma è anche vero che la popolazione non è proprio approssimabile ad un'immenso ed omogeneo insieme di individui l'uno vicino all'altro, quindi come è correlato il numero dei suscettibili ai numeri degli outbreak lo vedremo in seguito, visto che si tratta di argomento non facile (e su questo terreno, come avrete capito, senza equazioni differenziali non si va avanti). Ma fin da ora si può affermare che, con un serbatoio di suscettibili di alcuni milioni di individui tra adolescenti e adulti, è pura illusione (o perfetta malafede) sostenere che qualche punto in più di copertura vaccinale pediatrica metta al riparo da futuri outbreak di morbillo.




mercoledì 5 settembre 2018

DI HELA IN MFC7


Della diffusa contaminazione con HeLa di svariate linee cellulari usate nella ricerca biomedica ho già dato brevemente conto tempo fa (https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2042360442649499&id=1971621999723344). Ora vengono fuori altri fatti fino ad ora ignoti/ignorati che mi ricordano esperienze personali e dirette.

"I tumori non sono monoclonali, a differenza delle linee cellulari", mi disse il biologo senior la prima volta che mi trovai coinvolto in un progetto oncologico. Questo voleva dire che mentre le cellule di una determinata linea cellulare tumorale sono tutte uguali tra loro, le cellulle di un tumore esprimono una certa variabilità. Poi poteva capitare che una linea cellulare usata fino a quel momento venisse contaminata da micoplasmi e che si dovesse ricominciare da capo. E di punto in bianco non funzionava più niente. Dal tuo lato potevi metter su qualsiasi tipo di troubleshooting ti venisse in mente, niente da fare. Di fronte ad episodi del genere la risposta standard del biologo junior era "Inshallah", in sostanza (nel dettaglio era "sono cose che capitano, capitano spesso, non sappiamo perché capitano" e tu pensavi "Azz! 'Ste scienze biologiche...")
E ora viene fuori che le linee cellulari ritenute monoclonali non sono affatto monoclonali. Gli autori di questo articolo hanno preso linee di MFC7 (linea cellulare di tumore del seno) e hanno visto che esibiscono gradi di variabilità e diversità molto alti. Molto. Tra l'altro il gruppo ha preso ben 321 composti a nota attività antitumorale e li hanno testati su queste varie linee che avrebbero dovuto essere identiche e hanno notato che il 75% dei composti che avevano una forte attività su una delle linee erano inefficaci sulle altre.
La prima cosa che mi viene in mente è: quanti composti sono stati cestinati perché dall'oggi al domani avevano smesso di funzionare, mentre una più accurata indagine avrebbe mostrato quando e perché funzionavano?
La cosa in sé non è un male, sempre che si tenga presente. Oltre alla rivalidazione degli anticorpi, dovrà diventare routinario anche il periodico sequenziamento delle linee cellulari per assicurarsi di quello con cui si sta lavorando.

https://www.nature.com/articles/s41586-018-0409-3

venerdì 31 agosto 2018

LA FINE DELLE CERTEZZE (2)


Ilya Prigogine fu insignito del premio Nobel nel 1977 "per aver esteso la termodinamica ai sistemi lontani dall'equilibrio".
Nessun accenno alla "freccia del tempo", nessun accenno alla rimozione della simmetria temporale dalle equazioni della meccanica classica (statistica) e quantistica.
Il fatto è che il brussellatore (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/ordine-entropia-caos-la-lezione-di-un.html) non esiste: è un modello teorico, una specie di prototipo ideale di reazione oscillante, ma non ha esatti corrispondenti nella realtà. Per fortuna di Prigogine, mentre lui svolgeva la propria attività teorica, c'era qualcun altro che trafficava in laboratorio. Nella fattispecie Belousov, che si era messo in testa di produrre in laboratorio un analogo del ciclo di Krebs, ma l'accademia sovietica non ne volle assolutamente sapere di una reazione che andava avanti e indietro, in palese violazione (secondo loro) del II principio della termodinamica. Solo che qualche anno più tardi venne assegnato a Zhabotinsky l'incarico di rimetterci mano, et voilà: arriva la reazione di Belousov-Zhabotinsky (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/i-colori-del-caos.html). E guarda caso Prigogine aveva previsto comportamenti del genere per reazioni simili. Ovvero aveva elaborato un rigoroso quadro concettuale che inquadrava anche il comportamento di un analogo chimico del ciclo di Krebs, ciclo che infatti venne discusso in questa chiave per esempio dalla fisiologia botanica (questo per i vari critici che dicono che non esiste un sistema che rispecchi i modelli di Prigogine - notevole che la maggioranza di questi critici siano fisici o matematici).
Ma questi risultati, alla fine, sono un sottoprodotto del quadro teorico complessivo che Prigogine andava elaborando. Il tutto è ben rappresentato nella sua Nobel Lecture che è sì centrata sulla termodinamica dei processi irreversibili ma parla fin dall'inizio di freccia del tempo ed entropia, per poi dilungarsi su funzioni di Lyapunov, operatori di Liouville, estensioni della dinamica classica e della meccanica quantistica. Praticamente il pacchetto completo.

Nonostante le motivazioni per il suo Nobel, il suo libro più famoso non è stato "Termodinamica: dalle macchine termiche alle strutture dissipative" (2002), un corposo volume di chimica fisica esteso alla materia per cui ha avuto il Nobel. No, il suo saggio più famoso è "La fine delle certezze" (1996), dove quei temi occupano un unico capitolo e neanche particolarmente esteso. Il resto riguarda il motivo conduttore di tutta la sua attività, ovvero l'espansione della dinamica (con un occhio alla meccanica stastistica) e della meccanica quantistica per giungere all'inclusione di termini "diffusivi" che generino intrinsecamente "nuvole di soluzioni" negli spazi delle fasi. E l'approccio è quello del teorico.
Quando Prigogine parla di una legge del moto descritta dall'applicazione di Bernoulli (https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Bernoulli) parla in astratto - non esiste alcun moto naturale che segua quella dinamica - anche se ha in mente il moto browniano (https://it.wikipedia.org/wiki/Moto_browniano). Ma la cosa gli serve per introdurre gli strumenti matematici che userà poi, per presentare un prototipo semplice di un modello che lui definirà come generalizzabile, un modello di aleatorietà intrinseca dei "sistemi non integrabili". Un processo analogo viene riservato all'espansione della meccanica quantistica (e su questo punto servirà un post a parte, tornando di nuovo sulla sua Nobel lecture, visto che è estremamente rilevante riguardo al supposto "indeterminismo quantistico": forse avrete capito che Prigogine trovava la teoria un poco stretta per la sua concezione, dato che dal suo punto di vista in buona parte si limitava a sostituire traiettorie con probabilità ben definite).
Al di là del fatto che a differenza della termodinamica del non equilibrio queste ridefinizioni della meccanica razionale e della meccanica quantistica non hanno avuto fortuna, ovvero non sono stati scoperti fenomeni rilevanti che ne richiedessero l'impiego come modello, ma sono rimaste confinate alle simulazioni al computer, per un lettore sufficientemente rodato dal punto di vista matematico la lettura è comunque affascinante. Certo, in questo saggio Prigogine pecca a parer mio di eccesso di estensione dei suoi principi (che finisce per spingere fino a considerazioni di carattere cosmologico).
Comunque avrete capito (se non avete letto il libro) che non si tratta di un'opera precisamente divulgativa, ma di un saggio in buona parte di difficile lettura.
Il che rende ancora più sorprendente la sua fortuna, che però c'è stata. Fortuna in larga parte legata allo spirito dei tempi in cui il saggio uscì. Nella prima metà degli anni 90 le teorie del caos erano diventate un tema della cultura di massa (http://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/dinosauri-e-biforcazioni-le-strade-per.html). Il titolo del saggio di Prigogine era evocativo, e i suoi contenuti vennero banalizzati come un semplice inno all'indeterminismo (nihil sub sole novum):
"Il lavoro del professor Prigogine è l'ispirazione per il campo trendy del caos, che si occupa di fenomeni così incasinati e complicati che resistono all'analisi scientifica convenzionale. Sottolineando che i fenomeni caotici sono non predicibili per definizione, il professor Prigogine ha dichiarato che abbiamo raggiunto "La fine delle certezze". La scienza in futuro sarà sempre più probabilistica e speculativa"
Così scriveva John Horgan sul New York Times, preoccupato di una "scienza liberata dalla verità". Se leggete tutto l'articolo molti dei suoi temi vi appariranno incredibilmente familiari ed attuali (le preoccupazioni che Horgan esprimeva 22 anni fa le trovate continuamente espresse oggi dal "partito dei competenti" e dai suoi sostenitori).

Si capirà dunque, al di là del significato scientifico del lavoro di Prigogine, che il saggio prova a spiegare. la valenza culturale che i suoi temi hanno assunto all'epoca: sono diventati la summa, i portabandiera delle teorie del caos. E' curioso e significativo che anche in ecologia delle popolazioni qualcuno si sia spinto a precisare che i modelli delle teorie del caos non hanno avuto una grande diffusione a causa della loro scarsa capacità di descrivere fenomeni reali (ovviamente falso). Potremmo concludere che le ragioni delle dinamiche non lineari complesse trovano da sempre una solida, sorda opposizione. Il riduzionismo linearizzante e la "verità scientifica" sono oggetti comodi da maneggiare (e politicamente convenienti, come abbiamo avuto occasione di vedere pressoché ogni giorno da un paio d'anni a questa parte).

Ovviamente dall'altro lato fin da allora ci sono stati quelli che, sempre banalizzando, hanno inteso "Tutto è caos, niente è predicibile", e lo hanno inteso in senso "positivo" di critica generale dei risultati ottenibili dalle scienze galileiane, scordando che quando si parla di teorie del caos si parla di caos deterministico (di solito questa concezione va a braccetto con l'indeterminismo della quantomeccanica).
Ma l'ultimo capitolo del saggio di Prigogine si intitola "Una stretta via", e contiene queste parole:
"Quella che noi abbiamo cercato di costruire è una stretta via tra queste due concezioni, che conducono entrambe all'alienazione: quella di un mondo governato da leggi che non lasciano posto alla novità e quella di un mondo assurdo, acausale, in cui non si può prevedere o descrivere nulla in termini generali".
Due concezioni che conducono entrambe all'alienazione... ricorda niente?

https://www.nytimes.com/1996/07/16/opinion/science-set-free-from-truth.html

giovedì 30 agosto 2018

LA FINE DELLE CERTEZZE (1)

(L'argomento non è triviale e cercherò di parlarne in modo non triviale cercando di essere comprensibile - ovviamente come tutti gli argomenti del genere è stato banalizzato in modo becero che più becero non si può).

Cosa c'è di meglio di una pausa marina in agosto per rileggersi a più di 20 anni di distanza "La fine delle certezze" di Progogine?
Ho dedicato a Ilya Prigogine più di un post (potrei dire che è uno dei numi tutelari della pagina), ma sono stati post "duri". Cercherò in questo e nel successivo di esporre il tema (che resta estremamente concettoso) in modo più accessibile. Ma prima di entrare in medias res serve una premessa.
Prigogine è stato un teorico nel senso più puro della parola. In campo termodinamico e chimico fisico non c'è niente di strano in questo: Gibbs, il grande "nemico ideale" di Prigogine, fu un teorico, Gilbert Lewis idem (per citare due nomi che da soli hanno messo insieme tipo un quarto di tutta l'impalcatura della chimica - notare che nessuno dei due ebbe un Nobel, Prigogine invece sì, questo per dire che il criterio Nobel o no può dare un'idea molto distorta dell'importanza del lavoro di uno scienziato).
Ma la chimica non è una scienza teorica, anzi è forse la scienza sperimentale per eccellenza. Eppure il peso delle teorie, in chimica, per lunghi anni è stato enorme, praticamente quanto in fisica. Perché le elaborazioni dei grandi teorici non solo hanno fornito le basi per l'organizzazione concettuale delle evidenze sperimentali, ma costituito lo stimolo per nuove ricerche e per nuovi approcci disciplinari (si pensi alla visione nattiana della chimica industriale come termodinamica e cinetica applicata).
Detto ciò poi nella realtà un chimico teorico non indossa camice guanti e occhiali e non è un animale da laboratorio. I chimici teorici che ho conosciuto io lavoravano esclusivamente al computer, una vita per le funzioni d'onda.
Il punto è che tutto questo macchinario teorico acquista pieno significato quando trova riscontri nella realtà sperimentale. Sui rapporti tra quest'ultima e i modelli matematici due worked examples li trovate qua: http://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/duro-o-morbido-dove-non-si-parla-di.html . Ma basta pensare al peso dei modelli della meccanica quantistica, dalla struttura atomica al legame chimico (combinazioni lineari di funzioni d'onda per avere gli orbitali ibridati) fino a tutta la teoria delle spettroscopie molecolari.
Prigogine era ab initio affascinato e interessato, secondo il suo racconto, ad un unico tema: il tempo orientato, essenziale al secondo principio della termodinamica e base di ogni processo creatore che in quanto tale è irreversibile (e non di ogni processo irreversibile che in quanto tale è creatore, argomento molto gettonato dai suoi critici). Lui stesso attribuisce la nascita di questo suo interesse nell'immenso amore che aveva avuto fin da bambino per la musica (non esiste creazione musicale senza un tempo orientato). Il problema per lui era costituito dal fatto che termodinamica dell'equilibrio, meccanica statistica e meccanica quantistica non trattavano il tempo come un oggetto orientato: le loro equazioni erano reversibili rispetto al tempo, e prevedevano indifferentemente il passato come il futuro di un oggetto. E elaborare soluzioni asimmetriche ha occupato buona parte della sua vita.

mercoledì 29 agosto 2018

QUANDO LA COMMISSIONE EUROPEA PARLAVA DI AUTO ORGANIZZAZIONE

(Dopo le chiacchere sulla caciara agostana, paulo maiora canamus... ).

Questa review veniva commissionata dal Directorate General XII della Commissione Europea, e veniva pubblicata nel 1995
Da queste 128 pagine prendo questo brano:

"Il mantenimento dell'organizzazione nella natura non è - e non può essere - realizzato da una gestione centralizzata. L'ordine non può essere mantenuto che da un'auto organizzazione.I sistemi auto-organizzati sono capaci di adattarsi alle cirostanze ambientali. Per esempio reagiscono a modificazioni dell'ambiente grazie ad una risposta termodinamica che li rende straordinariuamente flessibili e robusti rispetto alle sollecitazioni esterne. Noi vogliamo sottolineare la capacità dei sistemi auto organizzati rispetto alla tecnologia umana abituale, la quale evita accuratamente la complessità e gestisce in modo centralizzato la grande maggioranza dei processi tecnici."

Significativo come pochi anni bastino a spazzare via una visione dal panorama culturale, specie se la visione non è conforme agli scopi che ci si prefigge. Comunque è un'ulteriore documento che mostra quanto fosse trendy questo tema a metà anni 90.
Questo brano è citato da Ilya Prigogine in "La fine delle certezze", e del saggio più famoso di questo Nobel per la chimica proveremo ad occuparci nei prossimi post.

https://publications.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/0e47b7d7-22dd-4e61-be78-b87bb9d9da88/language-en

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...