Ve lo ricordate il Test di Turing modificato?
Beh, oggi le cose sono cambiate. Con ChatGPT succede questo:
Ve lo ricordate il Test di Turing modificato?
Beh, oggi le cose sono cambiate. Con ChatGPT succede questo:
Ho già accennato alla perdita (non obsolescenza) di certi formati middlebrow come gli Atlanti Scientifici Giunti. I libri di Bettex erano una cosa completamente diversa, plasmata da un fortissimo senso estetico per le testimonianze iconografiche della storia delle scienze e dell'esplorazione, Credo che l'ultima iniziativa editoriale con un'impostazione del genere sia stata Kos di Franco Maria Ricci, a metà anni '80. Nessuna voce Wikipedia anche in questo caso, ma stessa presenza nel mercato dei libri usati o rari.
Perché nella storia delle scienze e della medicina l'arte è presente, da dipinti dei teatri anatomici del seicento, con cartigli che recitavano Homo Bulla, a quel che c'è nel seminterrato della Cappella Sansevero o alle sculture anatomiche del Susini.
Ma torniamo a Bettex. La filosofia della natura è un raffinato testo divulgativo illustrato che racconta la storia delle scienze dall'antichità classica e preclassica fino ai grandi avanzamenti del XIX secolo, e lo fa in un'ottica umanistica, ovvero raccontando il cambiamento nella cultura della visione del mondo naturale. Racconta la chimica partendo dall'alchimia, la zoologia partendo dai bestiari antichi (Il Fisiologo) e medievali. Nella medesima narrazione figurano Empedocle, Alberto Magno, Paracelso, Newton, Dalton, Faraday, Darwin, componendo nel testo una discreta mole di iconografia coeva agli eventi. Il tutto con la semplicità e la profondità di sguardo di un grande umanista.
Le ultime parole di questo vecchio testo, bello (e demodé), sono quelle della didascalia ad un dipinto di Ma Yuan Kung:
"A chi ama contemplare ed osservare la natura sarebbe anche oggi di grande utilità soffermarsi meditando dinanzi alle illustrazioni di antichi paesaggi cinesi, prima di prestare la propria attenzione al microscopio, all'erbario, alle provette... Ciò che queste immagini comunicano non è scienza, sibbene il sentimento intimo, reverente sodalizio dell'uomo con la natura. L'Occidente, che spesso ha sminuito la natura fino a farne oggetto di avido sfruttamento, ha con ciò stesso contribuito a che quel sentimento vitale si atrofizzasse, mentre nell'Oriente esso si è conservato più a lungo intatto. Alberi e montagne e acque ci appaiono sotto il pennello di Yuan Kung come entità misteriosamente animate e l'uomo è inserito sensatamente nella natura come essa stessa a sua volta è coordinata all'uomo. L'uno senza l'altra non sarebbero un tutto, poiché ambedue riposano nello stesso Tao, ossia nelle stessa profondità dell'essere. Come dice il taoista Ciuang Dsi: "Riconosco la gioia dei pesci dal sentimento di allegrezza che provo quando passeggio lungo il fiume" ".
L'Oriente contemplativo a cui faceva riferimento Bettex era, ahimè, un costrutto culturale occidentale, specialmente all'epoca in cui pubblicava (senza nulla togliere per questo al valore di quello che scriveva o citava). La Cina era in piena rivoluzione culturale e il Giappone viveva il boom industriale. Ma, per esempio, all'inizio del XX secolo in Giappone il legame con la storia (o la tradizione, se vogliamo) era tale da permettere ad Eugen Herrigel, negli anni '20, di venire istruito nel kyudo e poi scrivere Lo Zen e il tiro con l'arco.
In ogni caso non è senza significato che figure come Bettex, che rappresentavano una sintesi raffinata tra cultura umanistica e scientifica, vengano gradualmente cancellate dall'orizzonte culturale contemporaneo. Questo "decadimento digitale" non riguarda solo l'obsolescenza tecnologica, ma la perdita di una forma mentis, di un approccio alla conoscenza. Un approccio sostituito con uno più specialistico e deumanizzato da una parte, e dall'altra con uno grottescamente fideistico, triviale, di una miseria intellettuale devastante. Per questo il decadimento digitale non viene vissuto come un problema nel dibattito pubblico prevalente. In fin dei conti si confà alla cifra di questo momento storico in cui l'occidente vive un problema esistenziale confrontandosi con il proprio passato e preferisce riscriverlo o cancellarlo.
NB: Una prima versione di questo post era stata pubblicata nel 2018 e allora quelle brevi note biografiche su Bettex erano reperibili. Ad oggi questo post è l'unico documento a contenerne una traccia.
Negli anni Novanta, quando il Progetto Genoma Umano prometteva di decifrare il "libro della vita", ho perso il conto dei biologi che credevano che bastasse leggere la sequenza del DNA per comprendere i meccanismi fondamentali della vita e delle patologie. All'inizio di questo millennio mi capitò di parlare con alcuni giovani biologi che mi dissero "Small Molecus? Condoglianze, ora silenzieremo i geni responsabili della malattia e il problema sarà risolto". Craig Venter, pioniere del sequenziamento genomico e figura controversa nel panorama scientifico internazionale, ha sempre incarnato questa visione stolidamente ottimistica della biologia molecolare. E quando si è iniziato a parlare di biologia sintetica figuratevi se non era in prima linea. Piccolo particolare: dopo aver annunciato di aver cominciato a lavorare sulla vita artificiale basata sul più piccolo genoma funzionante, dovette fare i conti con la realtà sperimentale di cui sopra: il più piccolo genoma funzionante (in teoria) non funzionava affatto. Per farlo funzionare servivano più geni, tipo il 30% in più, e nessuno sapeva perché. Ovviamente quallo che era a tutti gli effetti un passo falso fu venduto al pubblico come una grande vittoria. Il J. Craig Venter Institute annunciò nel 2016 la creazione di JCVI-syn3.0, un batterio sintetico con soli 473 geni: la forma di vita autonoma con il genoma più piccolo mai realizzata dall'uomo. Ed il più piccolo effetimante lo era. Per dare un'idea il comune batterio Escherichia coli, presente nel nostro intestino, possiede circa 4.000 geni. L'essere umano ne ha circa 20.000. Se l'obiettivo era ambizioso, cioè identificare i geni minimi indispensabili per la vita, syn 3.0 era la storia del fallimento di un paradigma. Circa il 30% dei geni di Syn3.0 – parliamo di circa 150 sequenze – non aveva una funzione nota ma si era dimostrato essenziale per la sopravvivenza del batterio. La cosa venne riflessa nelle dichiarazioni di Venter: "È umiliante, Abbiamo creato l'organismo più semplice possibile, eppure non capiamo ancora come funziona un terzo del suo genoma."
Le conclusioni riguardo alla sbornia genomica che persisteva sin dagli anni '90 furono immediate e poco consolatorie: se non riuscivamo a decifrare completamente il genoma di un batterio artificiale, progettato per essere il più semplice possibile, come si può sperare di dominare sistemi complessi come il corpo umano?
Ricordatevi che negli anni Novanta, molti ricercatori credevano nell'esistenza di geni specifici per malattie specifiche: il "gene dell'Alzheimer", il "gene del cancro", il "gene dell'obesità". Poi abbiamo avuto qualcosa come 20 anni di fallimenti clinici dell'ipotesi amiloide, ma la lezione non è stata imparata. Poi è arrivato Syn3.0 e ancora una volta si è fatto finta di niente, business as usual. Esattamente come se la comunicazione delle life sciences fosse rimasta al 1995.
Per giornalisti e divulgatori scientifici, il caso Syn3.0 avrebbe dovuto costituire un immenso caveat: diffidare dei titoli che annunciano la "scoperta del gene di..." o la "soluzione definitiva a...". E invece abbiamo visto (di nuovo) annunciare la nascita di un vaccino antiAlzheimer basato su... l'ipotesi amiloide.
Ah, e se vi chiedete cosa è successo riguardo a Syn3.0 negli ultimi dieci anni: si è arivati alla versione 3A, ma ancora non si capisce quale sia la funzione di quel 30% di geni "in più" indispensabili a farlo funzionare.
Ora provate a far quadrare questo con la narrazione delle magnifiche sorti e progressive della scienza che trovate in giro, se ci riuscite. Ma tranquilli, la scienza/segno, la scienza comunicata, è immune a qualsiasi reality check.
PS: Posso immaginare che un'obiezione standard a quanto ho scritto possa essere "Ma non siamo rimasti fermi, oggi abbiamo CRISPR!". Piccolo particolare: CRISPR è uno strumento: taglia e ricuce DNA. Non ti dice niente sulla funzione di quel che tagli e cuci, e nonostante il suo sviluppo la funzione di quel 30% di geni necessari alla vita minima continua ad essere ignota. Le applicazioni cliniche di CRISPR sono in salita, perché sono una riedizione di gene X= patologia Y e, se si considerano gli ultimi quaranta anni l'approccio funziona, sì, ma solo in casi particolari.
Fonti:
https://www.jcvi.org/media-center/first-minimal-synthetic-bacterial-cell-designed-and-constructed-scientists-venter
https://www.nature.com/articles/s41586-023-06288-x
https://www.science.org/content/blog-post/smallest-viable-genome-very-weird
https://www.nature.com/articles/s41392-023-01309-7
Sono abbastanza vecchio da ricordarmi piuttosto bene dei primi '90, quando "scienze della comunicazione" era roba abbastanza nuova e Fininvest assumeva e formava "scienziati della comunicazione". Se qualcuno si ricorda cosa erano i canali Fininvest nei primi novanta ha anche presente a cosa servivano quelle scienze della comunicazione.
Andando a memoria mi ricordo qualcuno che ebbe a dire che la comunicazione della scienza era essa stessa una scienza. Il che immediatamente mi ricordò questo:
Al di là della battuta, non cogliete il parallelo tra queste due diverse "scienze" della comunicazione? Quello dei primi anni '90 era un mercato della formazione, che prometteva sbocchi lavorativi in un determinato contesto, Ed esiste oggi un altro mercato della formazione ancora con la parola "comunicazione" dentro, e l'advertising, mutatis mutandis, è scintillante come lo era nei primi '90 riguardo la scienza delle comunicazioni.
Aggiungerei che le radici degli attuali format "comunicazione della scienza" nacquero in RAI. Quark (1981) fu rivoluzionario con il suo approccio: linguaggio semplice, grafiche intuitive, un tono coinvolgente. Un arrangiamento modernizzato dell'Aria sulla Quarta Corda di J.S.Bach (dalla Suite n.3 BWV 1068), usato come sigla assieme a una grafica 3D che all'epoca era di per sé stupefacente completava il quadro.
Direi che quell'arrangiamento bachiano era una buona metafora della natura del format: piuttosto ruffianeggiante, buono per il grande pubblico, abbastanza distante dall'originale. E dall'introduzione si capiva bene che per il programma era stato scelto un nome strano ma "sexy", il nome di qualcosa su cui lo stesso ideatore del programma aveva idee decisamente nebulose, se non errate (il più piccolo dei mattoni della materia in genere? Cioè, anche gli elettroni sono fatti di quark? Non proprio). E questa è stata la "firma" del programma, fin dall'inizio. Per esigenze di intrattenimento quel format privilegiava narrazioni accattivanti a scapito di approfondimenti rigorosi. Ciò poteva limitare la capacità di stimolare un pensiero critico attivo negli spettatori, relegandoli a un ruolo passivo di consumatori di informazione facilitata, cioè ridotta, espunta, parziale.
Fu quello che si dice un cambiamento di paradigma rispetto agli standard precedenti. Ai tempi, per esempio, in libreria si trovava ancora abbastanza in evidenza la collana Atlanti Scientifici, edita da Giunti. Per fare un esempio Tavole di Chimica, prima edizione 1968. Quel format era costituito da testo sulle pagina a sinistra e illustrazioni a colori sulla pagina a destra, quindi molto più accattivante rispetto al classico testo e equazioni con qualche schema o grafico in bianco e nero. Però era rigoroso. Risultato finale: se avevi una curiosità per quella materia ti rendevi conto che non era facile. Nel cambiamento di paradigma tutto questo fu archiviato: la popolarizzazione richiedeva estrema facilitazione e come risultato finale l'illusione della facilità.
Gli Atlanti Scientifici, come altre collane simili, non erano best sellers, ma non restavano in libreria a prendere polvere. Me li ricordo ben presenti, addirittura con espositori dedicati. Non erano infotainment, ma non erano nemmeno libri accademici. Rispetto a un manuale universitario, gli Atlanti erano più leggibili. Erano un prodotto della middlebrow culture (come all'epoca lo erano Le Scienze e in una certa misura New Scientist), quindi un prodotto culturale "di massa", ma appartenente a quel gradino intermedio oggi quasi scomparso, schiacciato tra la divulgazione-spettacolo inaugurata da Quark e l’iper-specialismo.
Ho notato su youtube e in tv alcuni pierangelisti: Polidoro e Gallavotti lo sono a tutto tondo, prodotti puri dell’ecosistema della divulgazione scientifica televisiva italiana, nati e cresciuti all’ombra di Piero Angela e del suo modello di comunicazione.
Cioè gente che parla di scienza ma che, come lo storico decano, ha una formazione quasi esclusivamente televisiva.
Quindi se si parla di "comunicazione di.." stiamo parlando di intrattenimento, di spettacolo. Un intrattenimento e uno spettacolo che oggi come 35 anni fa ha un senso politico. Lo scopo politico dei primi '90 era "Vota Biscione!", il senso attuale è la "verità scientifica", che continua ad essere merce di scambio politico.
I pierangelisti potrebbero essere i "padri nobili" di gente che mi ricordo dai tempi della presenza social: autoproclamatisi giornalisti, scienziati e professionisti di altro genere che esistevano solo su quelle piattaforme - per il resto nessuna traccia professionale, niente pubblicazioni, curriculum, affiliazioni, posizioni in una qualche azienda: le professionalità fantasma con nome e cognome, che però spargevano a piene mani opinioni qualificate (qualificate da chi?).
(Se non si coglie la differenza la cosa è l'esatto opposto dell'anonimato, perché se questo testo uscisse firmato con nome e cognome a chiunque in pochi secondi sarebbe chiaro chi sono, dove sono, cosa faccio e cosa ho fatto).
Può darsi che questo sia quello il pubblico vuole: infotainment, conferma dei propri pregiudizi, risposte semplici. Che è esattamente la stessa cosa che succede con i media "complottisti".
E' così che si fa share, è così che si fanno visualizzazioni, è così che si sterilizza il dibattito. Ed è così che tutto è ridotto ad un puro bene di consumo nel mercato dei segni.
Cosa ha prodotto la trasformazione dallo "scrivere di scienza" alla comunicazione della scienza come bene di consumo di massa? Posso produrre solamente due ipotesi di lavoro.
Prima ipotesi: la supposta "fine delle ideologie" ha prodotto un vuoto che è stato riempito da ideologie altre e nuove.
Seconda ipotesi: in questo nuovo contesto il web 2.0 con le sue piattaforme e i suoi social media è stato determinante, finendo per dar vita a bolle informative, un panorama in cui si configurano le superbolle conformiste e complottiste.
E tutto questo dovrebbe essere materia di ricerca sociologica. Di questi tempi qua sopra sempre più spesso si comincia parlando di "scienza" per trovare risposte attuali o possibili al di fuori del classico territorio scientifico (filosofia, sociologia).
E mentre si cercano risposte sia la "scienza comunicata" che il complottismo rimangono merci sugli scaffali del supermarket delle identità.
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https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/06/07/referendum-lavoro-astensione-dissenso/8016902/ |
Non lontano dai confini del bosco, nascosti tra i cespugli, un coniglio, un topo e uno scoiattolo dibattevano animatamente di scienza.
"La scienza è l´unico modo per sapere come funziona il mondo." disse il coniglio.
"Ho sentito dire che un tuo cugino era della stessa idea ed è morto per sostenerla" disse il topo "Io preferisco non sapere come funziona il mondo in genere, ma sapere come funziona il mio, di mondo, mettere insieme il pranzo con la cena e vivere tranquillo."
"Ho sentito che invece un tuo cugino credeva che mettono nell´aria tante porcherie" disse lo scoiattolo al topo "Ed è morto per sostenere la sua tesi. Comunque credo che nessuno di voi due sappia davvero come funziona la scienza."
"E tu lo sai?" chiese il coniglio allo scoiattolo.
"Io? No, al limite posso farti una lunga lezione su nocciole, noci e pinoli, dove trovarli e come aprirli, ma di scienza non so niente. Però mi hanno detto che l´unico che conosce la verità sulla scienza è un vecchio rospo che vive nella palude."
"Sul serio?" chiese il topo.
"Davvero. Dicono che lui la sa bene, la verità sulla scienza."
"Cioè che è l'unico modo per capire il mondo?" chiese il coniglio.
"Cioè che è una truffa del Nuovo Ordine del Bosco?" chiese il topo.
"Ah, non saprei. Non ci ho mai parlato."
Così il gruppo si avviò verso la palude alla ricerca del vecchio rospo. Mentre erano ancora nel bosco incrociarono il pipistrello, che se ne stava attaccato a testa in giù a un ramo che sovrastava il sentiero. "Un topo, un coniglio e uno scoiattolo... buongiorno roditori, dove ve ne andate di bello?"
Il coniglio alzò lo sguardo "Ce ne andiamo a cercare il vecchio rospo, che sta nella palude e sa la verità sulla scienza."
"Ma sarebbero pure fatti nostri." Chiosò il topo.
"Il vecchio rospo non sa niente. Si dice che sia sul libro paga dei rapaci e si dice anche che sia stato una salamandra illuminista, ma poi ha venduto l´anima alle rane." disse il pipistrello. "Ora che lo sapete cosa pensate di fare?"
"Continueremo a farci i fatti nostri, se non ti dispiace." disse il topo, provando a tirar via il coniglio per la coda. Lo scoiattolo non si era fermato ed era già avanti sul sentiero, quindi si adoperarono per raggiungerlo.
Sul confine tra palude e bosco si fermarono. Più avanti, posato su un ramo che si allungava sul canneto, c´era un nibbio. "Meglio fare il giro lungo" bisbigliò lo scoiattolo, ma il nibbio si girò verso di loro.
"Che credete, vi ho visti! Venite pure avanti senza paura, ho già mangiato." disse il nibbio.
I tre si avvicinarono tremebondi.
"Cosa andate a cercare nella palude, voi tre?"
Lo scoiattolo rispose: "Andiamo a cercare il vecchio rospo che sa la verità sulla scienza."
"Ma guarda un po´... "disse il nibbio "E quando il vecchio rospo ve la dirà che ci farete?"
La domanda lasciò molto interdetti il coniglio e il topo. Il nibbio non si aspettava una risposta.
"Il pipistrello ci ha detto che in realtà il vecchio rospo non sa niente di niente e che è sul libro paga di voi rapaci." disse il topo. Il nibbio si fece una gran risata stridente "Sempre tanta bella gente, nel bosco... pettegola, pronta a sparlare degli altri e a metter zizzania. Il vecchio rospo è notevole, invece. Vi saluto, buona ricerca della verità sulla scienza". E se ne volò via.
Alla fine i tre trovarono il vecchio rospo.
Lo trovarono accovacciato su una grande pietra muscosa al bordo dell´acqua.
"Sei tu il vecchio rospo che conosce la verità sulla scienza? E' vero che è l´unico modo per capire il mondo?" chiese il coniglio.
Il vecchio rospo gracidò e disse "Bah!"
"Sei tu il vecchio rospo che conosce la verità sulla scienza? E´ vero che è una truffa del Nuovo Ordine del Bosco?" chiese il topo.
Il vecchio rospo gracidò e disse "Ohibò!"
"Buonasera, reverendo Rospo" disse lo scoiattolo "Potresti dirci la verità sulla scienza?"
Il vecchio rospo gracidò e disse "Eccellenti camici fanno eccellenti scienziati."
I tre se ne tornarono nel bosco e solo lo scoiattolo salutò il vecchio rospo. Coniglio e topo erano molto, molto perplessi.
"Perché non gli ho chiesto cosa volesse dire"? disse il coniglio.
"Perché ti avrebbe risposto gracidando, hai visto, no? Questi gran saggi fanno a non farsi capire." disse il topo, che per la prima volta si trovava completamente d´accordo con il coniglio. Lo scoiattolo invece li seguì in silenzio, perché la risposta del vecchio rospo gli aveva dato da pensare. Alla fine disse agli altri due: "Come ha detto il nibbio, il vecchio rospo è notevole. E la sua risposta è stata densa di significati. Potreste cercare di coglierli e magari..."
Nel frattempo arrivò trafelato, di corsa (per quanto gli potesse riuscire di correre), un porcospino.
"Ragazzi, ragazzi! E' un'ora che vi cerco." disse "Avete mai pensato che ieri era oggi e oggi era domani?"
I tre lo guardarono per un istante. Poi lo mandarono al diavolo.
NB: A parte che la morale della favola è che quando si cerca qualcosa non si sa mai cosa si trova, il vecchio rospo non è un parziale plagio ma una dichiarazione di amore per l'opera di James Branch Cabell.
Egregio Signore,
mi è parso che, parlando di cose doverose e costruttive, nel suo caso una risposta pubblica fosse dovuta. Sorvolerò sulla "supposta aristocrazia intellettuale" (qualche citazione e qualche riflessione farebbero aristocratizia? Non credo). Ma con l'accusa di elitarismo tocca un nervo scoperto, perché qua sopra c'è sempre stata una feroce avversione per l'elitarismo politico e, per quanto a parole, ci si è sempre spesi per la difesa della democrazia.
Considerato tutto questo mi scuserà se parlerò di elitarismo percepito.
Cerchiamo di stabilire alcune premesse: elitarismo politico è una cosa, elitarismo culturale percepito un'altra e non sono parenti. Perché sono convinto che si sia giocato a lungo a confondere i due differenti piani.
Se "alzare il livello per salvaguardare il messaggio" viene percepito come elitario è meglio dare di nuovo un'occhiata ai risultati dell' "abbassare il livello per far passare il messaggio". Al di là delle considerazioni generali citate nel post a cui si riferisce, quale è stato il prodotto medio della popolarizzazione della scienza? Fede nella scienza, "scienza non democratica", pulsioni epistocratiche, critica del suffragio universale. E non credo che il verbo "democratizzare" abbia niente a che fare con tutto questo.
Su tutto ciò la confusione è stata massima: come si è visto il passaggio da "la scienza non è democratica" a "Ottemperate e zitti!" è avvenuto senza sforzi, forse perché fin dall'inizio le due posizioni coincidevano.
Ma non solo: l'approccio "abbassare il livello" ha finito per aumentare a dismisura la sostanziale diversità tra il modo delle discipline scientifiche e la scienza-segno (quella del post a cui lei si riferisce). La vulgata scientifica è diventata "verità scientifica" e come tale è filtrata nella politica e nel processo legislativo prima, nella giurisprudenza poi.Ci sono precedenti altamente significativi, ma veniamo al più recente esempio. Le sentenze della Corte Costituzionale sul Green Pass erano basate sul fatto che, in tempi di Omicron, la vaccinazione preservasse non solo la salute del vaccinato ma anche quella degli altri. Cioè incorporava nella giurisprudenza, usandola come fondamento della sentenza, la vulgata "i vaccini frenano la trasmissione del virus". Al di là delle considerazioni già fatte al riguardo, andando a esaminare uno degli articoli più citati del tempo per avvalorare la tesi si trovano Odds Ratio, p-value ma niente C.I. : in breve, non si aveva idea di quale fosse l'errore sui valori riportati, cioè non si poteva sapere niente della significatività statistica dello studio (potrei aggiungere che la mancanza di C.I. rendeva la cosa molto sospetta). Eppure su numeri così fragili in Italia sono state sospese libertà costituzionali e tale sospensione è stata giudicata legittima dall'Alta Corte.
Se il passaggio non è abbastanza chiaro: l'abbassamento del livello (la popolarizzazione della scienza), che avrebbe dovuto democratizzare il sapere, ha creato invece le premesse per uno scientismo pop con tendenze antidemocratiche che ha infettato politica, processo legislativo e giurisprudenza. Non è un caso se in tempi recenti si è potuto leggere che alla base della vita politica dello stato costituzionale ci sono scienza, politica e opinione pubblica, esattamente in quest'ordine. E se in tutto questo non si rileva una profonda distorsione della natura di una democrazia inutile stare a discutere.
In questa chiave l'elitarismo percepito, opposto alla popolarizzazione della scienza, lavora per la difesa della democrazia. A meno che non si voglia una democrazia dove i diritti dell'individuo esistono solo se si crede alla "scienza", cioè alla vulgata del momento.
Riguardo le "indebite generalizzazioni" sulla divulgazione scientifica: ovvio che esistano eccezioni, ma le eccezioni non fanno la regola e negli ultimi anni alcune sono state fieramente avversate (penso a quel che è stato nel 2020 Pillole di Ottimismo e a Sabine Hossenfelder, per fare due esempi). La cifra media della attuale "comunicazione della scienza" ai miei occhi è inequivocabile. Sulla "pedagogia": ho ripetuto alla nausea che lo scopo dell'operazione CS era la critica, che la sua natura era politica, che non aveva niente a che fare con la divulgazione. Quindi mi spiace, ma un'impostazione pedagogica qua sopra non ci sarà mai.
Quanto alla democratizzazione del sapere, di preciso cosa si intende?
A parte l'immenso problema dell'istruzione, l'accesso alla comprensione è un nonsenso: la comprensione è un processo eminentemente individuale. Quindi per me l'unica possibile democratizzazione del sapere è il democratizzare l'accesso alla conoscenza e di questi tempi la cosa è stata ampiamente realizzata tramite la rete. Con un click si traducono in qualsiasi lingua i contenuti scritti in qualsiasi altra lingua. Nel momento in cui l'accesso lo hai e trovi il contenuto difficile sta a te decidere che farci: scegliere per uno sforzo di comprensione o lasciar perdere. Se a qualcuno fosse venuto in mente di dire a Mario Praz "Scusi, ma nei suoi saggi dovrebbe esprimersi con un italiano più semplice" probabilmente l'autore lo avrebbe preso per folle. Nessuno avrebbe mai considerato di chiedere a Gibbs: "Scusi, può riscrivere in modo più semplice le sue equazioni dell'equilibrio chimico?". Dovremmo forse chiedere ad un interprete di Bach di rendere l'Arte della fuga più accessibile alla maggioranza del pubblico generale? Giusto per chiarire, ho fornito esempi rilevanti senza nessuna intenzione di accostarmi a loro.
Non credo si possa chiedere a nessuno di scendere al minimo comune multiplo culturale per "democratizzare la conoscenza". Credo che invece la ricchezza delle diversità di approccio e di stile nel linguaggio e nel pensiero siano le necessarie premesse di una vera democrazia.
Marilena Falcone è stata cooptata nella discussione sul commento del Signor Lettore, le ho chiesto di raccogliere e organizzare le sue idee al riguardo e quel che segue è il risultato.
Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...